ultimo aggiornamento: 3 Aprile 2024 alle 0:06
definizione
Termine utilizzato per descrivere il progressivo declino della massa e della forza muscolare (dinapenia), dovuto ai processi di senescenza, spesso considerato un fenomeno inevitabile (se non addirittura, per certi versi, fisiologico) e ritenuto una naturale conseguenza dell’invecchiamento: in realtà, la progressiva atrofia muscolare non è necessariamente legata all’età, in quanto le possibili motivazioni che danno origine a tale patologia possono essere molteplici; non di rado, infatti, la sarcopenia può manifestarsi anche in soggetti sedentari a seguito di un lungo periodo di inattività fisica oppure essere una diretta conseguenza di gravi forme di stress, dipendere da un insufficiente apporto dietetico di proteine, dal consumo eccessivo di cibi che causano acidità o da patologie quali il diabete.
La sarcopenia, ad ogni buon conto, nelle forme più significative, compromette sia la qualità del tessuto muscolare, sia la capacità di movimento, inducendo un costante senso di debolezza, perdita di resistenza, scarso equilibrio, andatura rallentata che può evolvere fino a maturare difficoltà a svolgere le più normali attività quotidiane, portando alla disabilità ed alla mancanza di autosufficienza, rendendo chi ne è affetto più prono alle cadute col rischio di andare soggetti a fratture o lesioni ossee; il termine, coniato nel 1988 dal dott. Irwin Rosemberg, significa, letteralmente, “povertà di carne” o “povertà di muscolo”: deriva dall’unione di tue parole in greco antico, cioè σάρξ (sarx → carne, muscolo) e πενία (penia → povertà).
quadro clinico
sintomatologia
Nella sarcopenia, come quadro sistemico, la perdita di massa muscolare (atrofia muscolare) e la conseguente dinapenia sono accompagnate sia dalla riduzione del numero totale delle fibre muscolari (e di conseguenza, del volume) sia da una minore funzionalità dei muscoli interessati: questo provoca una costellazione sintomatologica contraddistinta da un deterioramento delle funzioni fisiche; le conseguenze sono instabilità posturale, tendenza all’affaticamento fino alla vera e propria astenia. Non di rado si osserva un costante senso di debolezza contrassegnato da perdita di forza, di resistenza e di mobilità, bradicinesia che può arrivare fino all’acinesia, deambulazione difficoltosa con manifestazioni di scarso equilibrio e tendenza alle cadute. Questi ultimi sintomi sono più dovuti, spesso, al timore di stramazzare al suolo che ad un vero e proprio problema neuro-muscolare divenendo espressione di uno stato ansioso, di angoscia e limitando fortemente l’autonomia motoria e la qualità di vita; a questi sintomi primari si accompagnano, in modo incostante ed in vario grado, riduzione del trofismo osseo a causa della ridotta sollecitazione esercitata dall’azione muscolare, modificazione della omeostasi glucidica, alterazioni della termoregolazione.
I mutamenti del trofismo dell’osso possono portare a osteopenia o osteomalacia in quanto la diminuita stimolazione prodotta dai tendini a livello dell’entesi riduce la forza elastica applicata all’osso dal movimento, ridimensionando la risposta adattativa degli osteoblasti ai vettori di carico, facilitando il riassorbimento osseo e non promuovendo la deposizione di nuovo osso; per quanto riguarda le modifiche dell’omeostasi termica e della glicemia, occorre ricordare che il muscolo è un tessuto metabolicamente attivo anche in assenza (apparente) di movimento: infatti, anche durante la statica, i muscoli, sollecitati dai motoneuroni, mantengono un tono di base e hanno continue micro-contrazioni che, da un alto, generano calore (favorendo la vasodilatazione periferica), dall’altro sequestrano parte del glucosio circolante abbassando i livelli glicemici.
Da un punto di vista istologico, si osserva un peggioramento della qualità del tessuto muscolare, con la progressiva sostituzione del parenchima con tessuto adiposo: contestualmente si manifesta una degenerazione fibrotica, la tendenza alla frammentazione delle miofibrille ed una fragilità muscolare che rendono il muscolo più sensibile alle micro-lesioni ed alla fibrotizzazione muscolare; i cambiamenti nel metabolismo a livello delle fibre muscolari, spesso contraddistinti dalla contemporanea degenerazione della giunzione neuromuscolare, comportano un aumento dello stress ossidativo a carico sia della cellula muscolare, sia dei tessuti fasciali, con ripercussioni sul metabolismo dell’organismo (modifiche, in primis, della glicemia, cui si aggiunge la resistenza periferica all’insulina …).
alterazioni comportamentali
Nell’anziano, la sarcopenia si manifesta soprattutto a carico dei gruppi muscolari degli arti inferiori e si riscontra con l’avanzare dell’età: inizia lentamente verso i 40-50 anni e peggiora attorno ai 60-70 anni; si stima che ogni decade si verifichi la perdita del 3-8% della massa muscolare: può essere di circa l’8% a partire dai 45 anni, del 20-30% tra i 50 e i 70 anni, del 30% dopo i 70 anni. Il ritmo di impoverimento del patrimonio muscolare ne comporta il dimezzamento entro i 75 anni di età nel 40% dei casi, con una prevalenza leggermente maggiore negli uomini rispetto alle donne.
A lungo termine, la sarcopenia limita l’indipendenza di una persona in maniera progressiva rendendo difficile svolgere i più normali compiti di vita quotidiana, come passeggiare, salire le scale, sollevare piccoli pesi al punto che chi soffre di questo disturbo può essere portato a rinunciare al movimento tout court: infatti, se la sarcopenia in uno stadio iniziale rappresenta un ostacolo solo durante certe attività o in certi frangenti, a distanza di anni dal suo esordio costituisce un intralcio all’autonomia in moltissime circostanze, manifestandosi anche quelle attività che un tempo risultavano molto semplici e, di conseguenza, incidendo significativamente sulla qualità di vita e sul ben-essere somato-emozionale.
In genere si innescano circoli viziosi basati sul fatto che le difficoltà motorie dipendenti dalla sarcopenia, la bradicinesia e la tendenza alla perdita dell’equilibrio, spingono chi ne è affetto alla sedentarietà ed all’inazione, situazioni che portano al progredire della sarcopenia.
