ultimo aggiornamento: 28 Maggio 2025 alle 13:58
definizione
Anomalo ed esagerato accumulo di linfa in vari distretti dell’organismo, in grado di provocare gonfiore localizzato, soprattutto a braccia, gambe, tronco e viso; una condizione patologica cronica, a carattere evolutivo, disabilitante ed ingravescente, contraddistinta da un ristagno di linfa nei tessuti conseguente ad un blocco, ad una alterazione o ad una compromissione del sistema linfatico: il ristagno è il risultato di un sovraccarico funzionale del sistema linfatico che comporta un insufficiente drenaggio del liquido accumulato nell’interstizio e gonfiore eccessivo ed invalidante di uno o più arti (o di altre parti del corpo).
Il linfedema interessa tipicamente gli arti inferiori o superiori, nonostante possa verificarsi in qualsiasi parte del corpo, compresi genitali, viso, collo, torace, bacino e cavità orale: quando il normale flusso linfatico viene ostacolato, il liquido si accumula, originando il tipico gonfiore che caratterizza il linfedema e può portare a cambiamenti della pelle e dei tessuti; segni e sintomi del linfedema includono anche sensazione di pesantezza, tensione, indolenzimento o deficit funzionale dell’arto coinvolto: il linfedema riduce la funzionalità dell’arto o dell’area interessata ove si riscontra la presenza di una infiammazione cronica a basso livello, spesso negletta o sottovalutata, causando talvolta dolore o predisponendo allo sviluppo di infezioni ricorrenti ed alterazioni cutanee.
Per quanto apparentemente assimilabili, edema e linfedema sono due entità separate: sebbene entrambe le condizioni sono caratterizzate dalla presenza di gonfiore nei tessuti interstiziali, si differenziano per l’eziopatogenesi e per la composizione del liquido accumulato, anche se si potrebbe affermare, entro certi limiti, che il linfedema è una forma di edema linfedemico: il linfedema è un accumulo di linfa, un liquido ricco di proteine che fa parte del sistema linfatico, causato solitamente da un’ostruzione dello stesso, che ne impedisce il corretto deflusso verso il sistema cardiocircolatorio, mentre nell’edema (edema non linfedemico) l’accumulo di liquido non è necessariamente il prodotto della stasi linfatica, ma può dipendere da una diminuzione della concentrazione proteica o della pressione colloido-osmotica del plasma, da una alterazione della funzionalità cardiaca, da un aumento della pressione a livello dei capillari sanguigni o della permeabilità capillare, oppure da altre cause che provocano il ristagno di liquidi negli spazi interstiziali dei tessuti (il sistema cardiaco è momentaneamente incapace di effettuare un normale riassorbimento ed il sistema linfatico non è in grado di procedere ad uno smaltimento dei liquidi presenti negli interstizi, superiore alla norma).
Edema e linfedema appaiono simili, per quanto concerne l’aspetto visivo e la consistenza: una leggera pressione nell’area ove sono presenti causa il cosiddetto “pitting” o il segno della fovea, un’indentatura (fossetta) nel punto in cui la viene esercitata la pressione: l’edema non linfedemico, non essendo propriamente un ristagno di linfa ma, per lo più, un accumulo di acqua, non solo non è così soggetto a infezioni quanto la linfa ma, a meno che non sia causato da malattie croniche, è facilmente risolvibile, come quello causato da stati momentanei quali la gravidanza; qualora l’edema sia il risultato di patologie croniche, un miglioramento della diuresi agevolerà il riassorbimento, atteggiamento che solitamente non sortisce effetti significativi nel linfedema.
il sistema linfatico
Occorre innanzitutto ricordare che il sistema linfatico è parte integrante del sistema cardiocircolatorio e, pur non irrorando i tessuti, svolge il fondamentale compito di depurare e controllare la costanza della composizione e della quantità dei liquidi nei tessuti connettivali (liquido interstiziale), che avvolgono ogni struttura del nostro corpo: in essi avvengono la maggioranza degli scambi di sostanze metaboliche e la stabilità dell’ecosistema cellulare è fondamentale per l’anabolismo ed il catabolismo dell’organismo: un loro squilibrio può determinare gravi problemi ad ogni organo o ad ogni viscere.
