contorsioni

ultimo aggiornamento: 20 Aprile 2017 alle 2:24

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Contorcersi

“contorcersi dal dolore”: un modo di dire, una frase, che esprime una profonda sofferenza; la descrizione, forse, di qualcosa che abbiamo provato nella nostra vita e che possiamo capire perché immediatamente la nostra mente ritorna a quella sensazione, a quel ricordo.

Quante volte ci sentiamo contorti su noi stessi? Quante volte abbiamo avuto pensieri e comportamenti che al momento ci sembravano lineari, ma che, nel tempo, abbiamo poi scoperto essere contorti? Il nostro desiderio di perfezione e simmetria, di linearità, spesso ci porta a negare l’assoluta contorsione del nostro essere.

Fisiologicamente il nostro corpo è asimmetrico e tortuoso: se osservato di profilo, la nostra struttura mostra un alternarsi di curve, lordosi e cifosi, che ne caratterizzano la forma. Non stiamo parlando di alterazioni, di anomalie o patologie: nella cosiddetta normalità siamo comunque contorti.

In verità queste rotondità svolgono importanti funzioni protettive ed adattative: le curvatura a concavità anteriore (cifosi), quale la teca cranica, la gabbia toracica o la zona pelvica, creano, ad esempio, uno spazio che ospita organi vitali, garantendone la protezione. Le curve a concavità posteriore (lordosi), invece, quali il collo, la zona lombare o le ginocchia e l’arco del piede, assicurano al corpo la capacità elastica di assorbire tensioni, ridistribuendole, come una molla che compressa può ridistendersi.

Tale asimmetria, basata sull’alternanza di curve, è anche presente se osserviamo il corpo dorsalmente: la nostra colonna non è diritta, ma è caratterizzata anch’essa da un certo grado di asimmetria. 


La scoliosi, patologia così temuta, è, entro certi limiti, un processo fisiologico: è la asimmetria stessa del nostro corpo, nella diversa distribuzione degli organi, che genera queste sinuosità … …. per ospitarli si crea lo spazio necessario.

Così, nella gabbia toracica, il cuore, per quanto si ritagli lo spazio necessario alla sua presenza a scapito del polmone sinistro, provoca una modica curvatura della colonna; nell’addome, sulla destra sotto il diaframma, troviamo il fegato,  che con la sua massa distorce la colonna vertebrale per crearsi l’ambiente necessario. L’esigenza di trovare gli spazi necessari genera quella che è definibile una scoliosi fisiologica.

Solo quando ci contorciamo continuamente su noi stessi, in un momento essenziale come quello della crescita in cui le ossa formano le proprie matrici di accrescimento, la nostra naturale torsione diventa una scoliosi patologica.

Come il pampino della vite si attorciglia intorno ad un ramo di gelso, così noi, di fronte all’impossibilità di ergerci eretti, non sentendo il sufficiente sostegno, ci avvitiamo su noi stessi. La colonna vertebrale dovrebbe offrirci il sostegno per affrontare la vita a testa alta, guardando davanti a noi, in modo che i nostri occhi possano fronteggiare gli ostacoli sul nostro cammino. Questo può avvenire grazie all’azione combinata dei muscoli e di alcuni tessuti connettivali.

Spesso noi pensiamo alle nostre ossa come ad una impalcatura, ma a differenza di quest’ultima, senza la presenza di “tiranti” lo scheletro non è in grado di sostenersi da solo: grazie all’azione dinamica di muscoli, tendini e legamenti, le ossa possono garantirci la necessaria stabilità, e al contempo, l’indispensabile flessibilità e mobilità. Ma proprio per l’azione di dette strutture, ed in particolare dei muscoli, la componente osteo-articolare è indotta a modificare i propri rapporti, la relazione di reciprocità, cambiando i propri aspetti relazionali, inducendo il nostro corpo a piegarsi, curvarsi, contorcersi; solo in un secondo tempo le ossa adeguano la loro forma all’esigenza strutturale dei nuovi rapporti.

Se le tensioni si verificano durante la crescita, quando appunto le ossa sviluppano le proprie matrici, i propri nuclei di ossificazione, come un albero piegato dal vento, il nostro corpo si strutturerà intorno alle deformazioni. Spesso, quando osservo le persone, non posso fare a meno di pensare all’arte bonsai, dove la legatura, la piegatura, la tecnica di costringere e forzare porta alla ricreazione di alberi in miniatura che rappresentano gli aspetti estremi della capacità di sopravvivenza ai traumi inflitti dalla forza della natura.

Quando viceversa tali tensioni si verificano negli individui adulti, la resistenza intrinseca nel sistema osseo impedisce che le ossa stesse subiscano le maggiori deformazioni, creando viceversa tensioni che rimangono all’interno del sistema muscolare stesso che a volte subisce un processo di degenerazione difensiva, di ossificazione. E’ spesso quello che accade nelle artrosi, nelle calcificazioni, nella formazione di speroni ossei,  una sorta di “callo osseo” come risposta ad una azione di logoramento sulla componente muscolo-tendinea. Le nostre contorsioni, il richiuderci a difesa delle nostre parti vulnerabili lasciano dei segni tangibili nel nostro essere,  divenendo l’espressione corporea della nostra storia.

L’angoscia dei nostri amori negati o soffocati; le richieste di aiuto non espresse, rimandate nel tempo o non ascoltate: le fughe da una realtà che non accettiamo; le richieste inevase di libertà che urlano dentro di noi; le velate negazioni del nostro desiderio di reazione alla solitudine; il nostro orgoglio che ci porta a negare noi stessi ed i nostri errori costringendoci a ripercorrere continuamente gli stessi sentieri; i compromessi ed i sacrifici che ci siamo imposti alla ricerca di contropartite inesistenti; tutto ciò che, in estrema sintesi, possiamo chiamare percezioni ed emozioni negate, pesa come un macigno sulle nostre spalle, inducendoci a contorcerci su noi stessi.

E’ ciò che chiamiamo somatoemotività; la manifestazioni più fisica e reale di quello che proviamo dentro di noi, con le sue torsioni, tensioni, rigidità. E’ la negazione del nostro desiderio di accettarci ed essere accettati; la rabbia e la frustrazione del non essere disposti ad essere;  la paura di perdere quel poco che pensiamo di avere e che difendiamo con le unghie e con i denti; è il senso di colpa per il non sentirci all’altezza, e l’indifferenza e l’alienazione che ne consegue.

E se tutto questo avviene quando ci sentiamo troppo piccoli per osare difenderci e reagire, non ci resta che contorcerci, dimenticando le sofferenze e ricordando solo attraverso il nostro corpo, che la direzione verso cui andiamo con i nostri piedi non è quella dove guarda il nostro sguardo. Lasciando nei tessuti del nostro corpo una traccia, che rappresenta un segno tangibile della perdita di una pezzo della nostra libertà; come se dovessimo rinunciare ad una parte di noi per farci accettare … come se, per poterci integrare, dovessimo rinunciare alla nostra integrità … E, alla fine cambi e diventi quello che non sei, anche se non lo fai per scelta, ma lo fai per legittima difesa…

Con il necessario impegno e molta tenerezza, possiamo prenderci cura della nostra sofferenza e, affrancandoci dalle costrizioni e dalle compressioni che ci legano, abbiamo l’opportunità di emanciparci dalle catene che ci imprigionano, fino ad ergerci nuovamente. 

Ma questa è un’altra storia…

francesco gandolfi

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