La sarcopenia può essere considerata un sintomo di una sindrome contraddistinta da declini cumulativi in più sistemi fisiologici (per effetto della senescenza, dell’inflammaging o del distress ..) ove si riscontra una riserva omeostatica ridotta e incapienza, ovvero una ridotta capacità dell’organismo di resistere allo stress, aumentando così la vulnerabilità agli esiti avversi: in questi contesti fragilità, vulnerabilità e sarcopenia si sovrappongono, soprattutto nelle persone anziane fragili anche se, il concetto generale di fragilità travalica i fattori fisici per comprendere anche le dimensioni psicologiche e sociali, tra cui lo stato cognitivo, il sostegno sociale e altri fattori ambientali.
dimagramento – sarcopenia – cachessia
Una possibile evoluzione della sarcopenia è la cachessia, una sindrome metabolica complessa caratterizzata da perdita di massa muscolare con o senza perdita di massa grassa: occorre tenere presente che, anche se la maggior parte degli individui cachettici è anche sarcopenico, la maggior parte degli individui sarcopenici non è cachettica; occorre anche distinguere il dimagramento (perdita della massa magra) dalla sarcopenia: è possibile che si sviluppino quadri di obesità sarcopenica, identificabili per la diminuzione della massa magra che si manifesta pariteticamente all’aumento della massa grassa, confermando che la riduzione della massa muscolare e la forza muscolare, soprattutto nell’anziano, sono indipendenti dalla massa corporea.
È necessario ricordare che mentre la cachessia è una sindrome da deperimento organico molto grave, contraddistinta da perdita di perdita di peso, ove si presenta anche la sarcopenia come sintomo, esistono persone che, pur soffrendo di manifestazioni sarcopeniche, non solo non mostrano perdita di peso, ma in alcuni casi possono presentare un aumento dello stesso, frutto di un processo di accumulo di grassi: soprattutto nelle donne, la sarcopenia e la perdita di tono muscolare possono accompagnarsi ad una infiltrazione grassa dei tessuti; infatti la perdita di massa magra può essere anche l’effetto di diete con effetto yo-yo, dove la forte riduzione dell’introduzione calorica, provoca una risposta di generalizzata di adattamento, con attivazione del cortisolo che produce una distruzione della massa magra ed un aumento della massa grassa.
eziopatogenesi
Per quanto si sia soliti collegare la sarcopenia all’invecchiamento del corpo umano, in realtà, per quanto sia innegabile che i processi di aging siano un cofattore eziologico, deve essere considerata come una sindrome a se stante, caratterizzata da poliedricità causale e multifattorialità, ove i possibili fattori eziologici tendono a sovrapporsi, mostrando confini sfumati: infatti, se in alcuni individui, può essere identificata un’unica e chiara causa di sarcopenia, in altri casi, nessuna causa evidente può essere isolata; ai fine gnoseologici la sarcopenia può essere suddivisa in due principali categorie:
sarcopenia primaria
Può essere considerata come la forma clinica più correlata all’età, in quanto non vi è altra causa è evidente se non l’invecchiamento stesso; statisticamente più frequente negli uomini, sembra possa avere una correlazione con il calo della produzione di testosterone che ha effetti anabolizzanti sul metabolismo proteico; spesso è associata a quadri di malnutrizione o di malassorbimento dovuti a diete inadeguate o monotone, difficoltà digestive connesse alle difficoltà di masticazione o dispepsie.
La scarsità di movimento e soprattutto l’assenza di carichi di forza sul muscolo accelerano la progressione della sarcopenia primaria, con un più rapido declino e perdita delle abilità motorie; l’evoluzione della sarcopenia è favorita ed accelerata non solo da quadri di malnutrizione, ma anche da obesità e sovrappeso perché il tessuto adiposo con l’avanzare dell’età produce citochine, sostanze infiammatorie che portano l’anziano in una condizione di infiammazione cronica che inibisce la sintesi proteica muscolare (inflammaging).
sarcopenia secondaria
Contraddistinta da una o più cause evidenti quali la riduzione dell’attività fisica (sarcopenia attività-correlata), patologie organiche (sarcopenia malattia-correlata) o dipendente da un apporto alimentare inadeguato in termine di nutrienti ergogenici e/o di proteine (sarcopenia nutrizione-correlata); per quanto vi sia una intima corrispondenza con i processi di invecchiamento, occorre sottolineare che la senescenza o la presenza di inflammaging hanno un impatto maggiore nei soggetti sedentari e in chi ha un’alimentazione inadeguata, rendendo evidente il rapporto biunivoco fra queste variabili eziopatogenetiche: la contemporanea presenza di più fattori favorenti può essere considerata una forma di comorbidità, in quanto in grado di creare una più precoce, una maggiore frequenza di insorgenza ed una più grave forma di sarcopenia.
La ridotta attività fisica, uno stile di vita sedentario, ma anche l’immobilità forzata o prolungati allettamenti possono indurre una riduzione della massa muscolare portando ad una sarcopenia secondaria correlata alla mancanza di attività: studi scientifici dimostrano che 10 giorni di immobilità a letto riducono fino al 30% la sintesi proteica; occorre ricordare che anche un ridotto stimolo a riposo, da parte dei motoneuroni, può portare ad una riduzione del trofismo muscolare, creando le precondizioni per lo sviluppo della sarcopenia. Anche nel caso in cui si verifichino quadri di atrofia da denervazione o si crei una vera e propria sindrome da deafferentazione, motoria, l’insorgenza di sarcopenia un fenomeno piuttosto frequente e non di rado si verifica un fenomeno di denervazione, talvolta irreversibile, che porta all’atrofia muscolare.
La presenza di un apporto nutrizionale inadeguato è un elemento causale frequente; sebbene solitamente, nell’alimentazione, sono presenti sufficienti concentrazioni di amminoacidi ramificati, un intake alimentare carente di questi amminoacidi favorisce lo sviluppo della sarcopenia: infatti i B.C.A.A. sono metabolizzati prevalentemente a livello muscolare per rigenerare il tessuto muscolare danneggiato o per favorirne il trofismo.
Qualora si verifichino situazioni di stress cronico o la necessità di incrementare l’energia a disposizione del corpo, l’utilizzo di proteine come sorgente di precursori ergogenici, può portare ad una deplezione di tessuto muscolare, situazione che facilita lo sviluppo di atrofia grassa e fibrosi muscolare, possibili fattori causali della sarcopenia secondaria.
In situazioni di surmenage o di distress cronico, come effetto della secrezione del cortisolo, l’organismo tende ad utilizzare le proteine muscolari come fonte di energia: sia nell’attività fisica intensa, sia durante lo stress, anche una carenza relativa di questi amminoacidi o una forma di malnutrizione può portare a sindromi carenziali che facilitano lo sviluppo della sarcopenia; ripristinale il corretto pool amminoacidico, incrementando sia gli amminoacidi a catena ramificata, sia gli amminoacidi insulinotropici attraverso la nutrizione o l’integrazione alimentare può rivelarsi un fattore in grado di ridurre la deplezione proteica che genera la sarcopenia o, addirittura, invertire il processo proteolitico.
Malassorbimento, dispepsie, disturbi gastrointestinali, alterazioni del microbiota intestinale, leacky gut syndrome o S.I.B.O., farmaci che causano anoressia o abuso di lassativi possono divenire fattori predisponenti o agenti causali della sarcopenia.