La linfa non è altro che il liquido interstiziale che si forma per la filtrazione dai capillari sanguigni e l’azione di drenaggio agisce non solo sui liquidi, ma provvede anche ad allontanare le proteine ed il materiale grossolano depositato nei tessuti che non potrebbe essere diversamente rimosso, pertanto si può affermare che il compito del sistema linfatico è quello di depurare e controllare la quantità e la qualità dei liquidi in cui avvengono questi scambi ed a trasportare questa miscela di liquidi e sostanze verso il sistema cardiocircolatorio propriamente detto; a differenza di quest’ultimo, pur essendo ugualmente composto da capillari e vasi, il sistema linfatico se ne differenzia sostanzialmente non solo per la diversa struttura dei vasi ma, soprattutto, per la presenza di un sistema di gangli con funzioni difensive dell’organismo: la sua funzione primaria consiste nel raccogliere la linfa che si forma costantemente dalla trasudazione che avviene dai capillari arterovenosi e che contiene proteine, particelle di notevoli dimensioni, grassi oltre a vari costituenti del sangue dagli spazi posti fra le varie cellule del nostro corpo e di riportarla verso la circolazione sanguigna.
Senza questa azione fondamentale difficilmente riusciremmo a sopravvivere oltre le 24 ore ed anche problemi minimi a questo importante sistema hanno ripercussioni evidenti; alcuni esempi possono essere dati da malattie quali l’elefantiasi, malattia dove il mancato deflusso della linfa provoca una deformazione del tessuto rendendolo simile a quello di un elefante, o lo shock allergico, dove un improvviso aumento della permeabilità dei capillari provoca una fuoriuscita di liquido da questi con abbassamento della pressione sanguigna e pericolo di morte.
L’azione di pompaggio di questa linfa avviene fondamentalmente grazie a fattori intrinseci quali la contrazione dei vasi linfatici, la presenza di valvole che consentono un flusso unidirezionale verso il sistema circolatorio, ed a fattori estrinseci come l’attività muscolare (che esercita un’azione compressiva a pompa sui vasi linfatici), pulsazione arteriosa (che induce una pulsazione indiretta sui vasi linfatici che decorrono assieme ai vasi sanguiferi nei fasci neuro-vascolari (formazioni anatomiche che contengono arterie, vene, nervi ed i vasi linfatici, spesso raggruppati insieme in un’unica struttura) presenti nella fascia, oltre ad eventuali pressioni esercitate dall’esterno; dagli arti inferiori del corpo fluisce verso l’alto attraverso la cisterna chyli ed il dotto toracico (ove viene anche convogliata la linfa dal braccio e dal lato sinistro della testa) che si sfoga nella vena succlavia di sinistra, mentre dal lato destro della testa, dal braccio destro e da una piccola parte del torace superiore defluisce verso il basso alla succlavia destra attraverso il dotto linfatico destro.
La linfa non è altro che il liquido interstiziale che si forma per la trasudazione dai capillari arterovenosi: il sistema linfatico rappresenta una delle principali vie di assorbimento, distribuzione ed eliminazione di sostanze; soltanto un decimo del liquido filtrato all’estremo arteriolare dei capillari sanguigni penetra nel sistema linfatico, la cui funzione prioritaria è quella di permettere il ritorno delle macromolecole al sistema circolatorio.
Quasi tutta la linfa prodotta nel corpo confluisce nel dotto toracico e, attraverso esso, si riversa nella vena giugulare interna di sinistra mentre la linfa che proviene dalla parte destra del capo, dal braccio e dall’emitorace destro si immette nel dotto toracico destro che confluisce nel sistema venoso all’altezza della congiunzione fra la vena succlavia destra e la giugulare interna destra: nell’uomo, in condizione di riposo, passano attraverso il dotto toracico circa 100 ml/ora di linfa.
Tutti i tessuti dell’organismo possiedono vasi linfatici col compito di favorire il drenaggio di ogni eccesso di liquido presente nel tessuto interstiziale: anche in quei pochi tessuti dove non esistono capillari linfatici, quali la parte superficiale della cute, le parti più profonde dei nervi, l’endomisio osseo e muscolare ed il sistema nervoso centrale (S.N.C.), esistono canalicoli interstiziali che tendono a riversarsi in vasi linfatici presenti alla periferia di tali strutture o, come nel caso del S.N.C., nel liquido cefalorachidiano e da qui direttamente nel flusso sanguineo.
