U.R.T.I.

« Indice del Glossario

ultimo aggiornamento: 10 Aprile 2022 alle 23:21

definizione

Letteralmente “Upper Respiratory Tract Infection” (infezioni delle vie aree superiori), acronimo utilizzato per descrivere le manifestazioni respiratorie acute (A.R.I.) a livello del naso, dei seni paranasali e del faringe; le infezioni respiratorie includono un ampio spettro di patologie con diverse caratteristiche che possono interessare tutto l’albero respiratorio dai seni paranasali ai polmoni: una distinzione può essere fatta tra infezioni delle alte vie respiratorie che includono sinusiti, otiti, faringiti, laringiti e basse vie respiratorie che includono le bronchiti acute e croniche riacutizzate e le polmoniti. Anche gli agenti eziologici sono i più diversi con prevalenza degli agenti virali (A.R.V.I.) per le vie aeree superiori e batterici per quelle inferiori; in entrambi le localizzazioni, la componente infettiva assume un ruolo rilevante.

sintomatologia – epidemiologia

Il raffreddore è la malattia più frequente dell’uomo e la singola causa più comune di assenteismo dalla scuola e dal lavoro; la frequenza del raffreddore varia con l’età e la condizione è particolarmente frequente nei bambini di età inferiore ai 6 anni: il numero di raffreddori degli adulti può aumentare a causa dell’esposizione ai bambini piccoli, evidenziando il fatto che i bambini introducono nuovi virus nelle famiglie.

Nei climi temperati i raffreddori sono epidemici nei periodi invernali: l’epidemia comincia con un aumento netto di frequenza in settembre dopo che i bambini sono tornati a scuola e l’incidenza della malattia tende a rimanere a un livello abbastanza costante fino a primavera; anche le manifestazioni influenzali e le altre infezioni del tratto respiratorio superiore manifestano gli stessi quadri epidemiologici, seguendo un tipico andamento stagionale.

Il cavo orale rappresenta la porta di ingresso dei virus causanti le affezioni respiratorie; come tutte le porte di ingresso dell’organismo, esso è dotata di particolari meccanismi di difesa:
→ l’epitelio della mucosa orale che offre una discreta barriera per i batteri, ma molto meno per i virus
→ la saliva contiene sostanze antibatteriche e antivirali (lisozima e immunoglobuline)
→ l’anello linfatico di Waldeyer, ricco di strutture linfatiche (linfociti di tipo B e T)

I virus, veicolati dalle goccioline di Pflugge (particelle microscopiche di saliva contenenti molti virus in sospensione, prodotte ed eliminate nel tossire, nel parlare e negli atti respiratori di malati in fase acuta o di persone con infezione in incubazione), riescono facilmente a passare attraverso la mucosa orale e/o nasale, e a provocare la malattia di cui sono agenti causali.

L’anello linfatico di Waldeyer è un passaggio obbligato per i virus e rappresenta quindi il target anatomico e funzionale elettivo per la profilassi ed il trattamento delle più frequenti patologie respiratorie: è una struttura anatomica disposta ad anello nella regione retrobuccale, costituita da organi linfatici (tonsille palatine, linguali, tubariche e tonsilla faringea), che svolge un’importante funzione di difesa immunitaria in quanto rappresenta una “barriera” nei confronti dei microrganismi patogeni che penetrano nell’organismo attraverso il cavo orale; è stato dimostrato che molti virus, agenti eziologici del raffreddore comune e di sindromi influenzali (Rinovirus, Coronavirus, Virus Respiratorio Sinciziale, virus influenzali e parainfluenzali …), hanno una intensa e vivace replicazione nella cavità orale e nelle fosse nasali, arrivando poi all’anello linfatico di Waldeyer. Non a caso il locus dove inizia il processo infettivo è il rino-faringe, dove esistono recettori specifici (ICAM-1) che possono permettere ai rinovirus di penetrare nell’organismo.

Pur essendo una condizione benigna e auto-limitantesi il raffreddore è una malattia molto frequente ed è una causa comune di assenteismo dalla scuola e dal lavoro; l’influenza, dal canto suo, è la causa di epidemie mondiali responsabili di morbidità e morbilità elevate. Le infezioni respiratorie hanno un notevole impatto sanitario, in quanto possono essere causa di ricovero e, nel caso delle polmoniti, di eventi fatali, ma anche economico e sociale in quanto sono responsabili di un grande impiego di risorse sanitarie per costi diretti di consumo di farmaci e visite mediche ed indiretti per assenze dal lavoro e scolastiche.

Le infezioni respiratorie, siano esse della parte superiore o delle basse vie respiratorie, continuano ad essere la principale causa di morbilità e mortalità nel mondo, con quasi quattro milioni di morte l’anno; in particolare le persone avanti nell’età o nella prima infanzia, i soggetti affetti da disturbi polmonari o caratterizzati da immunosoppressione, sono più soggette a questo tipo di patologie, divenendo individui particolarmente a rischio.

Le infezioni del tratto respiratorio o le sindromi influenzali si rivelano, spesso, la principale causa di ospedalizzazione fra i giovanissimi (fascia da 0 a 4 anni) o nei soggetti di età superiore ai 50 anni; le infezioni del tratto respiratorio superiore e le bronchiti acute sono fra le malattie più frequentemente diagnosticate nella pratica medica generale, divenendo un serio problema anche a livello ospedaliero.

Le vie aeree sono potenzialmente esposte all’aggressione da parte di agenti esterni di varia natura: per quanto riguarda gli agenti infettivi, l’albero bronchiale viene colonizzato subito dopo la nascita; la maggior concentrazione batterica si riscontra nella porzione più alta riducendosi di numero fino ad essere completamente assenti a livello più basso per la presenza di filtri meccanici e biologici.