Patologie che provocano a insufficienza d’organo avanzata (cuore, polmone, fegato, reni, cervello), malattie infiammatorie, tumori maligni o malattie endocrine possono indurre forme di sarcopenia secondaria: il diabete di tipo II ne può essere un tipico esempio anche a causa dell’insulino resistenza che si associa a ridotta sintesi proteica; tutte le patologie croniche che aumentano il catabolismo proteico come le malattie reumatologiche e le forme autoimmuni, il morbo di Basedow ed il morbo di Crohn, l’uso cronico di steroidi, le malattie oncologiche sono le più frequenti responsabili del declino che porta alla sarcopenia ed alla dinapenia.
Occorre ricordare che il metabolismo della cellula muscolare è responsabile potenzialmente della formazione di radicali liberi (R.O.T.S. e R.N.T.S.) e perossidazione lipidica delle fibre muscolari, come conseguenza del maggior stress ossidativo cui possono essere sottoposti i muscoli durante le attività di endurance: gli sport di resistenza (endurance sport) come il ciclismo, il nuoto, lo sci di fondo, la corsa (jogging, running maratona …), nonché tutte le loro varianti e combinazioni (escursionismo, trail running, fit-walking, triathlon, iron-man …), ma anche attività che sottopongono i muscoli a carichi elevati (crossfit, pesistica, culturismo …) se da un lato mantengono la muscolatura sollecitata, dall’altro possono essere la causa di processi infiammatori cronici in grado di favorire la fibrotizzazione muscolare e favorire lo sviluppo di sarcopenia.
prendersi cura della sarcopenia
Comprendere la causa alla base della diminuzione della massa e della forza muscolare è, ovviamente, il primo passo, anche se, spesso, la presenza concomitante di fattori scatenanti, agenti causali e fattori predisponenti può rendere difficile una diagnosi differenziale e condizionare le scelte ed i comportamenti virtuosi da mettere in atto per affrontare il “problema sarcopenia”: risulta evidente che se il quadro clinico è direttamente dipendente da una patologia sottostante fortemente invalidante come un tumore in fase terminale o un’insufficienza d’organo multisistemica, l’intervento del professionista del ben-essere deve essere considerato un aiuto “palliativo” finalizzato a sostenere l’organismo nell’attesa di un possibile ed auspicabile miglioramento degli agenti morbigeni responsabili della malattia; ugualmente l’identificazione di una causa primaria sottostante alla manifestazione sarcopenica, che in questo caso deve essere considerata secondaria, orienta chiaramente le scelte operative verso il trattamento degli agenti eziologici.
Nel caso in cui, viceversa, ci si trovi ad affrontare un quadro a genesi mista, ove sia mancante l’attività fisica od un adeguato apporto proteico ed energetico (magari dipendente da dispepsia e malassorbimento), l’artigiano della salute deve ipotizzare un approccio olistico, che si prenda cura della persona nel suo insieme, studiando un adeguato programma di miglioramento dello stile di vita; nei soggetti anziani, il professionista del ben-essere deve essere consapevole della scarsa compliance di questi soggetti che, vuoi per l’effetto nocebo causato dalla percezione di «essere vecchi», vuoi per la tendenza depressiva derivante dal proprio stato di salute e dal fatto di «sentirsi vecchi», vuoi per la “pigrizia” (che in realtà esprime una difficoltà ed una sofferenza somato-emotiva) a «fare ginnastica», non solo hanno difficoltà a seguire con costanza un progetto finalizzato al miglioramento della propria qualità di vita, ma tendono ad essere carenti nelle motivazioni, incostanti se non addirittura a sabotare se stessi (spesso come effetto del sentimento di decadenza fisica, associato alla melanconia).
Nei soggetti più anziani i sintomi tendono a divenire sempre più invalidanti costringendo a quella sedentarietà che provoca un peggioramento della funzione muscolare, del quadro sintomatologico e del tono dell’umore, favorendo la progressione della sarcopenia, assimilandola sempre più ad un quadro sintomatologico (almeno per quanto riguarda la difficoltà di movimento ed i dolori muscolari) sovrapponibile alla fibromialgia: la percezione di instabilità che deriva dallo scarso equilibrio associata alla bradicinesia rendono la deambulazione complessa e difficoltosa, provocando un effetto san Matteo negativo, contraddistinto dall’aspettativa che le cose andranno sempre peggio, innescando una sorta di profezia autoavverantesi.
Occorre pertanto partire dal presupposto che, se da un lato, non esiste “la cura” per la sarcopenia, dall’altro questa manifestazione è fortemente connessa al “decadimento” e, pertanto, la messa in atto di un atteggiamento virtuoso e di un appropriato stile di vita sono elementi imprescindibili per bloccare, contenere o invertire la perdita della massa muscolare e della forza muscolare; la natura, per principio, è parca e non nutre o sostiene ciò che non serve o non viene usato: i muscoli vanno usati per mantenerli efficienti il più possibile e perchè funzionino al meglio devono essere alimentati e sostenuti in modo adeguato, così come deve essere sorretto lo “spirito” e la vitalità, rafforzata la stamina ed incrementata la capienza soggettiva verso i potenziali stressor biocidici.
Il detto «sacco vuoto non sta in piedi» rappresenta un’immagine che può essere considerata una metafora della sarcopenia, sia dal punto di vista biochimico, sia da quello strutturale, sia, soprattutto, negli aspetti emotivi associati al mal-essere.
L’intervento del professionista del ben-essere deve investire la sfera emotiva non meno che prendersi cura, da un punto di vista olistico, delle disfunzioni somatiche e delle carenze nutritive, partendo dal triangolo della salute, ovvero dalla consapevolezza che ogni aspetto dell’essere umano influenza l’altro: per quanto la valutazione multidimensionale possa essere di grande aiuto nel determinale le priorità di intervento, spesso si rende necessario agire contemporaneamente su più piani, per poter ottenere risultati consistenti e duraturi.
In considerazione del fatto che, spesso, anche nella sarcopenia primaria, si osserva contestualmente la presenza di cofattori e spine irritative che amplificano i danni derivanti dalla senescenza, è necessario indirizzare lo “sforzo terapeutico” al maggior numero di questi elementi, per sfruttare l’effetto sinergico e moltiplicativo: agendo sul versante biochimico, migliorando i processi digestivi e offrendo all’organismo i giusti precursori nutrizionali indispensabili per la rigenerazione dei muscoli, riducendo gli effetti dello stress cronico, intervenendo sulle tendenze depressive e sull’ansia da prestazione, ottimizzando un lavoro fisico adeguato e proporzionale alle esigenze individuali è possibile raggiungere, entro tempi ragionevoli, traguardi intermedi verso la “guarigione” in grado di rafforzare le motivazioni e consolidare la scelta di uno stile di vita più proficuo.