La struttura di base del sistema linfatico è il capillare, un sottile filamento cavo, che inizia a cul-de-sac, la cui parete è costituita da cellule endoteliali fissate al connettivo presente nei tessuti, tramite piccoli filamenti di ancoraggio: le cellule endoteliali non sono unite saldamente fra di loro, ma tendono a sovrapporre i propri lembi, costituendo di fatto strutture valvolari che permettono a macromolecole, quali le proteine, di penetrare liberamente all’interno del lume vasale, senza poterne uscire; il liquido interstiziale, assieme alle particelle in esso sospese ed alle macromolecole, in questo modo non può uscire in quanto ogni flusso retrogrado provocherebbe la chiusura dei lembi del vaso.
I capillari linfatici non sono dotati di strutture muscolari, ma di una serie di fibre mioendoteliali che inducono una contrazione del capillare, provocando una spremitura del contenuto dello stesso verso il vaso linfatico collettore, durante la quale i filamenti di ancoraggio esercitano una azione di trazione sulla parete capillare che induce una aspirazione di liquido interstiziale all’interno del capillare stesso; il flusso di linfa che dai capillari si muove verso il dotto toracico tramite i vasi linfatici collettori è ininterrotto ed una serie di valvole, poste a pochi millimetri una dall’altra, impedisce il reflusso nei vasi linfatici: ogni volta che un capillare od un vaso subisce una pressione, la linfa viene spinta nelle due direzioni, ma, grazie alle valvole, la progressione avviene solo in senso centripeto, cioè verso il sistema cardiocircolatorio.
La compressione dei vasi linfatici può avvenire per contrazione della muscolatura dei vasi stessi, peraltro minima, o per compressione esercitata dalle strutture circostanti: la compressione della muscolatura intrinseca del linfatico avviene per reazione all’aumento di pressione endoluminale fungendo da pompa automatica, favorendo un’onda sfigmica di riempimenti e svuotamenti consequenziali e consecutivi dei tratti linfatici posti fra le valvole, mentre la compressione dall’esterno può avvenire per effetto della contrazione muscolare viciniora, movimenti passivi delle parti corporee o degli arti, pulsazioni arteriose, compressione esterna dei tessuti; durante la moderata attività fisica, il flusso linfatico può aumentare da 5 a 15 volte il flusso presente durante il riposo.
Nonostante all’interno dei tessuti, nello spazio interstiziale, esista una pressione negativa, che tende quindi a richiamare liquido, l’azione di suzione esercitata dal capillare tende a superare la resistenza allo spostamento di liquidi: la pressione osmotica tissutale tenderebbe ad aumentare, a causa del continuo trasudato proteico che deriva dai capillari circolatori, ma è questa stessa pressione, assieme al meccanismo di suzione del sistema linfatico, a spingere liquido all’interno dei capillari linfatici; il movimento di liquidi provoca, contemporaneamente, un trascinamento sulle proteine, spingendo nuovamente la pressione tissutale a scendere. L’entità del flusso linfatico è, quindi, determinata dal prodotto della pressione del liquido interstiziale per l’attività della pompa linfatica: la quantità di linfa che il sistema linfatico è in grado di mobilizzare dai tessuti ha un suo massimo dipendente dai limiti intrinseci al sistema stesso, infatti, pur aumentando la pressione tissutale o la compressione, i capillari linfatici non possono aumentare la loro portata in quanto il flusso massimo è di circa 20 volte quello a riposo.
Il flusso linfatico è piuttosto lento, sia perché manca di una spinta come quella del cuore, sia perché nel suo cammino verso il sistema circolatorio incontra varie stazioni linfonodali dove vengono rimosse e/o disgregate sostanze dannose per l’organismo; talvolta, però, si può verificare un tale rallentamento da “intasarsi” e provocare disturbi: questo è quello che, sostanzialmente accade, nel linfedema.
Una volta che il tessuto diventa edematoso, anche i capillari linfatici subiscono una congestione, che provoca un allontanamento delle cellule endoteliali, con conseguente diminuzione della capacità valvolare dei lembi; secondariamente, l’aumento della pressione tissutale tende a provocare un collasso dei capillari stessi (occorre ricordare che i capillari linfatici non possiedono una propria struttura rigida), per cui l’entrata di liquido è contrastata dalla compressione esercitata sulle pareti: l’azione del sistema linfatico è prevalente e determinante soltanto prima che un edema si sviluppi nel tessuto.
