definizione
Condizione di chi è profondamente afflitto e preoccupato, espressione di uno stato di ansia e di sofferenza intensa che tormenta l’animo per una situazione reale o immaginaria, accompagnato spesso da disturbi fisici, somato-emozionali e psichici di varia natura: la differenza sostanziale rispetto all’ansia è che l’angoscia deve esserne considerata l’evoluzione somatica, ovvero la somatizzazione del disagio, del dis-confort e del dis-stress che nasce dall’ansia; il termine angoscia viene fatto risalire al latino angustia (→ passaggio stretto, difficoltà) che, a sua volta, deriva dal verbo angere (→ stringere, soffocare, o in altri termini angosciare).
Questo stato deve essere considerato come più spinto e più grave dell’ansia e può esprimere non solo il mal-essere fisico, ma anche, talvolta la manifestazione di morbosità, quasi che fosse un morbo del “anima”, uno stato di turbamento che può derivare anche da una riflessione sulla propria esistenza; non di rado la disforia si accompagna a sofferenza morale e ad un senso di prostrazione e di inquietudine fisica sovrastati da un senso di minaccia incombente privo di cause riconoscibili e di possibilità di rimedio.
Occorre sottolineare che l’angoscia va distinta dalla paura, perchè questa è giustificata dalla consapevolezza di un pericolo determinato e oggettivo, e dall’ansia, che invece è legata al disagio che nasce dal timore indefinito o dalle fantasie ossessive.
angoscia come risposta al trauma
Leonardo Ancona sostiene che:
«L’angoscia si appropria a un processo psichico sostanzialmente diverso da quello dell’ansia. Infatti l’angoscia corrisponde alla situazione di trauma, cioè a un afflusso di eccitazioni non controllabili perché troppo grandi nell’unità di tempo. … L’ansia corrisponde invece a un processo di adattamento di fronte alla minaccia di un pericolo realistico; questo processo è una funzione dell’Io che se ne serve come di un segnale, dopo averla prodotta, per evitare di venire sommerso dall’afflusso traumatico delle eccitazioni. In questo caso l’Io del soggetto è attivo, in quanto produce l’affetto e se ne serve per trovare adeguati dispositivi di difesa, la carica pulsionale viene strutturalizzata e riprodotta senza base economica, cioè senza attuazione di scarica. La distinzione fra i due processi va mantenuta, interpretando la loro unificazione come l’aspetto di una cultura che presenta, di fronte a questa tematica, minore sensibilità per un probabile atteggiamento difensivo al riguardo. I processi a cui ci si riferisce sono in realtà distinti dal punto di vista economico, dinamico, strutturale, nonché da quello genetico. Trascurare questa distinzione produce quindi contraddittorietà e confusione» da “L’aspetto dinamico della motivazione, il conflitto psichico e i meccanismi di difesa”, (Nuove questioni di psicologia, I° vol., 1972, p. 918).
angoscia nella filosofia
Nella tradizione filosofica il termine angoscia deve essere fatto risalire a Søren Kierkegaard, che l’ha impiegata per designare la condizione dell’uomo nel mondo: a differenza della paura, che è un indispensabile meccanismo di difesa che scatta in presenza di un pericolo determinato, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso e di determinato, ma designa quello stato emotivo dell’esistenza umana che non è una realtà, ma una possibilità, nel senso che l’uomo diventa ciò che è in base alle scelte che compie e alle possibilità che realizza.
Ovviamente è di ogni possibilità tanto la possibilità-che-sì quanto la possibilità-che-no, per cui l’uomo è sempre esposto alla nullità possibile di ciò che è possibile, quindi alla minaccia del nulla: se nel possibile tutto è possibile, essendo l’esistenza umana aperta al futuro, l’angoscia è strettamente connessa all’avvenire, che è poi quell’orizzonte temporale in cui l’esistenza si realizza: il passato può angosciare in quanto si ripresenta come futuro, cioè come una possibilità di ripetizione; l’angoscia è legata a ciò che è ma può anche non essere, al nulla connesso a ogni possibilità, ma siccome l’esistenza è possibilità, l’angoscia è il tarlo del nulla nel cuore dell’esistenza.
Nella filosofia contemporanea il tema dell’angoscia è stato ripreso da Martin Heidegger che la differenzia sia dall’ansietà, manifestazione di quel senso di paura che insorge fin troppo facilmente negli esseri umani, sia dalla paura, in quanto abbiamo paura sempre di questo o di quell’ente determinato, che ci minaccia. Secondo Martin Heidegger, nell’angoscia, le persone si sentono “spaesate” perchè il senso di indeterminazione non ci offre alcun sostegno: l’angoscia rivela il niente.
Karl Jaspers distingue, viceversa una “duplice angoscia”’, quella dell’esserci e quella dell’esistenza: la prima è l’angoscia dell’uomo che non può nascondersi che ad attenderlo al termine della vita c’è la morte, di fronte alla quale sono possibili o la disperazione o la rimozione, con conseguente banalizzazione della vita; la seconda è quella dell’uomo che si è reso conto che la sua esistenza è un’apertura al senso che ha come sua ultima espressione l’implosione di ogni senso in occasione della morte. Rispetto alla prima forma di angoscia «dove la vita sembra perdersi angosciosamente nel vuoto», nella seconda forma «la morte esistenziale, di fronte alla morte biologica, finisce col portare alla più completa disperazione, per cui sembra che non sia possibile altra vita se non quella che si snoda tra l’oblio e l’illusione di un vuoto non-senso».