D’altra parte, anche quando il soggetto sarcopenico non è una persona anziana e la sarcopenia non dipende dalla senescenza, non è raro riscontrare atteggiamenti morbosi o tendenze depressive oppure sfiducia nei possibili miglioramenti, soprattutto quando i quadri clinici siano associati a forme patologiche sistemiche o siano la conseguenza di gravi traumi: anche in questo caso è necessario progettare un “cammino verso il ben-essere” graduale, che possa portare ad identificare traguardi intermedi come segni di una progressione verso la “guarigione” dell’olos, non sottovalutando la componente somato-emozionale riscontrabile in questi contesti terapeutici e la “stimmung” con cui chi soffre di questo morbo vede se stesso e la propria vita.
esercizio muscolare o
riprogrammazione neuro-mio-fasciale?
Se è vero che non esiste una “cura” in grado di impedire in assoluto lo sviluppo di manifestazioni sarcopeniche, è altrettanto vero che è possibile adottare strategie finalizzate a contrastare il fisiologico declino della massa e della forza muscolare connesso all’età e, soprattutto, a prevenirne le possibili conseguenze negative: nell’ambito delle possibili contromisure l’esercizio fisico costante, aerobico, progressivo ed adeguato allo stato fisico del soggetto è un atout che spesso si rivela vincente per ridurre il decadimento o ripristinare la massa muscolare e la forza muscolare.
È fondamentale coinvolgere tutti i più importanti distretti muscolari in un programma di “tonificazione dell’organismo” che non sia semplicemente mirato a sviluppare la forza sia o la resistenza, ma che aiuti il corpo nel suo insieme a recuperare anche l’elasticità e la coordinazione nel movimento: non bisogna dimenticare che gambe, braccia, petto, schiena e addome sono parti di un olos, ove ogni segmento influenza ogni altro segmento, agendo, invariabilmente, su articolazioni spesso sofferenti, per cui se da un lato ogni muscolo deve essere costantemente “rinforzato”, dall’altro l’artigiano della salute deve considerare l’azione di ogni gruppo muscolare all’interno di catene cinematiche che si influenzano vicendevolmente per garantire che siano mantenute (o create) una postura equilibrata ed una deambulazione bilanciata e armonica.
L’esercizio fisico aerobico è il miglior modo per utilizzare i muscoli, un elemento fondamentale per mantenere o migliorare la loro massa e la loro forza; è importante comprendere che lo scopo dell’attività motoria non deve essere finalizzato ad aumentare il volume di un gruppo muscolare, quanto piuttosto a ripristinare l’armonia del movimento, riattivando soprattutto l’azione trofica svolta dal sistema nervoso e la sinergia muscolare nell’atto motorio e nei gesti, favorendo la riappropriazione della corretta propriocettività: una combinazione di movimenti “a corpo libero”, il lavoro isometrico e isotonico, le contrazioni pliometriche non solo permettono di riattivare la muscolatura aumentandone la massa, la forza, la resistenza, ma anche di incrementare il R.O.M. fisiologico riducendo i possibili limiti all’escursione di moto ed i dolori articolari.
Il ricorso a tecniche od esercizi che oltre a migliorare l’organizzazione e la percezione spaziale, la propriocettività e la cinestesia, favoriscano l’integrazione emisferica come il cross-crawling, è fondamentale per migliorare il senso di stabilità e la coordinazione nel movimento; la continuità nel tempo, ovvero la costanza e la perseveranza devono sposarsi con la adeguatezza dell’attività al reale stato della persona ed alla progressività del percorso di riabilitazione: l’obiettivo è lo sviluppo di un programma personalizzato studiato ad hoc per la persona, che tenga conto dello status quo e che, allo stesso tempo, sia modulabile ed adattabile in itinere all’evoluzione del quadro sintomatologico.
L’utilizzo del test muscolare (ed in particolare il test muscolare del muscolo specifico) è ciò che permette un salto di qualità al professionista specializzato in Kinesiologia Transazionale®, di affrontare la sarcopenia nella sua globalità: sia che venga utilizzata una riequilibrazione muscolare “fix-as-you-go”, sia che si lavori distrettualmente, l’effettuazione dei test muscolari permette di affinare la focalizzazione del sistema nervoso sul primo motore testato e sui suoi muscoli agonisti (ed antagonisti, sinergici, stabilizzatori …); il test kinesiologico permette anche di identificare foci all’interno del muscolo in esame che condizionano il funzionamento di intere catene muscolari, offrendo la possibilità di effettuare un lavoro di rifasamento neuro-muscolare.
Occorre ricordare che, da un punto di vista anatomo-funzionale, il muscolo è costituito da diversi tipi di fibre muscolari, cioè le fibre lente (tipo I) e le fibre rapide (tipo IIa e IIb); nei pazienti sarcopenici si osserva una riduzione del diametro delle fibre muscolari oltre che una progressiva perdita di fibre rapide che si traduce, clinicamente, in una riduzione della forza, della coordinazione dei movimenti e della velocità del cammino: le fibre muscolari rapide perse vengono parzialmente sostituite da fibre lente a opera dei neuroni motori adiacenti con l’obiettivo di assicurare una risposta adattativa posturale a scapito della dinamica motoria.
Sfruttando il “sandwich di informazioni”, una peculiarità della Kinesiologia Applicata, basata sulla sequenza operativa :
test muscolare → correzione degli squilibri → ancoraggio del risultato
non solo è possibile mettere in atto le migliori tecniche riabilitative, identificate attraverso la therapy localization, per il muscolo in esame (riattivazione diretta del muscolo, utilizzo di punti riflessi, tecniche di riprogrammazione neuro-mio-fasciale, contrazioni pliometriche, reattività neuro-muscolari …), ma per mezzo dell’ancoraggio del risultato si ottiene un duplice effetto: da un lato “rifasare” il sistema cinestesico e propriocettivo, in modo che ogni ulteriore attività che utilizza il muscolo “riattivato” stimoli la ricreazione di sinapsi a livello della placca neuro-muscolare; dall’altro il vedere che «il muscolo funziona» ha, evidentemente, un impatto sulla emotività e sulla percezione di successo per il lavoro fatto, rafforzando la volontà di cambiamento.