Un altro ruolo importante, anche se indiretto, del sistema linfatico è quello di conferire compattezza ai tessuti: infatti la pressione negativa presente a livello del liquido interstiziale, mantenuta dai meccanismi sopra descritti, provoca in realtà un vuoto parziale, che conferisce consistenza ai tessuti; questo vuoto parziale conferisce “asciuttezza” al tessuto (presenza soltanto del liquido necessario a colmare gli spazi tra elementi dei tessuti) favorendo ed ottimizzando gli scambi nutritizi a livello cellulare (la velocità di diffusione di un soluto è inversamente proporzionale alla distanza fra cellule e vasi), mentre quando i tessuti perdono la loro pressione negativa, si assiste ad un accumulo di liquido negli spazi, con formazione di un edema.
eziopatogenesi del linfedema
Si parla di linfedema in presenza di qualsiasi ristagno di liquido dei tessuti dovuto a una compromissione o blocco del sistema linfatico, ovvero l’edema linfedemico è dovuto ad una agenesia o ipoplasia linfatica (forme primarie, dovuta all’insufficiente sviluppo delle strutture anatomiche deputate al drenaggio della linfa) o all’ostruzione o alla distruzione dei vasi linfatici: in questo secondo caso si parla di forme secondarie, dipendenti dall’ostruzione dei collettori linfatici per parassitosi (come nella filariosi) dalla presenza di metastasi tumorali nelle stazioni linfonodali, o per distruzione chirurgica o radioterapica negli interventi oncologici con resezione delle stazioni linfonodali; in realtà si possono osservare forme secondarie lievi o non così gravi, conseguenti ad adenopatie, alla sindrome postflebitica, alla linfangite o nel caso in cui si verifichino compressioni nel decorso dei vasi.
Nelle prime fasi del linfedema, l’edema scompare se l’arto (o la porzione corporea affetta) viene sollevato o messo in una condizione di drenaggio gravitazionale ma, in genere, la condizione tende a peggiorare progressivamente, in quanto l’edema diventa via via più evidente propendendo a perdurare anche in condizioni di “scarico”, non scomparendo completamente, caratterizzato da fibrosi intradermica, dovuta alla deposizione delle proteine e all’attivazione dei fibroblasti; il linfedema si verifica quando i vasi linfatici non sono in grado di drenare adeguatamente la linfa causando di conseguenza un accumulo cronico e progressivo di liquido ricco di proteine all’interno dell’interstizio e del tessuto fibro-adiposo supera la capacità del sistema linfatico di trasportare il liquido.
Da una fase iniziale l’edema linfedemico è comprimibile, cioè improntabile, ovvero se l’edema viene compresso lascia il cosiddetto segno della fovea (un’impronta più o meno profonda e transitoria) si passa ad uno stadio contraddistinto dalla perdita della comprimibilità ed un incremento dell’infiammazione dei tessuti molli che tendono a esitare precocemente in fibrosi. Spesso il linfedema diviene evidente quando il gonfiore è stabile e persistente e quindi in uno stadio clinico intermedio o avanzato; sintomi patognomonici sono la scomparsa del segno di Stemmer, l’ispessimento della pelle che diventa rugosa (ipercheratosi) e può diventare scura e ulcerata, mentre altri sintomi come la febbre ed una sensazione di malessere totale sono la conseguenza di ripetuti episodi infettivi ricorrenti (linfangiti) e spesso subentra l’infiammazione cronica, degenerativa del tessuto connettivo lasso e del tessuto adiposo con conseguente sviluppo di lipedema. Lo stadio più grave di linfedema associato ad un significativo aumento della fibrotizzazione e dell’incremento del volume del tessuto, il quale diviene duro per l’accumulo di materiale adiposo e per le alterazioni fibrotiche che ne modificano la consistenza: le alterazioni cutanee come ispessimento della cute, iper-pigmentazione, aumento delle pieghe e depositi di tessuto adiposo possono essere accompagnate da infezioni batteriche e fungine della pelle e delle unghie a causa della diminuita capacità del sistema immunitario di rispondere all’attacco di batteri esterni, con linfangite e linfadenopatia; l’elefantiasi può essere considerata la forma più avanzata del linfedema, una malattia che provoca un abnorme ispessimento della pelle e del tessuto connettivo sottostante, specialmente delle gambe e dei genitali.