Il processo infettivo si instaura quando si altera l’equilibrio tra i fattori infettivi esogeni e endogeni e le difese meccaniche o immunitarie: la singolare predisposizione del bambino ad ammalarsi di infezione respiratoria trova ragione anche in alcuni aspetti anatomici e funzionali propri dell’età, cioè ristretto calibro delle vie aeree, favorendo in questo modo il ristagno delle secrezioni e la tendenza al naso chiuso con respirazione orale.

eziopatogenesi

Tra i principali agenti coinvolti vi sono i virus influenzali, il virus respiratorio sinciziale e i batteri Streptococcus Pneumoniae ed Haemophilus Influenzae; numerosi agenti virali, precedentemente poco noti, sono giunti recentemente alla ribalta come possibili virus respiratori umani: tra questi ci sono i Metapneumovirus umani, che possono rendersi responsabili di infezioni respiratorie soprattutto nelle età estreme della vita (bambini e anziani) e nei soggetti con difese immunitarie indebolite.

L’agente patologico più coinvolto è il Rhinovirus, responsabile del 10÷40% delle infezioni; altri virus spesso coinvolti in queste patologie delle vie aeree sono Corona Virus, Parainfluenza Virus, Adenovirus, Echo Virus e Coxsackie Virus. Anche se il virus vitale tende a scomparire in breve tempo, il perdurare nei tessuti delle proteine virali per più settimane provoca fenomeni immunitari che portano a produzione di muco, starnuti, difficoltà respiratorie, tosse, raucedine, mal di testa ed altri sintomi polimorfi.

I virus influenzali sono i virus respiratori peculiari, in riferimento al grado di variazione antigenica, al comportamento epidemico e all’associazione con l’eccesso di mortalità: le variazioni di antigenicità delle glicoproteine di superficie sono in parte responsabili delle continue epidemie di influenza.

Il virione influenzale presenta 2 tipi di estroflessioni glicoproteiche superficiali, l’emoagglutinina e la neuraminidasi: gli anticorpi diretti contro l’emoagglutinina neutralizzano l’infettività virale e sono pertanto responsabili dell’immunità, mentre gli anticorpi antineuraminidasi limitano la replicazione virale e quindi la gravità dell’infezione; le variazioni antigeniche responsabili della formazione di ceppi virali infettanti riguardano proprio queste glicoproteine superficiali. La selezione immunologica favorisce la trasmissione della nuova variante sulla vecchia a causa della presenza meno frequente di anticorpi contro il nuovo virus nella popolazione.

classificazione

Possiamo classificare, in via esemplificativa, senza la pretesa di esaustività e completezza espositiva o diagnostica, le malattie dell’apparato respiratorio, in:

→ raffreddore comune: in generale questa è una condizione molto comune caratterizzata da una infezione virale auto-limitantisi, in genere dalla durata 5/7 giorni, che comunque si rivela molto contagiosa; la sua rilevanza è per la presenza di sequele, manifestazioni ricorrenti o per la possibilità di essere complicata da infezioni batteriche secondarie.
Va ricordato che non esiste una flora virale normale nel tratto respiratorio dell’uomo per cui il virus per produrre il raffreddore deve essere passato da un altro essere umano: almeno il 50% dei raffreddori degli adulti è determinato dai Rhinovirus e il 10-15% da Coronavirus; più raro è il raffreddore determinato dal virus respiratorio sinciziale e dal virus della parainfluenza (che in genere negli adulti dà raffreddore). Quanto alla patogenesi fino a pochi anni fa si riteneva che i sintomi del raffreddore fossero dovuti a un effetto citopatico diretto che distruggeva le cellule della mucosa nasale: ora si ritiene che l’infezione virale del naso scateni una cascata di mediatori dell’infiammazione che dà luogo ai sintomi: in pratica l’ingresso del virus nelle cellule dell’epitelio nasale libera interleuchina 8 che è chemoattraente per i polimorfonucleati che darebbero il via ai sintomi e segni tipici della condizione.
Le manifestazioni cliniche del raffreddore, familiari a tutti, sono prevalentemente soggettive: negli adulti si notano di solito rinorrea, ostruzione nasale e mal di gola; la rinorrea è di solito limpida nelle fasi iniziali della malattia e può diventare bianca o giallo-verde; sono comuni malessere e tosse non produttiva e possono essere presenti starnuti, ingombro dei seni paranasali e la qualità “nasale” del timbro della voce, talvolta è presente raucedine. I reperti obiettivi di solito in un adulto sono minimi. La mucosa nasale può essere arrossata e possono essere osservati eritema faringeo e arrossamento intorno alle narici esterne per il soffiamento ripetuto del naso; la febbre è di solito assente e la sua presenza dovrebbe suggerire una complicanza batterica del raffreddore.
Nei bambini il raffreddore può associarsi a un numero di reperti obiettivi maggiori rispetto agli adulti: oltre a rinorrea e secrezione nasale può essere presenti un ingrossamento moderato dei linfonodi cervicali anteriori, la febbre può essere presente soprattutto nei più piccoli e i sintomi possono protrarsi oltre i 10 giorni.