La reiterazione dei test muscolari, abbinati ad esercizi specifici finalizzati a “sollecitare” la risposta muscolare fasica, agisce da rinforzo neurologico sull’attività incrementando non tanto (o non solo) la “forza muscolare” quanto la “reattività” del muscolo inserito nella propria specifica catena muscolare e/o catena cinematica: questo permette al corpo di muoversi con maggiore sinergia fra i gruppi muscolari, riducendo il senso di insicurezza, la bradicinesia; la semplicità degli esercizi permette a chi decide di percorrere questo percorso di “allenarsi” anche a casa, fra una sessione e l’altra, aumentando la compliance e l’efficacia del lavoro svolto col professionista del ben-essere.
cross-crawling – movimenti pendolari – slow motion
Con il termine crawling, in inglese, si indica sia il movimento derivante dallo strisciare, sia l’andare a carponi (movimento quadrupede che utilizza tutti e quattro gli arti, che ha caratteristiche simili al movimento a quattro arti di altri primati e dei quadrupedi non primati): quando si parla di cross-crawling (o cross crawl oppure cross-pattern) si intende un movimento sul posto che simula la deambulazione coinvolgendo i quattro arti in una serie di movimenti pendolari crociati e simmetrici od un movimento che riproduca uno schema incrociato, ovvero un movimento ottenuto dallo spostamento simultaneo e alternato di un arto della metà superiore del corpo con l’arto opposto della metà inferiore.
Il cross-pattern (movimento a schema incrociato) ha la peculiarità di produrre una stimolazione bilaterale (crociata) che interessa alternativamente i due lati del corpo e gli organi di senso, allenando simultaneamente più gruppi muscolari (spalle, glutei, flessori dell’anca, addominali, polpacci, petto, avambracci, inguine, muscoli posteriori della coscia e dorsali) al movimento coordinato promuovendo nel tempo il più alto livello di organizzazione neurologica consentita: lo scopo è contrastare quella che viene comunemente definita disorganizzazione neurologica, cioè “una contraddittoria trasmissione d’informazioni dai recettori afferenti al sistema nervoso centrale” (D.S. Walther, 1988), che impedisce alla persona di utilizzare al meglio il suo potenziale fisiologico.
La disorganizzazione neurologica si presenta come una stimolazione distorta dei recettori sensoriali, siano essi meccanocettori o “recettori mentali” (D.S. Walther, 1988), che induce uno stato di disequilibrio funzionale (da distinguere dalla atassia, che presuppone la presenza di lesioni fisiche a livello cerebellare, della via dei cordoni posteriori-lemnisco mediali o vestibolari): alla disorganizzazione neurologica può corrispondere la prevalenza della deambulazione omolaterale (ridotta integrazione delle informazioni fra i due emisferi cerebrali) o la scelta preferenziale (inconsapevole) di azioni che non richiedono una coordinazione complessa optando per situazioni in cui le informazioni alterate non creano all’organismo uno stato ingestibile d’incoerenza informazionale; la presenza di questa disfunzione nell’interpretazione delle informazioni sensoriali provoca senso di affaticamento e disorientamento che possono evolvere nella sensazione di obnubilamento del sensorio, astenia, adinamia fini alla perdita dell’equilibrio.
Il cross-crawling può essere compreso in chiave neurofisiologica: il cross-pattern stimola la formazione di reti nervose nel corpo calloso, struttura cerebrale predisposta alla comunicazione di ampie aree di entrambi gli emisferi dell’encefalo, e mette in connessione i gangli della base e il cervelletto (entrambe strutture deputate all’organizzazione di atti motori) con la corteccia prefrontale, agevolando l’attività cognitiva di ordine superiore e la capacità decisionale, prerogativa quest’ultima dei lobi frontali; il cross crawl stabilisce un’interazione fra gli apparati muscolo-scheletrico, vestibolare e propriocettivo, lavorando così sull’equilibrio e sulla percezione dello spazio: il movimento a schema incrociato dispone il corpo in una condizione d’integrazione in cui la ricezione e l’elaborazione dei dati sensoriali avvengono senza interferenze, ristabilendo la normale codifica coerente degli stimoli da parte del sistema nervoso centrale.
Una componente fondamentale del cross-pattern la presenza di movimenti pendolari: schematicamente, la meccanica della marcia si basa su due movimenti pendolari, cioè il movimento degli arti superiori e inferiori (detto volo o fase di oscillazione), durante l’oscillazione verso l’avanti attorno al giunto della spalla o dell’anca cui segue il movimento del baricentro durante la fase di contatto di un arto con il terreno (fase di appoggio o stance), che corrisponde a un pendolo invertito; dei due movimenti, il secondo è quello più importante perché coinvolge la maggior parte della massa corporea.
La presenza dei movimenti pendolari presuppone un elevato livello di integrazione delle informazioni sensoriali propriocettive e cinestesiche ed un ragguardevole grado di coordinazione motoria che garantiscono non solo un movimento efficace per la progressione, ma anche il bilanciamento delle forze e l’equilibrio corporeo; nella fase di oscillazione, il movimento pendolare degli arti, attraverso il cingolo scapolare e la cintura pelvica, comporta fenomeni di torsione e contro-torsione del rachide (assieme a coupling movements) che si esplicano secondo lo schema dei Lovett reactor, mentre nella fase stence (fase di appoggio in cui il piede rimane a contatto con il terreno) il coinvolgimento del torchio addominale e dei core muscle comporta la ripartizione dei vettori di forza coinvolti lungo le catene muscolari e le catene cinematiche.
sarcopenia e stress
La sarcopenia è considerata una componente chiave della fragilità poiché, agendo sulla riduzione della massa e potenza muscolare, è responsabile non solo di una ridotta performance fisica ma anche di una diminuita capienza, in quanto rende chi ne è affetto più soggetto alla vulnerabilità nei confronti di un qualsiasi evento stressogeno, in quanto è una diretta espressione si una ridotta riserva omeostatica dell’organismo che consegue al declino funzionale di diversi sistemi fisiologici: la persona fragile risulta maggiormente esposta alle possibili ingiurie (stressor) che inducono risposte sproporzionate rispetto all’evento scatenante.
D’altro canto, più che l’età anagrafica, l’invecchiamento e la senescenza sono effetto di processi infiammatori cronici a bassa intensità, inflammaging, disfunzioni organiche che, in ultima analisi, sono riconducibili al distress cui si è sottoposti: il muscolo può essere considerato un indicatore dello stato di salute dell’organismo e, allo stesso tempo, il mezzo che utilizziamo per esprimere chi siamo, a gesti e parole, per muoverci ma anche per ergerci in piedi; se non si può pensare di riabilitare i muscoli senza intervenire sull’equilibrio globale del corpo, non si può pensare di ottenere risultati consistenti e duraturi senza agire sullo stress.