In caso di mancato trattamento, il linfedema può complicarsi ed esitare in una fibrosi diffusa per effetto della cicatrizzazione del derma, con un irrigidimento delle aree coinvolte che, se compresse, non sono improntabili (la compressione della zona non lascia il segno della fovea): la fibrotizzazione può danneggiare ulteriormente i vasi linfatici, aumentando il gonfiore, fino a portare alla pachidermia ed alla elefantiasi, una condizione caratterizzata da gonfiore cronico, ispessimento della cute che diviene dura e secca; la perdita di elasticità del derma comporta a sua volta una maggiore possibilità di provocarsi ferite, con conseguente maggiore suscettibilità a infezioni batteriche e fungine delle pliche cutanee, linforrea (eccessiva produzione di linfa) e linfangite che può evolvere in una linfoadenopatia.
Quest’ultima, generalmente, è secondaria ad un’infezione microbiche, localizzata nelle lesioni della cute che si formano nelle pieghe interdigitali, dovute a infezioni fungine o batteriche, oppure da ferite della mano: la linfangite è abitualmente streptococcica con conseguente erisipela, o stafilococcica; la zona colpita diventa eritematosa e caldo, con strisce eritematose che possono estendersi prossimalmente dal punto di ingresso ed eventualmente infezioni locali o cellulite.
la gestione del linfedema
Il trattamento del linfedema è ovviamente finalizzato alla riduzione dell’edema, al miglioramento della sintomatologia ed alla gestione dei disturbi funzionali correlati: è fondamentale, per il professionista del ben-essere, poter intervenire nelle fasi iniziali del linfedema in quanto con il peggiorare delle manifestazioni si riduce la possibilità di ottenere risultati significativi; occorre ricordare che prendersi cura del linfedema non significa guarirlo, in quanto, in genere, i miglioramenti delle parti interessate, sono temporanei, soprattutto nelle forme primarie o se vi sia una distruzione della rete linfatica. Chi soffre di questo disturbo necessiterà di un supporto prolungato e continuativo, impedendo ai sintomi di ripresentarsi ma soprattutto per evitare che il linfedema degeneri pericolosamente pericolosamente: questo non significa che non vi possano essere “intervalli liberi” (o “intervalli di riposo”, cioè periodi in cui non si effettuano trattamenti) ma che, anche nel caso in cui si osservi una significativa riduzione dei segni clinici, è necessario non abbassare la guardia e tenere sotto controllo il possibile incremento dell’edema, per poter agire prontamente.
La miglior profilassi del linfedema parte comunque dalla prevenzione, volta a ridurre lo sviluppo o l’aggravarsi della patologia e le complicanze ad essa associate. I pazienti ad alto rischio vengono invitati a monitorare cambiamenti di dimensione, colore e temperatura del braccio affetto. Devono sempre prestare molta attenzione all’igiene del braccio malato per prevenire infezioni. Infatti, con l’alterazione del circolo linfatico viene alterato anche il ruolo di difesa immunitaria da esso mediato. Questo predispone a infezioni come episodi di celluliti che possono guarire con difficoltà e recidivare. Anche per questo è importante prevenire lesioni di continuo della cute.
Sebbene il linfedema sia una patologia cronica per la quale non esiste una cura, un trattamento riabilitativo specifico può essere utile a ridurre il volume dell’arto e migliorare la qualità di vita dei pazienti che soffrono di linfedema.
linfodrenaggio – riflessi neurovascolari
Tradizionalmente, uno dei cardini del trattamento del linfedema è rappresentato dal linfodrenaggio secondo il metodo Vodder, un massaggio manuale attraverso cui viene stimolato il sistema linfatico, efficace nel ridurre il gonfiore: per quanto, attraverso la stimolazione delle stazioni linfonodali ed il pompage, venga favorito il drenaggio della linfa che ristagna nei tessuti, questa tecnica, per poter essere efficace, richiede continui trattamenti e non prende in considerazione la presenza di compressioni o blocchi che limitano il deflusso della linfa verso il cuore.