→ influenza: anche questa manifestazione virale delle alte vie aeree, caratterizzata da febbre, coriza, tosse, mal di testa, malessere generalizzato ed infiammazione delle mucose respiratorie, in genere è auto-limitata; in alcune situazioni però può essere accompagnata da dolori artro-muscolari e disturbi gastro-intestinali. Una volta che il virus avvia l’infezione dell’epitelio del tratto respiratorio, cicli successivi di replicazione virale infettano grandi quantità di cellule e provocano la distruzione dell’epitelio ciliato: la quantità del virus nei campioni del tratto respiratorio si correla con la gravità della malattia; l’aumento delle citochine proinfiammatorie si riscontra nel sangue e nelle secrezioni respiratorie e può contribuire ai sintomi sistemici e alla febbre.
La durata della liberazione del virus si aggira solitamente intorno ai 3-5 giorni negli adulti e in 6-8 giorni nei bambini. Infiammazioni batteriche secondarie si sviluppano come risultato di un’alterata flora batterica, del danno all’epitelio bronchiale con ridotta clearance mucociliare, dell’alterata funzione dei polimorfonucleati e dei macrofagi alveolari e/o del liquido alveolare.
Infezioni ricorrenti sono un chiaro sintomo di debolezza del sistema immunitario: l’influenza è una malattia respiratoria acuta febbrile che compare in epidemie annuali di gravità variabile; il virus responsabile è altamente contagioso e provoca sintomi sistemici rilevanti sia nella fase precoce della malattia sia nella fase florida. L’infezione da virus influenzale viene trasmessa da persona a persona mediante le secrezioni respiratorie contenenti il virus; più importanti sembrano gli aerosol di particelle piccole, ma può essere possibile una trasmissione attraverso altre vie, compresi gli oggetti sui cui si trovano i virus: virtualmente tutte le cellule del tratto respiratorio possono sostenere la replicazione virale. Nel ventesimo secolo ci sono state almeno 4 epidemie mondiali (pandemie) di influenza che hanno determinato decine di milioni di decessi nel mondo.
L’esordio improvviso di febbre, senso di freddo o brividi franchi, cefalea, mialgie e malessere è tipico dell’influenza; all’inizio predominano i sintomi sistemici: mialgia e cefalea sono spesso i sintomi iniziali più fastidiosi e si correlano con la gravità della malattia. I sintomi respiratori, soprattutto tosse secca e rinorrea, sono di solito presenti all’esordio ma vengono messi in ombra dai sintomi sistemici. La febbre è il più importante reperto iniziale: a temperatura aumenta di solito rapidamente e può raggiungere i 38°C-40°C nelle prime 12 ore e es non trattata con antipiretici è una febbre continua che dura nei casi tipici 3 giorni, anche se è comunque possibile una durata della piressia per 4-5 giorni. Nella fase iniziale della malattia il viso è iperemico e la cute è calda e umida, gli occhi sono arrossati e può esservi una secrezione nasale limpida. Tosse, debolezza e malessere possono persistere per più di 2 settimane prima del recupero completo. La malattia è più frequente e grave nei fumatori e le temperature massime sono più elevate nei bambini; gli anziani lamentano meno spesso mal di gola, dolori muscolari e cefalea, ma presentano tassi di complicanze polmonari maggiori. L’influenza può avere complicanze rilevanti sia di tipo respiratorio, sia non polmonari.
Le principali complicanze respiratorie sono sindromi polmonitiche: la polmonite virale influenzale primaria, la polmonite batterica secondaria e la polmonite mista virale batterica. La polmonite virale influenzale primaria compare prevalentemente tra i soggetti con disordini polmonari e cardiaci sottostanti o stati di immunodeficienza, sebbene più del 40% dei casi riportati non abbia una malattia sottostante riconosciuta; dopo un esordio tipico di influenza si verifica una rapida progressione di febbre, tosse, dispnea e cianosi con esame fisico e le radiografie del torace rivelano reperti bilaterali compatibili con la sindrome da difficoltà respiratoria dell’adulto. La sovrinfezione batterica è spesso clinicamente distinguibile dalla polmonite virale primaria: i pazienti sono più spesso anziani o hanno pneumopatie croniche, cardiopatie, malattie metaboliche o altre patologie; dopo una tipica malattia influenzale può verificarsi un periodo di miglioramento della durata di qualche giorno, poi avviene una recrudescenza della febbre che si associa ai sintomi e ai segni di una polmonite batterica: il paziente avrà tosse, produzione di espettorato e un’area di addensamento evidente all’esame clinico e radiologico, dovuta a superinfezione da Streptococcus Pneumoniae, Staphylococcus Aureus, o Haemophilus Influenzae. Fra le complicanze non polmonari, la sindrome di Reye è una ben nota complicanza epatica e del sistema nervoso centrale delle infezioni da virus influenzali A e B, soprattutto nei bambini e più raramente negli adulti; raramente possono comparire sindromi da shock tossico, miosite con rialzo delle CPK e coagulazione intravascolare disseminata.