Per questa ragione sono così importanti le tecniche di reset, in quanto sono deputate a “de-attivare” lo stato di ipereccitazione neuro-vegetativa che sottostà ai fenomeni disfunzionali: facilitare il recupero della corretta percezione del sé e restaurare l’equilibrio somato-emozionale preesistente allo stress è una priorità per l’operatore del ben-essere: senza disinnescare le “routine dello stress”, diventa estremamente difficile interrompere i loop neuro-ormonali e comportamentali che mettiamo in atto in risposta allo stress. Le procedure di “normalizzazione” hanno il compito di interrompere i “programmi per la sopravvivenza”, che rimangono attivi, pur non essendo più idonei al contesto, e di riportare il “sistema corpo” alle condizioni di funzionamento precedenti allo squilibrio; le tecniche di normalizzazione del ritmo cranio-sacrale, come il “reset temporo-vascolare”, utilizzate nel Cranio-Sacral Repatterning® o la stimolazione dei riflessi di Bennett, in grado di agire sull’equilibrio neuro-vascolare (neurovascular coupling), di cui ci si avvale nella Kinesiologia Transazionale®, sono solo alcuni degli strumenti fondamentali che il professionista del ben-essere può utilizzare per “normalizzare” le risposte dell’organismo.
Qualora la componente stressogena abbia una componente biochimica, è possibile affinare l’opera di reset attraverso una appropriata integrazione alimentare mirata a ridurre gli effetti biochimici ed organici dello stress: il professionista del ben-essere, grazie alle sue competenze ed all’uso del test nutrizionale, è in grado di suggerire possibili supplementi che aiutino la transizione verso un maggiore benessere: in genere prodotti come il Total 5 HTP od il Serene Renew sono in grado di aiutare a ridurre l’impatto del disagio emotivo, facilitando il lavoro di allentamento dello stress, così come esistono differenti integratori alimentari in grado di agire sulla biochimica del distress psicofisico (Core Level Adrenal, DSF Formula,…) o di quello mentale (Total Brain), grazie alle sostanza nootrope in grado di agire sulla componente cognitiva e pertanto capaci di rafforzare il lavoro di riequilibrazione somato-emozionale.
L’utilizzo di brain food è un elemento da non sottovalutare non solo per ridurre gli effetti del disconfort e del distress sull’organismo: le capacità mentali e cognitive di chi soffre di sarcopenia e dinapenia, sono sintomi che spesso si manifestano in persone non più giovani, come segno di una costellazione sintomatologiche che mostra il progressivo declino di molte funzioni organiche: un adeguato supporto nutraceutico è in grado di funzionalizzare e finalizzare l’intervento del professionista del ben-essere nell’opera di contrasto verso gli agenti morbigeni che accelerano i processi senescenziali.
declino cognitivo vs. integrazione emisferica
La sarcopenia e la dinapenia vengono spesso considerate un problema legato alla terza età, come se esistesse un legame biunivoco e indissolubile fra il decadimento fisico e l’invecchiamento; parimenti, non di rado, il declino congiuntivo (presente anche in assenza di demenza senile o del morbo di Alzheimer) è considerato un “effetto collaterale del diventare vecchi”: il parallelismo fra la capacità di movimento e le abilità cognitive è significativa al punto che le variazioni della massa e della forza muscolare possono essere utilizzate non solo come un indicatori della vitalità, della stamina e della capienza organica, ma anche come “markers” delle capacità cognitive e delle abilità intellettive, esprimendo una relazione somato-emotiva o, se si preferisce, una connessione psico-fisica rilevante.
Il punto focale di questa interdipendenza non è da ricercarsi nella “vecchiaia”, intesa come incremento dell’età anagrafica, quanto nella obsolescenza, ovvero nella senescenza delle strutture, dipendente piuttosto dal logoramento del corpo provocato da stressor, dai sovraccarichi funzionali, dall’alterato turn-over delle strutture biologiche o dalla “cattiva manutenzione” dell’organismo, oppure da quell’insieme di processi di inflammaging che determinano un degradamento (talvolta precoce) dell’età biologica: un coacervo di elementi eziologici, fattori predisponenti, spine irritative che genera la multifattorialità e la poliedricità causale responsabili del decadimento psicofisico e somatoemotivo solitamente definito “vecchiaia”.
biochimica della sarcopenia
Dal punto di vista della fisiopatologia, il trofismo muscolare è il risultato di un equilibrio tra stimoli anabolici (insulina, esercizio, aminoacidi, IGFs, testosterone, adrenalina, GH) e stimoli catabolici (cortisolo, catecolamine, glucagone, citochine, esercizio intenso): un bilancio dell’azoto positivo è un obiettivo necessario per poter gestire la sarcopenia in quanto, nell’anziano si è visto come tenda a esserci, associato al normale invecchiamento, una prevalenza dello stato catabolico che diventa predominante qualora concomitino particolari condizioni come la comorbidità; in questi casi anche la massa muscolare subisce gli effetti dello stato generale catabolico in cui si trova l’organismo.
Sono diversi i fattori che possono contribuire allo sviluppo della sarcopenia: la riduzione dei livelli degli ormoni sessuali (in particolar modo del testosterone e del DHEA) dell’ormone della crescita e dell’IGF-1, l’aumentate produzione di fattori proinfiammatori come le citochine (IL-1, IL-6, TNF-a, …), l’alterazione dello stato ossido-riduttivo cellulare sono tra le principali cause riconosciute, cui si possono associare i cambiamenti neuromuscolari, l’inattività fisica e la malnutrizione (in particolare il deficit protido-ergogenico).
È compito del professionista del ben-essere contribuire, da un punto di vista nutrizionale, a identificare eventuali supplementi nutrizionali in grado di correggere o invertire le alterazioni biochimiche alla base della sarcopenia: l’utilizzo del profilo nutrizionale kinesiologico, come strumento per identificare i nutraceutici utili per l’organismo, è di grande aiuto per personalizzare l’eventuale integrazione alimentare, senza contare la competenza dell’operatore professionale, in grado di identificare la migliore combinazione di nutraceutici, nell’ambito di un programma di miglioramento generalizzato, che prenda in considerazione le vere esigenze di chi soffre di questo mal-essere. Da un punto di vista operativo, è possibile intervenire su differenti aspetti biochimici, sempre ricordando che la competenza del professionista del ben-essere è una garanzia nei confronti delle soluzioni improvvisate:
proteine – amminoacidi
La supplementazione con proteine, lisati proteici o miscele di amminoacidi rientra fra le misure che possono essere adottate per offrire all’organismo precursori metabolici finalizzati alla rigenerazione delle fibre muscolari: il vantaggio nella supplementazione con amminoacidi, rispetto ad altri lisati proteici, è la possibilità di bypassare la digestione, rendendo immediatamente assimilabili questi precursori proteici; per quanto sia ampiamente dimostrata l’importanza degli amminoacidi essenziali, l’assunzione di miscele ad alto contenuto di amminoacidi a catena ramificata deve essere considerata prioritaria rispetto a miscele standard.