La Kinesiologia Transazionale® è in grado di intervenire sul linfedema attraverso la stimolazione di punti riflessi, detti riflessi neurolinfatici, identificati dal Dr. Frank Chapman, un osteopata statunitense che, all’inizio del secolo scorso, svolse un prezioso lavoro di ricerca che permise di evidenziare la presenza di punti sul corpo in grado di riattivare la circolazione linfatica; il suo lavoro venne approfondito dal Dr. Charles Owens che mise in relazione questi punti con disturbi del sistema endocrino, pubblicando le scoperte originali compiute dal Dr. Chapman verso la fine degli anni ‘30 del novecento (C. Owens – “An Endocrine Interpretation of Chapman’s Reflexes”): i riflessi di Chapman possono essere descritte come contrazioni “gangliformi”, presenti nelle fasce muscolari che inducono alterazioni della superficie cutanea. L’entità della contrazione presente a livello miofasciale può variare da un micronodulo appena percepibile a quella di un pisello, quando evidenziate nella zona toracica o pelvica, sia anteriormente che posteriormente; a livello degli arti inferiori i riflessi di Chapman possono evidenziarsi come placche amorfe o placche fibrose, mentre, sulla zona posteriore del corpo, si possono manifestare come microedemi.
L’importanza di questi riflessi nella gestione del linfedema è dovuta al fatto che, agendo sulle restrizioni fasciali, sono in grado di influenzare direttamente il movimento di liquidi corporei, ed in particolare della linfa: il meccanismo di azione attraverso cui i riflessi di Chapman agiscono, sembra essere mediata dalla stimolazione diretta (attivazione) di recettori afferenti al sistema simpatico, che provoca un aumento o diminuzione del flusso ematico a livello dei vasi afferenti ed efferenti che drenano i tessuti, con conseguente modificazione del flusso linfatico della zona; attraverso le fibre simpatiche, vengono anche influenzati i linfonodi zonali e quelli degli organi vitali e pertanto sono in grado di produrre significativi cambiamenti nel flusso linfatico (deflusso della linfa) aiutando la rigenerazione tessutale e il ricambio metabolico. L’effetto sul linfedema può rivelarsi più duraturo, rispetto al linfodrenaggio manuale, proprio perchè, come tutti i riflessi, la stimolazione di questi punti è in grado di operare una sorta di “reset” sugli effetti a livello fasciale che inducono le posture antalgiche: le tensioni muscolari provocano la formazione di “cisti energetiche”, ovvero zone che, in qualche modo, vengono isolate (almeno parzialmente) dalla percezione nervosa per essere “protette”, nel tentativo di ridurre le memorie del dolore e delle esperienze traumatiche associate: la stimolazione dei riflessi neuro-linfatici contribuisce, a livello fasciale, alla reintegrazione delle informazioni sensoriali provenienti dai tessuti nello schema di percezione globale, migliorando il drenaggio linfatico e riattivando il metabolismo.
Cranio-Sacral Repatterning® e linfedema
Anche il ricorso a tecniche del Cranio-Sacral Repatterning®, quali l’unwinding fasciale, possono contribuire significativamente a migliorare la circolazione linfatica, ripristinando il normale flusso nei tessuti e nelle vie di drenaggio fisiologico: in particolare, alla presenza di cicatrici o aderenze nei tessuti fasciali, la liberazione delle restrizioni è un elemento essenziale per permettere la ripresa di un corretto scambio metabolico e del naturale flusso linfatico; occorre ricordare che anche le tensioni croniche a livello muscolare, con le loro ripercussioni sulle articolazioni e sulla fascia, possono contribuire alla creazione del linfedema.
il contributo della Kinesiopatia®
Le restrizioni a livello dell’inguine (spesso associate ad una situazione di spasmo cronico del muscolo psoas), della cisterna del Pecquet (associata frequentemente all’ipertono del muscolo diaframma), dell’unione del dotto toracico con la vena cava (limitato dalle compressioni dell’area sottoclaveare) possono non solo limitare l’efficacia del linfodrenaggio, ma causare un vero e proprio flusso linfatico retrogrado in grado di aumentare la portata e l’entità del linfedema: la Kinesiopatia® offre strumenti efficaci per intervenire su queste restrizioni, accelerando e incrementando la riduzione del linfedema; l’utilizzo sinergico di queste tecniche, eventualmente in associazione con bendaggi elastocompressivi (eventualmente con bende con ossido di zinco) o con tutori elastici, permette di amplificare l’effetto ottenibile dai singoli trattamenti.