→ sinusite: infiammazione (acuta o cronica) delle mucose dei seni paranasali, che può essere accompagnata da un processo infettivo primario o secondario, caratterizzata da dolore alle zone sinusali, in genere aggravato da cambiamenti posturali o dalla manovra di Valsalva, talvolta accompagnato da dolore dentario, pressione auricolare o ostruzione nasale. Negli ultimi anni, con l’avvento delle moderne tecniche diagnostiche il concetto di sinusite è stato rivoluzionato; oggi si preferisce parlare di rino-sinusite, cioè di un processo infiammatorio che coinvolge contemporaneamente sia il naso (rinite) sia uno o più degli otto seni o cavità paranasali (sinusite): i seni paranasali sono quattro paia di piccole cavità piene di aria che fanno parte del cranio e che comunicano col naso attraverso un orifizio chiamato ostio. Le loro funzioni sono molteplici: sono essenziali per la funzionalità e la protezione dell’apparato respiratorio, aumentano la percezione degli odori, alleggeriscono la scatola cranica e regolano la tonalità della voce; la pressione all’interno di queste piccole cellette deve essere uguale a quella esterna. Se questa comunicazione tra esterno ed interno si interrompe, per esempio per l’accumulo di muco, la respirazione diventa difficile e possono comparire i sintomi tipici della rino-sinusite.
In caso di sinusite, la mucosa infiammata aumenta il proprio volume, determinando un restringimento degli osti di comunicazione tra seni paranasali e cavità nasali: questo dà origine ad un ristagno del muco all’interno dei seni, che diviene un sito ideale per la crescita di batteri giunti dalle cavità nasali o dalla cavità orofaringea. Si determina così una sovrapposizione tra infiammazione (che può essere di varia origine, ad esempio allergica) ed infezione. I germi possono infatti infiammare i seni aumentando la produzione di muco e ostruendo il flusso aereo, entrando così in un circolo vizioso dove la sovrapproduzione di muco da parte della membrana che riveste i seni mantiene l’occlusione degli orifizi; i seni paranasali sono tappezzati da una mucosa che in presenza di sinusite secerne a sua volta un liquido vischioso che, oltre ad ostacolare il respiro, comprime i recettori del dolore presenti nella mucosa stessa.
La sinusite si può scatenare in seguito ad un qualsiasi processo infiammatorio delle cavità paranasali; spesso questo è determinato da una rinite di origine virale, batterica, fungina (in caso di immunodeficienza) o non infettiva (ad esempio rinite allergica). Si può quindi sviluppare, così come altre infiammazioni di cavità del cranio (otiti, mastoiditi), in seguito ad un’espansione di un’infezione che colpisce prima l’orofaringe e a sua volta può essere causa di interessamento oto-mastoideo, per la contiguità dei seni paranasali con le tube di Eustachio. Meno sovente la sinusite può essere odontogena, caratterizzata dalla monolateralità dei sintomi, associata ad un’infezione dell’arcata dentaria superiore; di solito è causata da problemi di uno dei molari superiori, la cui radice, trovandosi ancorata nel seno mascellare può causarne l’infezione, o dalla radice del dente canino che demolisce la parete dei seni determinando un ostio di comunicazione che mette in comunicazione le cavità paranasali con l’area stomatognatica. La sinusite può essere provocata o favorita anche da moltissimi altri fattori come: esposizione professionale a sostanze irritanti, uso cronico di farmaci, asma bronchiale, deviazione del setto nasale, traumi facciali, presenza di polipi, alterazioni ormonali ed allergie.
La manifestazione clinica che più di ogni altra fa sospettare che non ci si trovi di fronte ad un semplice raffreddore è la presenza di un dolore al volto (che generalmente interessa la fronte, le zone sopra e sotto gli occhi e la mascella) che si accentua quando si effettuano movimenti del capo oppure quando viene esercitata una pressione sul viso. Altri sintomi tipici della sinusite sono: ostruzione nasale con secrezione purulenta (in genere giallo-verdastra), sensazione di pressione facciale spesso associata a dolore, sintomi eterogenei quali cefalea o emicrania, anosmia e riduzione del gusto, odontalgia, tosse catarrale, stanchezza. Generalmente le secrezioni nasali tendono ad uscire più verso la gola che verso le narici dove la fuoriuscita è minore, anche perché spesso è presente una ipertrofia dei turbinati; quando il naso respira male ne risentono non solo i seni paranasali ma anche le Tube di Eustachio (condotto che mette in comunicazione il naso con l’orecchio medio), con conseguenti sintomi che interessano le orecchie.

→ mal di gola: gola secca, un senso di bruciore, difficoltà a deglutire; il mal di gola è un sintomo comune tipico della stagione autunnale, quando gli sbalzi di temperatura sono frequenti. In genere si tratta di un’infezione di lieve entità, che può creare fastidi solo se si prolunga per qualche giorno, a volte può essere passeggero: molte irritazioni della gola sono dovute semplicemente a condizioni ambientali, per esempio lo smog che respiriamo o l’inalazione di vapori e polveri irritanti o al fumo di sigaretta, altra importante causa di irritazione della gola, o a bevande o cibi troppo caldi, l’aria eccessivamente secca o, al contrario, troppo umida. Altre volte il mal di gola è dovuto all’attacco di virus e batteri e preannuncia l’arrivo di qualche malattia da raffreddamento, come per esempio il raffreddore o l’influenza, o anche una faringite, una laringite o una tonsillite. Gli organi maggiormente colpiti dai sintomi del mal di gola possono essere, infatti, la faringe, la laringe, le tonsille, le corde vocali e i linfonodi.

→ faringite: l’infiammazione della mucosa della faringe, o faringite, può essere dovuta sia a fattori irritanti che a virus (Rhinovirus, Adenovirus, Herpesvirus) e batteri (i più frequenti sono: Streptococco B-emolitico di gruppo A, mycoplasma pneumoniae, chlamydia pneumoniae): è difficile distinguere tra una faringite batterica e una virale in base al solo esame obiettivo; in entrambe la mucosa faringea può essere molto infiammata e può essere ricoperta da una membrana e da un essudato purulento, cioè da materiale liquido o viscoso tipico dei processi infiammatori. A seconda del decorso che assume la malattia, la faringite può essere acuta o cronica.
Nella faringite acuta l’infiammazione è generalmente determinata da un’infezione virale o, più raramente, da un’infezione batterica. La faringite acuta è molto spesso un’estensione di processi infiammatori in distretti vicini: i primi sintomi sono la difficoltà nel deglutire e l’arrossamento locale della mucosa; talvolta si presenta con le ghiandole del collo ingrossate, una congestione della mucosa faringea e anche un dolore all’orecchio, spesso è presente anche la febbre. L’insorgere della forma cronica (a lungo decorso) può essere dovuta al passaggio di secrezioni mucose e ricche di pus nel naso, all’ostruzione respiratoria nasale, all’abuso di alcool e di fumo, ad ambienti di vita e di lavoro con clima secco, surriscaldato o con polveri e vapori, a infiammazioni delle adenoidi e delle tonsille croniche o acute. In alcuni casi, in pazienti sottoposti a pesanti trattamenti farmacologici, la faringite può essere causata dalla candidosi, un’infiammazione provocata dal fungo Candida albicans, che colpisce le persone in cui le difese immunitarie sono particolarmente deboli. Spesso può essere asintomatica, ma nelle fasi di riacutizzazione si avvertono dolore alla gola, tosse e necessità di raschiare la gola soprattutto al mattino. La voce si abbassa e si deglutisce di frequente; può presentarsi la febbre (ma non alta!). La faringite cronica può evolvere in tre fasi distinte:
• catarrale, che è caratterizzata da una lieve congestione della mucosa e dall’ingrossamento delle ghiandole che producono il muco
• ipertrofica, che si caratterizza per una minore congestione della mucosa e un maggiore ingrossamento delle ghiandole
atrofica, frequente soprattutto nelle persone anziane, che è caratterizzata da una riduzione (atrofia) sia di tutti i costituenti della mucosa, sia della porzione muscolare; la parete posteriore della faringe si presenta pallida, liscia e asciutta, a volte ricoperta anche da materiale crostoso aderente.
Quando gli attacchi di faringite si ripetono si può determinare un’infiammazione cronica della mucosa, che può essere dovuta a fattori irritanti come il fumo, l’alcool in eccesso, la sinusite e l’inalazione continua di sostanze irritanti. Si manifesta con gola secca e dolente, con una sensazione di solletico che provoca frequenti colpi di tosse e raschiamenti in gola: di solito la cura si basa sull’eliminazione della causa che scatena la malattia, sull’uso di medicinali antinfiammatori e sul miglioramento dell’igiene orale.

