Piccole vittime dell’ansia da prestazione, sottoposti a overdose di impegni, con differenti ed evidenti problemi emotivi o psicologici che induce il ricorso a droghe o psicofarmaci, incapaci di instaurare rapporti umani diretti…
Quale tipo di essere umano sta formandosi per il futuro?
Sembra un quadro un po’ drammatico della nuova generazione eppure, per quanto dipinto a fosche tinte, non è che una fotografia per difetto dei ragazzi e delle ragazze di oggi.Incapaci di vivere senza un cellulare, nuovo totem tribale della new generation che ha preso il posto del motorino nelle hit parade delle richieste e preferenze giovanili; stregati dal web ed in particolare dalle chat-line come strumento di conoscenza e comunicazione; spesso soli, per l’assenza di figure genitoriali, impegnate in una routine di lavoro sempre più pressante; parcheggiati in corsi di vario genere e spesso vittime delle ansie dei genitori, a cui sempre più spesso si sostituiscono o di cui diventano i confidenti; talvolta oppressi dal desiderio di “revance” di un padre od una madre che, attraverso l’affermazione del figlio o della figlia, sognano di poter avere/fare/essere ciò che non hanno potuto o voluto essere.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Eurispes, circa il 20% dei giovanissimi soffre di differenti problemi psichiatrici, l’8,6% fa uso di tranquillanti e di antidepressivi; la Società Italiana di Pediatria afferma che il 66% degli under 15 si collega in chat per cercare nuovi amici, senza preoccuparsi eccessivamente dell’età dei propri interlocutori, cercando di costruire rapporti interpersonali che vicariano quelli naturali, o, in alternativa, ricorre a telefonino e SMS come “normale” strumento di incontro con gli amici.
La modifica sostanziale degli stili di vita cui siamo stati sottoposti negli ultimi anni, spesso senza nemmeno rendercene conto, la paura che sempre più ci attanaglia e che, inconsapevolmente trasmettiamo ai nostri figli, ci ha allontanato dal contatto quotidiano, inducendoci a limitare sempre più le nostre relazioni ed amicizie: è più facile incontrarsi con persone conosciute in un viaggio che con i nostri vicini di casa.
Anche i nostri figli spesso risentono di questa “sindrome”: mentre una volta scendere a giocare in strada era la cosa più normale di questo mondo (e stiamo parlando di pochi anni fa), oggi la città o il quartiere non sono più un luogo di avventura da scoprire in sella ad un motorino, dove poter fare incontri o nuove esperienze senza essere guardati a vista dagli adulti, ma sono diventati una realtà giungla che o viene evitata o porta immancabilmente verso realtà di marginalizzazione o condivisione di un disagio esistenziale che spesso confluisce nella “canna” fatta in compagnia, giusto per rilassarsi.
Non sono in grado di comprendere fino in fondo la relazione fra questi disagi, che sempre più si manifestano fra i ragazzi, e le manifestazioni fisiche che, con frequenza allarmante, spingono ragazzi e ragazze a rivolgersi al Centro di Kinesiologia Transazionale o agli operatori aderenti alla Associazione Europea di Kinesiopatia, ma di una cosa sono certo: le manifestazioni di disagio sono in netto aumento.
Non sta a me indagare le cause sociologiche o sociali di questo disagio, anche se alcune congetture possono essere ipotizzate con una buona approssimazione, ma quello che stiamo notando è un fenomeno che ci obbliga a riflettere sia come terapisti sia come genitori. Ricordiamo che, spesso, la malattia, oltre che una somatizzazione dello stress, rappresenta una richiesta di attenzione, riconoscimento ed accettazione, una domanda di comunicazione e rapporto che non può essere sostituita solo dall’intervento del medico.
Oltre alle scoliosi, che comunque a mio avviso sono in aumento, notiamo un notevole incremento delle lordosi (aumento della curvatura a livello lombare), con fenomeni addirittura di ernie in ragazze giovanissime (12/13 anni); bruxismo ed atteggiamento di serraggio dei denti fin dai 5/6 anni con conseguenze disastrose per la masticazione ed i denti stessi; innumerevoli segni di disagio e stress, che si manifestano in molteplici e poliedriche forme; allergie respiratorie, cutanee o alimentari; disturbi dell’alimentazione tanto per citare alcune tipologie delle sofferenze che incontriamo nella nostra pratica clinica.
Penso che possa far riflettere la relazione esistente fra la paura e certe somatizzazioni che ognuno di noi manifesta: come ogni animale, di fronte a ciò che percepiamo come pericoloso, tendiamo a trattenere il respiro per renderci “inevidenti”; la tensione di questo semplice atto viene concentrata sul nostro maggiore muscolo respiratorio, il diaframma, che, col suo stato spastico, è uno dei principali responsabili dell’aumento della curvatura della zona lombare e contribuisce allo sviluppo della scoliosi. O ci dobbiamo chiedere come mai i problemi dell’articolazione temporo-mandibolare, il bruxismo, il serrare i denti, siano in aumento esponenziale, denotando una sempre maggior difficoltà di accettare la vita senza una forte componente competitiva associata al senso di non farcela.
Se non altro, risulta singolare non solo la modificazione che i “disturbi a origine psicosomatica” stanno subendo, ma il fatto che colpiscano fasce di persone sempre più giovani, fino a livello pediatrico. Possiamo dire che il nostro “bisogno di soffrire” stia trasformandosi, cambiando le sue manifestazioni (dall’ulcera, dall’ipertensione essenziale o dall’infarto stiamo avviandoci verso le allergie, la “sindrome dell’ATM”, la candidosi, l’iperglicemia e gli ipoinsulinismi) ma soprattutto divenendo la forma di comunicazione che i nostri figli stanno sempre più utilizzando come espressione di un disagio che attraversa trasversalmente la nostra società.
La società delle chat e degli SMS, delle e-mail dove, pur essendo sempre raggiungibili, non ci permettiamo di essere veramente “afferrati”, riducendo quel contatto e quella spontaneità che, almeno una volta, i bambini ci ricordavano coi loro atteggiamenti di immediatezza.