Nell’ambito di un programma di miglioramento personalizzato, l’artigiano della salute non deve sottovalutare l’importanza che può rivestire un esercizio fisico adeguato e progressivo, finalizzato a promuovere non tanto l’eventuale controllo del peso o il miglioramento della forza muscolare e l’endurance alla fatica, quanto piuttosto il benessere psicofisico che ne scaturisce, associato al movimento aerobico ed armonico (come nel cross crawling, che favorisce anche la coordinazione neuro-muscolare nella deambulazione); gli effetti positivi possono ripercuotersi anche sulla funzione cardiovascolare e sull’articolarità degli arti affetti, soprattutto rispettando il R.O.M. fisiologico e la mobilità individuale, ovvero non sovraccaricando il corpo ma piuttosto prediligendo l’attività aerobica a bassa resistenza, evitando l’overtraining e l’overreaching: questo tipo di movimento stimolano la pompa muscolare che favorisce il ritorno linfatico e aumentano la pressione intra-addominale che facilita l’afflusso linfatico al dotto toracico. Anche gli esercizi in acqua, grazie ai potenziali effetti positivi della pressione idrostatica e dell’effetto massaggiante dell’acqua sulla pelle possono rivelarsi un aiuto in questo processo di riattivazione del sistema linfatico.
linfedema ed integrazione nutrizionale
Una appropriata integrazione alimentare può rivelarsi efficace sia come forma di complemento terapeutico, sia come viatico per la gestione del linfedema; i flavonoidi e la cumarina sono da sempre considerati utili nel trattamento del linfedema, ma il ricorso a nutraceutici in forma sinergica offre un atout al professionista del ben-essere che può rivelarsi di grande aiuto nel trattamento della stasi linfatica: la combinazione di integratori alimentari che agiscano sull’infiammazione dei tessuti con supplementi nutrizionali capaci di favorire il drenaggio dei tessuti e la diuresi può essere un mezzo estremamente efficace per gestire il linfedema.
Il DIU-PLUS (NW1101) è un valido complemento terapeutico nel linfedema non solo per la sua azione moderatamente diuretica, ma anche per le proprietà antiossidanti dei flavoni (bioflavonoidi, isoflavoni …) e protettive sul circolo capillare e linfatico: Taraxacum Officinale, Medicago Sativa, Foeniculum Vulgare, Equisetum Hyemale, Apium Graveolens ed Arctostaphylos Uva-Ursi si integrano sinergicamente svolgendo una potente azione antimicrobica ed antinfiammatoria.
Per quanto il linfedema si manifesti spesso come l’espressione localizzata di uno squilibrio sistemico, l’applicazione diretta sulla cute dell’area interessata di sostanze antinfiammatorie ed antiossidanti può migliorare significativamente il quadro clinico: l’impiego topico di ENZYME PFORESIS ICE (NW1808), grazie all’azione transcutanea dei suoi componenti, è in grado non solo di lenire il dolore spesso presente, ma di ridurre il gonfiore e la flogosi, favorendo una parziale risoluzione dell’edema; questo gel ad azione topica integra l’azione antiinfiammatoria ed antiedemigena della bromelina, e di altri enzimi antiflogistici (pancreatina, papaina, chimotripsina …), con la superossido dismutasi, rame, manganese, selenio, zinco, olio di Lavanda (Lavandula Angustifolia), Aloe Vera, Mentha Piperita e Arnica Montana, favorendo sia il sollievo dai sintomi, sia un progressivo miglioramento dell’edema linfedemico, potendo essere utilizzato anche in caso di escare non infette, in via di guarigione.
Il PRO-EN-ZYME (NW3500) può svolgere un ruolo significativo nella riduzione dei processi infiammatori, con un’azione assimilabile agli inibitori delle ciclossigenasi, grazie all’associazione della bromelina con i curcuminoidi (Curcuma Longa), astragalosidi (Astragalus Membranaceus), equisetonina, glucosidi flavonici ed alcaloidi (Equisetum Arvense), e con enzimi (proteasi e cellulasi) e vitamina C (acido ascorbico) in grado di potenziarne l’effetto antinfiammatorio; anche il LYSO-LIPH FORTE (NW1486) (contenete 80mg/compressa di bromelina, in associazione a zinco, pancreatina, chimotripsina, tripsina, papaina, rutina), grazie all’azione antinfiammatoria sistemica, è in grado di diminuire la presenza di linfedema, favorendo la rimozione dei detriti cellulari e ridurre i processi flogistici presenti nel sistema linfatico.