→ laringo-tracheite Se la voce diventa roca o velata, tende ad abbassarsi (o se ne va completamente), in presenza dello stimolo a raschiare la gola costantemente, si parla di laringite, ossia un’infiammazione della laringe che può essere di origine batterica o virale o anche essere causata da sostanze irritanti o da un cattivo uso della voce (le persone più colpite sono coloro che per professione usano abitualmente la voce, come ad esempio i cantanti). Una situazione del tutto particolare di laringite è il crup o croup, detto anche laringite spastica, che colpisce esclusivamente i bambini al di sotto dei quattro anni. Anche la laringite può essere acuta o cronica; nel primo caso dura solo qualche giorno, nel secondo persiste per un lungo periodo di tempo. La laringite acuta di solito è provocata da un’infezione causata da virus; a volte può essere la conseguenza di un’allergia: al polline, a un medicinale o a un’altra sostanza. In questi casi il disturbo appare tutte le volte che si è in presenza della sostanza allergizzante. Altre cause possono essere una prolungata esposizione al freddo, l’inalazione di vapori irritanti, l’inquinamento dell’aria, alcune malattie infettive soprattutto dell’età infantile e, d’estate, anche l’aria condizionata; l’abuso di fumo o di alcool, poi, irritano le corde vocali. La laringite acuta si presenta con un dolore e una sensazione di fastidio alla gola, soprattutto quando si cerca di ingoiare il cibo o la saliva, accentuata raucedine, difficoltà a parlare, tosse secca e stizzosa, talvolta con difficoltà a respirare, spesso si accompagna al raffreddore, alla tracheite, alla faringite o alla bronchite (in questi casi, si possono presentare febbre e catarro). Se la causa dell’irritazione non viene rimossa, dopo diversi attacchi acuti la laringite può trasformarsi da acuta in cronica: la forme cronica è dovuta principalmente a un prolungato uso della voce ed è caratterizzata da raucedine, tosse persistente, disfonia, alterazioni della sensibilità della laringe. Il dolore alla gola non compare, a volte si può avvertire un leggero pizzicore, accompagnato dalla tosse, con rare difficoltà respiratorie. Sulle corde vocali di chi costantemente sforza la voce si possono formare alcune piccole escrescenze che la rendono roca. La laringe rappresenta il “collo di bottiglia” delle vie respiratorie: è infatti il passaggio più ristretto verso i polmoni. Per questo qualsiasi diminuzione del suo diametro, provocata da un gonfiore o da una compressione, può essere un impedimento pericoloso per la respirazione. Un edema laringeo può causare dispnea. Nel caso di epiglottite acuta i sintomi si manifestano con dolore acuto, rifiuto dell’alimentazione, dispnea respiratoria grave: in questi casi, si deve portare subito il paziente in ospedale.

→ tonsillite, In caso di mal di gola, soprattutto quando si prova a deglutire qualcosa, associato a febbre alta preceduta da brividi di freddo, ghiandole del collo ingrossate può far pensare ai classici sintomi con cui si presenta la tonsillite: la tonsillite è particolarmente frequente nella stagione fredda e può assumere l’andamento di una vera epidemia; si trasmette nei luoghi affollati attraverso gli starnuti, la tosse, la saliva. Le infezioni virali si risolvono in pochi giorni e non danno complicazioni ed anche le tonsilliti di origine batterica non destano preoccupazioni: se però sono causate da un batterio chiamato streptococco, in casi molto rari, danno complicazioni gravi, come la glomerulo-nefrite (un’infiammazione che, se non viene curata appropriatamente, può causare danni permanenti ai reni) o favorire l’insorgenza di malattia reumatica (meglio conosciuta come reumatismo articolare acuto). Non sempre è facile distinguere tra tonsillite virale e quella batterica: la virale, in genere, si manifesta inizialmente con mal di gola, lieve arrossamento delle tonsille e febbre che non supera i 39°C e già nel secondo giorno questi sintomi cominciano ad attenuarsi per lasciare il posto al classico raffreddore, con tosse secca e catarro. Quando all’origine della tonsillite c’è un virus chiamato Coxackievirus, si verifica l’angina erpetica: sulle tonsille si formano vescicole che poi si rompono creando piccole lesioni superficiali. A volte l’infezione può diffondersi all’orecchio. La tonsillite batterica, invece, è caratterizzata da pus sulle tonsille e in gola, rigonfiamento delle ghiandole situate sotto le mandibole e febbre superiore ai 39°C, con una maggior incidenza nei bambini, nella fascia d’età fra i tre e gli otto anni (ne soffre l’80% dei bambini, con frequenze fino a 5-6 volte in un anno); per quanto possa sembrare strano, l’infiammazione delle tonsille va considerata un fatto positivo: è il segno che il sistema di difesa del bambino sta cominciando a costruirsi per essere poi in grado di difendere efficacemente l’organismo, in quanto le tonsille producono anticorpi capaci di distruggere virus e batteri che tentano di penetrare nel corpo attraverso l’apparato respiratorio. La diagnosi di tonsillite acuta non è difficile: oltre ai caratteristici sintomi, all’esame visivo del cavo orale è evidente anche ai non esperti l’infiammazione della gola e delle tonsille palatine, che appaiono aumentate di volume, notevolmente arrossate e a volte ricoperte da “placche”. Qualche volta, nei casi più gravi o se si trascura la malattia, la tonsillite acuta può complicarsi con la comparsa di sinusite, otite media, mastoidite o ascesso peritonsillare (infiammazione con formazione di pus in tutta la zona intorno alla tonsilla).