Gli aminoacidi ramificati agiscono direttamente su muscoli e strutture scheletriche, ove svolgono un’azione anti-catabolica, stimolando l’anabolismo; a differenza della gran parte degli altri aminoacidi, gli aminoacidi ramificati bypassano il metabolismo epatico per essere utilizzati direttamente a livello muscolare, dove servono da donatori di azoto per la sintesi di altri importanti aminoacidi, come la glutammina e l’alanina: l’enzima limitante del metabolismo dei B.C.A.A. è l’alfa-chetoacido deidrogenasi a catena ramificata che si trova nel muscolo ed è effettivamente attivato dall’esercizio fisico o dal digiuno.
Fra gli aminoacidi ramificati, la leucina è il più prontamente ossidato, risultando un amminoacido insulinogenico con la conseguente riduzione dei livelli glicemici e la stimolazione alla produzione dell’ormone della crescita (GH): sia durante gli stress acuti, sia durante il lavoro muscolare intenso e protratto e nella prima fase del recupero post-attività, solitamente si osserva una diminuzione della concentrazione di glucosio e di insulina nel sangue ed un aumento delle catecolammine circolanti, con il conseguente rallentamento della sintesi proteica ed un incremento del catabolismo proteico finalizzato alla gluconeogenesi; la presenza (o l’assunzione) di aminoacidi ramificati e carboidrati, meglio se associati a triptofano, nella prima fase di recupero dopo uno sforzo muscolare od un distress coadiuva il ripristino dei valori normali di glicemia e insulina precedenti l’attività fisica o il distress.
Gli amminoacidi a catena ramificata possono essere considerati importanti anticatabolici in grado non solo da fungere come substrati ergogenici, ma fondamentali per la proteosintesi muscolare. diversi studi hanno dimostrato che l’ossidazione degli aminoacidi a scopo energetico si verifica già nelle prime fasi dell’esercizio e acquisisce sempre più importanza con il perdurare e l’intensificarsi dello stesso; l’utilizzo dei B.C.A.A. a scopo energetico è legato alle scorte energetiche del corpo (lipidi e glucidi): tanto più queste sono ridotte e tanto maggiore sarà l’ossidazione dello scheletro carbonioso degli aminoacidi o, in parole più semplici, tanto meno ci sia disponibilità di glucosio, tanto più verranno utilizzati gli amminoacidi per produrre energia, soprattutto in condizioni di stress o di intensa attività fisica.
Infatti l’attività muscolare di endurance, particolarmente se prolungata, è caratterizzata dall’utilizzazione degli amminoacidi come fonte energetica, creando una riduzione della sintesi proteica: questa degradazione dell’anabolismo proteico si prolunga anche nella prima fase di recupero riducendo la capacità di rigenerazione delle fibre muscolari danneggiate; al termine dell’esercizio fisico il fenomeno di proteolisi permane elevato per diverse ore e viene in parte compensato da un significativo aumento della sintesi proteica muscolare che però può avvenire efficacemente solamente alla presenza di sufficienti precursori metabolici.
L’entità di questi due fenomeni è correlata all’intensità del lavoro svolto, alla disponibilità plasmatica di aminoacidi e alla loro velocità di trasporto all’interno della fibra muscolare, pertanto l’assunzione di un integratore a base di aminoacidi come l’Amino All è efficace ai fini del recupero e/o della crescita muscolare, migliorando non solo l’aumento della massa muscolare efficace (in particolare per la presenza di amminoacidi ramificati), ma riduce anche la fatica muscolare, incrementando l’eliminazione di urea e la vascolarizzazione periferica (glutammina, ornitina e arginina) ed il rilassamento (acido glutammico).
L’utilizzo sinergico del Total Arginine amplifica l’effetto sia in termini anticatabolici, sia come facilitatore della proteosintesi per incrementare la massa, la forza e la resistenza del muscolo; l’utilizzo dell’Amino All, è da preferirsi rispetto alle cosiddette Whey Protein (proteine del siero di latte), in quanto essendo derivate dalle proteine idrolizzate presenti nella cartilagine ialina, elastina e fibrocartilagine, possiede un pool amminoacidico in grado di svolgere un’azione anticatabolica ed offrire precursori di qualità per il metabolismo muscolare, oltre a contenere amminoacidi insulinogenici.
ruolo protettivo sulla funzionalità muscolare della vitamina D
L’esistenza di una relazione tra la vitamina D e la performance atletica è un dato di fatto ormai consolidato: vari studi hanno dimostrato che la presenza di questa vitamina nell’organismo, nella sua forma attivata, è in grado non solo di migliorare le prestazioni atletiche ma anche di ridurre i dolori correlati all’attività sportiva cronica (si ricordi che un sintomo clinico comune dell’ipovitaminosi D è la mialgia); in particolare, si riscontrano miglioramenti significativi nella resistenza e nella forza, nel tono muscolare, nelle risposte cardiovascolari e, nelle persone anziane, è in grado di ridurre la debolezza ed i dolori ai muscoli, evitando la tendenza alle cadute.
La carenza di vitamina D aumenta lo stress ossidativo ed altera l’attività degli enzimi antiossidanti nel muscolo scheletrico, portando ad un aumento dei radicali liberi dell’ossigeno (R.O.T.S.), inducendo alterazioni del recettore della vitamina D (VDR) a livello muscolare, con alterazione della funzione mitocondriale, che a sua volta porta ad atrofia muscolare: in particolare, le disfunzioni della catena respiratoria mitocondriale e la generazione di R.O.T.S. sono fattori cruciali nelle patologie neurodegenerative in cui si osserva l’atrofia muscolare.
La forma attivata di vitamina D, il calcitriolo, esercita i suoi effetti biologici legandosi ad un recettore specifico (VDR recettore della vitamina D, localizzato nel nucleo delle cellule), presente a livello muscolare, influenzandone l’espressione genica: nei muscoli, l’attivazione di questo recettore deprime la produzione della miostatina (fattore che limita la crescita muscolare ), mentre innesca un progressivo incremento della follistatina (glicoproteina in gradi di stimolare la proliferazione di nuove cellule muscolari) e degli IGFs (in particolare l’IGF-1, mediatore anabolico dell’ormone della crescita); attraverso l’attivazione di specifiche vie metaboliche, la vitamina D induce un aumento delle fibre muscolari scheletriche, ha un effetto positivo diretto sui filamenti contrattili e sulla forza muscolare (prevenendo la mialgia) ed il recupero muscolare dallo stress da intenso esercizio fisico. Il calcitriolo, infatti, si lega ai VDR presenti nell’apparato muscolare esplicando un’azione diretta sui mioblasti differenziandoli in miociti (cellule muscolari), con l’effetto di mantenere numericamente le fibre muscolari e, quindi, di permettere di salvaguardare sia il volume muscolare, sia l’attività motoria: i recettori VDR presenti nelle fibre veloci stimolati dalla vitamina D portano ad una rapida ripresa della forza e coordinazione muscolare.