Effetti simili possono essere ottenuti anche grazie all’uso di ENZYME FORTE (NW1476) grazie alla presenza di pancreatina, chimotripsina e proteasi che con la loro azione proteolitica sono in grado di attenuare i processi infiammatori, la cui azione è amplificata dal cromo contenuto in questo integratore alimentare; il TOTAL FLM (NW2712), una miscela sinergica ove la peculiare attività antinfiammatoria ed antidolorifica del rizoma della Curcuma Longa (ricco di curcuminoidi) è sinergizzato nella sua azione antiflogistica dalla presenza di Boswelia Serrata, Zingiber Officinale (zenzero), Silybum Marianum (cardo mariano), Capsicum Annuum in associazione con quercitina, glutatione e acido α-lipoico: questa miscela di nutraceutici è in grado di svolgere sia un’attività detossificante, sia un’azione antidolorifica ed antinfiammatoria, utile per trattare l’infiammazione cronica a basso livello, apportando significativi benefici al quadro sintomatologico del linfedema.
protocollo per il supporto nutrizionale del linfedema
Occorre ribadire ancora una volta che i miglioramenti, anche significativi, ottenibili nei vari distretti corporei affetti da linfedema, non sono da considerarsi una “guarigione”, quanto piuttosto una remissione, seppur potenzialmente duratura; allo stesso tempo, essendo una disfunzione a lenta insorgenza cronicizzante, l’esordio è subdolo e può essere trascurato, portando chi soffre di questa problematica a rivolgersi al professionista del ben-essere quando il quadro clinico è conclamato, rendendo necessario un trattamento prolungato e continuativo per ottenere risultati significativi.
Il trattamento del linfedema attraverso l’utilizzo di integratori alimentari richiede costanza e una certa dose di pazienza, soprattutto quando non sia accompagnato dall’intervento sul piano somatico: la compliance al trattamento, che in ogni caso sarà personalizzato da parte dell’artigiano della salute, in base alle necessità di supplementazione individuale, è un elemento fondamentale per ottenere risultati duraturi; l’utilizzo del test del muscolo indicatore, oltra a evidenziare carenze nutrizionali personali e specifiche (attraverso il profilo nutrizionale), nelle mani del professionista competente e preparato è uno strumento utilissimo per individualizzare il protocollo di trattamento.
L’idea alla base del protocollo per il supporto nutrizionale del linfedema è incentrata su tre pilastri:
→ azione antiflogistica per mezzo dell’utilizzo di enzimi proteolitici – non solo l’esperienza clinica ma anche le pubblicazioni in letteratura indicano che l’utilizzo di questa famiglia di enzimi è in grado di favorire la riattivazione del sistema linfatico, agendo come antinfiammatorio: una combinazione di PRO-EN-ZYME (NW3500) ed LYSO-LIPH FORTE (NW1486) [o in alternativa ENZYME FORTE (NW1476)], anche grazie alla presenza di bromelina, sortisce nel medio periodo effetti anti-edemigeni importanti, in presenza di edemi linfedemici; il trattamento topico di ENZYME PFORESIS ICE (NW1808), non solo accelera l’azione dei supplementi nutrizionali, ma conferisce un senso di ben-essere all’area interessata, sia quando applicato durante i trattamenti linfodrenanti, sia se applicato più volte al giorno a livello domiciliare.
→ azione antiedemigena per mezzo della facilitazione della diuresi – il DIU-PLUS (NW1101) può intensificare gli effetti dei trattamenti sia la sua azione moderatamente diuretica, sia per le proprietà antiossidanti dei flavoni (bioflavonoidi, isoflavoni …) che contiene, combinandosi a livello di supplementazione con gli integratori citati nel precedente paragrafo.
→ azione detossificante – il TOTAL FLM (NW2712), per la sua peculiare attività antinfiammatoria ed antidolorifica è in grado di svolgere sia un’attività detossificante, sia un’azione antalgica ed antiflogistica, utile per trattare l’infiammazione cronica a basso livello, soprattutto nel lungo periodo.
La combinazione di questi tre pilastri nutrizionali, volti a trattare la flogosi e l’edema nelle sue varie componenti, soprattutto quando utilizzato in archi temporali di almeno sei mesi, sortisce un importante effetto sugli edemi linfedemici e sulla sintomatologia ad essi associata, in particolare nelle forme secondarie ove non si sia instaurato un processo degenerativo molto grave; ovviamente non bisogna dimenticare che, nel linfedema, la migliore profilassi è la prevenzione, volta a ridurre lo sviluppo o l’aggravarsi della patologia e le complicanze ad essa associate.