→ bronchite: infezione ricorrente e frequente, soprattutto nella stagione fredda, in genere associata (o conseguenza) di malattie delle vie aeree superiori o dell’albero tracheo-bronchiale; in genere di origine batterica è caratterizzata da espettorazione muco-purulenta e tosse, la forma acuta di solito può essere la complicazione di un banale raffreddore o di un’influenza. A preannunciare il suo arrivo può essere un bruciore al petto, localizzato dietro lo sterno (è interessata anche la trachea), seguita, dopo pochi giorni, da tosse inizialmente secca e stizzosa, poi diventa profonda e con abbondante secrezione di catarro. In seguito all’infiammazione i bronchi si gonfiano e producono muco e pus. A volte si ha la febbre (non supera i 38,5°C e dura 3-5 giorni) e si respira con difficoltà: all’inizio in situazioni di sforzo, poi anche a riposo. L’infezione è causata soprattutto da virus (del raffreddore e dell’influenza) ma anche da batteri. Possono favorirne l’insorgenza alcuni fattori di tipo ambientale, come l’inquinamento atmosferico, il fumo di sigaretta o il freddo intenso o anche alcune condizioni di vita sfavorevoli, come la malnutrizione e l’affaticamento eccessivo. La malattia, nel giro di alcuni giorni guarisce, a meno che non sopravvengano complicazioni, che richiedono interventi farmacologici; una terapia di supporto i basa principalmente sull’uso di sostanze mucolitiche in grado di fluidificare il catarro, agenti broncodilatatori ed esercizi di ginnastica respiratoria per migliorare la ventilazione polmonare.
I sintomi più ricorrenti della bronchite cronica sono: tosse insistente soprattutto al mattino, con emissione di muco scarso o abbondante, catarro in quantità, per almeno tre mesi l’anno e per due o più anni di seguito (secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), affanno più o meno intenso, crisi asmatiche. A causa dell’infiammazione i bronchi si restringono o rimangono ostruiti, rendendo difficile il respiro e la circolazione del sangue nei polmoni. In molti casi succede che una o più volte all’anno si verifichino episodi di riacutizzazioni con aumento della tosse e dell’espettorato. Il risultato è un ostacolo più o meno grave al passaggio dell’aria nei bronchi e nei polmoni. A volte può coesistere un grado variabile di enfisema polmonare, lento processo di degenerazione del tessuto polmonare. In un paziente su due la bronchite cronica conduce a un’insufficienza respiratoria. Le cause principali della bronchite cronica sono il fumo di sigaretta, il clima freddo e umido, l’inquinamento atmosferico e la protratta esposizione a gas, fumi e polveri irritanti (ne soffrono alcune categorie a rischio, come minatori, pompieri, garagisti). Rappresenta la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, con circa un 10 per cento degli italiani soffre di bronchite cronica.

→ polmonite: spesso preceduta da malattie delle vie aeree superiori, esprime il coinvolgimento polmonare del processo infettivo; è caratterizzata da un interessamento degli alveoli polmonari che, come conseguenza del processo infettivo-infiammatorio, tendono a riempirsi di liquido, con grave ostacolo della funzione respiratoria. È una malattia molto più comune di quello che si pensa e tuttora può essere mortale in soggetti debilitati; sintomi tipici sono tosse, febbre, dolore al petto e difficoltà a respirare. La polmonite può avere molte cause diverse: normalmente è conseguenza di una infezione batterica (e quindi difficilmente contagiosa), ma più raramente può essere provocata anche da virus, funghi o parassiti; può essere provocata anche da alcune sostanze tossiche, o da danni meccanici al polmone.
Nove polmoniti su dieci sono dovute a batteri – in particolare allo Streptococcus Pneumoniae – che sono sempre presenti nell’organismo delle persone sane e che normalmente vengono tenuti sotto controllo dai naturali meccanismi di difesa: quando la resistenza dell’individuo è gravemente compromessa da un malattia oppure da un generale stato di debilitazione dovuto a cattive condizioni di salute, questi batteri possono diffondersi in modo incontrollabile. Altri fattori che predispongono alla polmonite sono le infezioni alle alte vie respiratorie, il fumo di sigaretta, l’alcolismo, l’insufficienza cardiaca, le immunodepressioni: i più esposti sono inoltre i bambini e gli anziani, le cui difese sono più fragili. La polmonite di carattere batterico è una frequente complicazione dell’AIDS, mentre la varicella e il morbillo possono dar luogo a serie forme di polmonite virale.
In passato la polmonite era la prima causa di morte: ne era vittima una persona su quattro. Oggi, con l’uso degli antibiotici, il numero dei decessi è diminuito, tuttavia la malattia è ancora considerata grave, soprattutto nei bambini e negli anziani. La polmonite costituisce un evento relativamente frequente nella popolazione generale: le forme a origine infettiva presentano un’incidenza media pari ad una decina di casi per 1000 abitanti ogni anno (quasi 700.000 l’anno), con prevalenza nel sesso maschile. La presenza dell’infiammazione e l’accumularsi di muco, essudato e pus negli alveoli e nelle vie aeree ostacola la funzione respiratoria e determina i principali segni della malattia che sono febbre, cianosi e tosse con espettorato più o meno abbondante (le cui caratteristiche variano in relazione alla natura dell’agente causale), associati spesso a astenia, riduzione dell’appetito e fame d’aria (dispnea, nelle forme più gravi). Sintomi che devono “mettere in allarme”, suggerendo il ricorso alle cure mediche, sono dolore acuto al torace (che spesso peggiora quando si tossisce), febbre molto alta accompagnata da brividi e che non accenna a diminuire, catarro di colore marrone o striato di sangue o frequenza del polso e del respiro doppia rispetto alla norma.