L’integrazione alimentare di colecalciferolo (meglio se abbinata all’esposizione ai raggi solari) è in grado non solo di contribuire a ridurre il rischio di lesioni muscolari, migliorando talvolta le prestazioni motorie, ma è un utile nutraceutico in grado di favorire anche la rigenerazione muscolare nei soggetti sarcopenici: in considerazione della carenza cronica dell’anziano, nell’assunzione di colecalciferolo e nel suo assorbimento, una supplementazione ad alto dosaggio può rivelarsi fondamentale (soprattutto in sinergia con un incrementato apporto amminoacidico e ad una adeguata attività fisica) per contrastare il fenomeno sarcopenico si possono usare dosaggi anche superiori alle 50.000 UI/settimana per 8÷12 settimane, per poi scendere a dosaggi inferiori di mantenimento (da utilizzarsi comunque per periodi prolungati); ugualmente la supplementazione negli atleti in allenamento può richiedere dosaggi simili o superiori, anche in soggetti giovani, duplicando lo schema di trattamento dei soggetti con fenomeni di inflammaging.
Aumentare i livelli di vitamina D riduce il dolore, la miopatia ed aumenta la sintesi proteica muscolare, la concentrazione di ATP, la forza, potenza e in genere le prestazioni fisiche, svolgendo un’azione anticatabolica ed antinfiammatoria: la vitamina D3 aumenta la sensibilità recettoriale all’insulina ed incrementa l’attività dei meccanismi anabolici cellulari, favorendo l’utilizzo della leucina (importante amminoacido ramificato) da parte delle cellule.; sembra inoltre che la capacità di incrementare la forza muscolare e la resistenza, sia incrementata dalla stimolazione della produzione di testosterone.
Inoltre, bassi livelli di colecalciferolo sono responsabili di una diminuzione dell’uptake di calcio all’interno del mitocondrio che provoca cambiamenti nella produzione di ATP e quindi nell’efficienza del lavoro muscolare, favorendo lo sviluppo della sarcopenia, del atrofia muscolare e del deficit della forza muscolare; si osserva anche una riduzione dell’efficienza mitocondriale e ridotta densità mitocondriale, prodromo di insulino-resistenza per cui una minor introduzione di carboidrati, aminoacidi e lipidi all’interno del muscolo, con conseguente aumento di specie reattive dell’ossigeno e quindi stress ossidativo, portando ad un quadro di infiammazione cronica di basso grado.
Pertanto un aumento dell’apporto di Vitamina D può portare ad una rigenerazione muscolare e al benessere della funzionalità mitocondriale riducendo lo stress ossidativo, la proteolisi grazie all’azione anticatabolica incrementando la massa muscolare e la sua capacità di lavoro, la presenza di nutraceutici sinergici alla proteosintesi (amminoacidi, vitamine, P.U.F.A., calcio, magnesio …) amplifica l’effetto positivo sui tessuti muscolari e sull’intero organismo; il Complete HI D3 garantisce l’assunzione di 5.000 UI di colecalciferolo per compressa, in forma cristallina: se da un lato il colecalciferolo, essendo una vitamina liposolubile, secondo alcuni ha un maggior assorbimento in soluzione oleosa, dall’altro in forma cristallizzata è stabile al calore ed alla luce, riducendo le possibili perossidazioni lipidiche o l’isomerizzazione molecolare (fenomeno piuttosto frequente). Entrambe le forme sono ben assorbite nell’intestino tenue, per semplice diffusione passiva e mediante un meccanismo che coinvolge le proteine trasportatrici della membrana intestinale: la contemporanea presenza di grassi nell’intestino migliora l’assorbimento della vitamina D, ma una parte della vitamina D viene assorbita anche senza grassi alimentari; i fattori che modificano l’assorbimento intestinale del colesterolo alterano anche l’assorbimento della vitamina D. Nel Complete Immuno D3, il colecalciferolo (2.500 UI/compressa) è sinergizzato dalla presenza di β-sitosterolo, quercetina e probiotici, esaltando la sua funziona antinfiammatoria e regolatrice della funzione immunitaria; occorre non dimenticare che le mutazioni del microbiota intestinale e l’inflammaging sono spesso associabili a condizioni clinicamente rilevanti come la sarcopenia severa e la cachessia: l’instaurarsi di un dismicrobismo intestinale, corresponsabile sia di un alterato profilo di assorbimento sia della genesi di cronici processi infiammatori a basso livello, è un fattore che non deve essere sottovaluto come possibile agente eziologico di un eccessivo catabolismo della massa magra.
Leacky gut syndrome, S.I.B.O., M.I.C.I., I.B.D. sono solo alcuni dei possibili quadri disfunzionali responsabili di uno stato di infiammazione cronica a basso livello e/o di malassorbimento che il professionista del ben-essere deve prendere in considerazione ed eventualmente affrontare per intervenire sulla poliedricità causale alla base di questo quadro morboso: la valutazione multidimensionale è uno strumento di grande aiuto per guidare l’artigiano della salute nelle scelte necessarie per “prendersi cura” di chi decide di intraprendere un percorso verso la salute ed il ben-essere.
vitamina B12: il convitato di pietra
Per quanto la cianocobalamina si possa considerare un cofattore presente in una moltitudine di reazioni enzimatiche e metaboliche dell’organismo, spesso, nell’ambito clinico viene sottovalutata la sua importanza: eppure una carenza di questa vitamina può danneggiare i nervi, causando formicolii o perdita di sensibilità nelle mani e nei piedi, debolezza muscolare, iporiflessia o ariflessia, difficoltà di deambulazione, confusione e demenza.
In caso di insufficiente apporto possono svilupparsi quadri sintomatologici contraddistinti dalla perdita parziale della capacità di riuscire a localizzare nello spazio la posizione del proprio corpo o delle braccia e delle gambe (senso della posizione) e di percepire le vibrazioni: l’alterazione della propriocezione, della cinestesia e della stereognosia, si accompagna frequentemente ad una debolezza muscolare da lieve a moderata, che può evolvere verso una dinapenia, associata alla perdita dei riflessi, rendendo difficile la deambulazione.
La vitamina B12 è coinvolta come cofattore nella sintesi della mielina, da cui deriva che una sua deficienza può compromettere la funzionalità dei nervi, con insorgenza di neuropatie periferiche che possono contribuire allo sviluppo della sarcopenia, della dinapenia e della bradicinesia: i soggetti anziani con vitamina B12 inferiore ai 400 pg/ml, concentrazione considerata all’interno del range fisiologico (in quanto set point omeostatico 150÷900 pg/ml) presentano, rispetto a chi ha concentrazioni più elevate, minori valori di massa magra, massa scheletrica totale e un indice di massa muscolare scheletrica più basso, con una più elevata prevalenza di sarcopenia e dinapenia.