possibili soluzioni

L’approccio abituale alle malattie delle vie aeree è quello di ricorrere a trattamenti antibiotici, anche quando queste patologie siamo evidentemente di origine virale. Sono molti gli esperti che sostengono che è meglio evitare la terapia antibiotica nella cura delle infezioni respiratorie ricorrenti, facendo leva sulla tendenza a guarire spontaneamente in molti casi di media o lieve gravità; gli antibiotici non hanno posto nella terapia del raffreddore non complicato in quanto non accelerano la guarigione del raffreddore né riducono la frequenza delle complicanze batteriche eventuali. Come affermano le linee guida per gli antibiotici non c’è indicazione all’uso di routine contro infezioni delle alte vie respiratorie, otite media, mal di gola, bronchite acuta; il timore di complicanze severe e polmonite dovrebbe essere bilanciato dall’incremento dello sviluppo di resistenze batteriche, con relativo circolo vizioso: razionalizzare l’uso degli antibiotici permetterebbe di ridurre le resistenze. La ricerca fornisce conferme dalla pratica clinica quotidiana sulla non necessità di trattare con gli antibiotici le infezioni respiratorie/otorinolaringoiatriche più comuni in medicina generale. D’altra parte non bisogna dimenticare che la maggioranza delle infezioni dell’area respiratoria sono causate da virus, in particolare quando si parla di malattie da raffreddamento (coriza acuta) o laringiti.

Il trattamento dell’influenza deve essere affrontato con lo stesso approccio metodologico: anche se è possibile utilizzare antivirali come l’amantadina, l’oseltamivir o lo zanamivir in grado di accorciare la durata della febbre e i sintomi sistemici e respiratori dell’influenza, si tratta di farmaci che possono dare effetti gastroenterici e neurologici anche rilevanti, per cui si consigli di ricorrere a farmaci antivirali esclusivamente in casi gravi, evitando la prassi ormai consolidata di ricorrere a cure antibiotiche (spesso associate a trattamenti cortisonici) a scopo preventivo. L’utilizzo di sostanze in grado di supportare l’organismo nel processo di auto-guarigione si rivela spesso una scelta vincente, nelle patologie infettive delle alte vie aeree, se non complicate.

La presenza di malattie dell’apparato respiratorio, inoltre, dovrebbe far sospettare una debolezza del sistema immunitario ; il mantenimento della salute del sistema immunitario è prioritario per prevenire l’insorgenza di malattie delle vie aeree: quando l’organismo viene messo in grado di autodifendersi, in genere l’incidenza dei problemi respiratori, anche di tipo virale, diminuisce significativamente. Diversi studi negli ultimi anni hanno individuato uno stretto rapporto tra i meccanismi infiammatori e la genesi di diverse malattie: il disturbo sull’organismo rappresentato dalla presenza di un’infiammazione persistente, anche di minima entità, può creare infatti la condizione per lo sviluppo di alcune patologie e soprattutto può contribuire al loro mantenimento, o interferire pesantemente con la loro guarigione. Alcune malattie dipendono dal ‘consumo di sistema immunitario’ che può essere provocato, per esempio, dall’esistenza di un’ipersensibilità alimentare o dall’esposizione anche lieve, ma continuativa, a metalli pesanti: costantemente impegnato su altri fronti, come ad esempio quello intestinale, il sistema difensivo perde la capacità di reagire correttamente nei settori in cui è richiesta la sua azione.

Rita Levi Montalcini ha precisato negli ultimi anni, che proprio quel Nerve Growth Factor (NGF) per il quale nel 1986 ha ottenuto il premio Nobel per la Medicina, determina nell’organismo, quando è emesso, un enorme aumento delle cellule ‘infiammanti’ (ovvero i mastociti): l’infiammazione e l’allergia possono quindi crescere in modo violento in parallelo con la produzione di questa sostanza, che l’organismo produce in tutte le condizioni percepite come un pericolo per la propria sfera vitale. In definitiva, non sempre è possibile eliminare del tutto un fenomeno infiammatorio cronico, ma è determinante sapere che è possibile influenzarlo, modularlo, modificarlo e ridurlo; si può cioè cercare di trovare una soluzione riattivando la grande capacità di adattamento che è propria di ogni essere vivente.

Negli ultimi decenni, gli avanzamenti nel campo della immunologia nutrizionale hanno rivelato un numero sempre maggiore di interazioni fra la nutrizione, il sistema immunitario e l’insorgenza infezioni: carenze nutrizionali specifiche o cattiva alimentazione sono in grado non solo di compromettere l’azione del sistema immunitario, ma addirittura di essere i responsabili dell’alterazione dei meccanismi di regolazione e di risposta alle infezioni . L’alimentazione può divenire un fattore predominante nella gestione della “competenza immunitaria” e giocare un ruolo determinante nella genesi delle malattie infettive. Altri fattori importanti, in quanto in grado di ridurre la risposta immunitaria, possono essere considerati3:
• eccessivo stress mentale, fisico o emozionale
• deficienze nutrizionali specifiche, quali carenze vitaminiche (A, C, E) o minerali (selenio, zinco)
• eccessivo utilizzo di sostanze in grado di modificare le naturali risposte corporee (zucchero, tabacco, alcool, caffeina, droghe …)
• presenza di intolleranze alimentari o allergie ambientali evidenti o latenti
• fattori ambientali come inquinanti o sostanze chimiche
Un approccio olistico al problema delle infezioni dell’apparato respiratorio deve prendere in considerazione un intervento bilanciato che miri a incrementare la risposta immunitaria dell’organismo e a ridurre la facilità di attecchimento di batteri e virus, senza dimenticare gli eventuali interventi sintomatici, come l’uso di sostanze ad azione diaforetica, anticatarrale e mucolitica, oltre a migliorare la funzionalità generale del sistema immunitario e dell’organismo in genere.

Non può essere sottovalutata l’influenza che squilibri generalizzati o intolleranze nutrizionali possono esercitare sulla genesi dei problemi respiratori: una relazione fra forme asmatiche, mucosità, rino-sinusiti croniche o addirittura bronchiti croniche e intolleranze alimentari è ormai ampiamente confermata.
È corretto parlare di allergie su base alimentare (o di allergie agli additivi) soltanto per quelle manifestazioni che si dimostrino sostenute da una reazione di tipo immunologico, attraverso la formazione di anticorpi (IgE) allergene-specifici in soggetti geneticamente predisposti (cosiddetti atopici). Nel 1991 il Prof. A.P. Kaplan (International Academy of Allergology and Clinical Immunology) scrisse su ACI News un’editoriale dal titolo: “Le allergie non allergiche” , sostenendo che le manifestazioni cliniche delle allergie sono estremamente variabili, e non si possono concepire solo come mediate da un meccanismo di tipo IgE; egli consigliò infatti, quando ci si trova di fronte ad un fenomeno di ipersensibilità, la necessità di vagliare l’intero sistema delle citochine e degli anticorpi dell’organismo.

L’intolleranza alimentare è un fenomeno legato alla stimolazione ripetuta nel tempo del sistema immunitario da parte di un alimento, di un allergene o di un conservante; possiamo affermare che per l’evidenziarsi di una intolleranza alimentare vi è la necessità di un lento e progressivo “avvelenamento” dell’organismo, una continua stimolazione della sostanza irritante che porta alla formazione di cellule infiammatorie (citochine) che nel tempo determinano un sintomo; è quindi una patologia da accumulo o da iperstimolazione. Si tratta di un’alterazione della normale funzionalità intestinale che causa la comparsa di una intolleranza alimentare: l’intestino non assolve più alla sua funzione di “filtro” lasciando così passare macromolecole di tipo “non self” che vengono riconosciute come estranee dando luogo ad una serie di reazioni immunitarie atte a bloccare le sostanze stesse. Si sviluppano così anticorpi che bloccano l’alimento in questione e si dispongono sulla superficie della mucosa intestinale in modo da proteggerlo da una eventuale reintroduzione dell’alimento: alla successiva introduzione del cibo in questione si avrà un’aggressione verso questo che, se troppo intensa o troppo protratta nel tempo, può essere in grado di determinare una vera e propria patologia; l’intolleranza assomiglia quindi più a un lento avvelenamento più che a una reazione allergica.

Carsten Bindslev-Jensen e lo statunitense Hugh Sampson, hanno precisato che in una popolazione di soggetti che lamentavano reazioni al cibo, l’effettuazione di una prova di carico per tre giorni di fila comportava una risposta positiva nel 37% dei soggetti (contro il 2% che rispondono il primo giorno). Questo significa che nel maggior numero dei casi le risposte agli alimenti sono risposte da ‘accumulo’, come se l’organismo patisse una sorta di lento avvelenamento che determina la comparsa di sintomatologia solo dopo il superamento di un determinato livello di soglia. Nel Settembre 2003 al congresso mondiale di allergologia di Vancouver Hugh Sampson ha infatti segnalato l’esistenza ben definita di meccanismi immunologici non IgE-mediati, ma dovuti alla attivazione ripetuta delle cellule T-helper, che determinano una reattività ritardata.

In considerazione del fatto che nel nostro intestino è localizzato circa l’80% del nostro sistema immunitario (GALTGut Associated Lymphoid Tissue), è facile comprendere quanto sia importante per la nostra salute che non si alteri la flora eubiotica e che proprio da questo legame con il sistema immunitario nasce la relazione tra benessere intestinale ed intolleranze alimentari. Solo una flora batterica intestinale sana, ovvero in grado di stimolare le reazioni immunitarie, può salvaguardare l’efficacia del nostro sistema immunitario, mentre un suo deficit funzionale è spesso causa della comparsa di intolleranze alimentari che non fanno altro che aggravare i sintomi gastrointestinali o sistemici correlabili alla presenza di una continua e persistente alterazione immunitaria e a un continuo perpetuarsi di uno stato infiammatorio, che può generare le manifestazioni patologiche a livello dell’apparato respiratorio ed, in particolare, delle vie aeree superiori.
Le alterazioni posturali possono essere un elemento da non sottovalutare nella genesi delle problematiche respiratorie; anche il ricorso alla ginnastica respiratoria può portare significativi benefici al paziente con problematiche respiratorie croniche, soprattutto nelle bronchiti croniche. La sua utilità consiste nel permettere un pieno utilizzo dei polmoni; la ginnastica riabilitativa ha come obiettivi l’aumento della quantità d’aria inspirata con un conseguente maggiore afflusso di ossigeno a tutti i tessuti, la completa riespansione dei polmoni per evitare il formarsi di zone poco ventilate e per favorire il riassorbimento di eventuali versamenti e il favorire lo scarico di tensione fisica e psichica attraverso un aumentato afflusso di sangue al cervello.

La ginnastica può essere passiva (fatta per esempio con l’ausilio del terapista) o attiva: la riabilitazione funzionale consente di recuperare gradualmente il tono dei muscoli respiratori, di facilitare la rimozione di catarro dai bronchi, di riacquistare la giusta frequenza respiratoria e di riabituare il malato a utilizzare il diaframma (muscolo che, abbassandosi durante l’inspirazione, consente l’espansione dei polmoni e il loro riempimento d’aria).

La liberazione delle restrizioni a livello dell’inlet toracico o delle limitazioni al movimento delle clavicole è fondamentale per favorire le dinamiche respiratorie: compressioni dell’area cranica, blocchi delle suture craniche, restrizioni dello splancno-cranio, disturbi dell’orecchio possono essere elementi da non sottovalutare nell’affrontare le problematiche delle vie aeree superiori.

« Indice del Glossario