burn-out

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ultimo aggiornamento: 21 Novembre 2020 alle 17:14

definizione e significato

Anglismo che, tradotto letteralmente, significa “bruciato” o “consumato dal fuoco”, una descrizione semplice e chiara, che vuole sottolineare come ci si sia “esauriti”, bruciando fino in fondo, come se la fiamma avesse consumato tutta la legna disponibile; in italiano i termini esaurito o logorato rendono l’idea, anche se l’immagine nel termine inglese è più intensa, volendo quasi sottolineare il fatto che il fuoco si è estinto per consunzione; nel linguaggio comune possiamo parlare di esaurimento nervoso, tracollo psico-fisico, crollo, anche se spesso si sottolinea maggiormente l’aspetto neuro-psichico, trascurando la componente somato-emozionale.

In italiano, potremmo chiamare il burn-out col nome di “iperstress”, facendo coincidere la definizione con l’elemento causale: una forma di logoramento che altro non è che l’esito finale del processo di esaurimento causato da una sindrome generalizzata di adattamento irrisolta; il perdurare dello stress o l’elevata intensità degli stressor causa un depauperamento tale da portare il sistema neuro-ormonale ad una sorta di lock-down (blocco). La tendenza ad enfatizzare la componente psicologia deriva dal fatto che, spesso, il sovraccarico è associato alla componente relazionale o all’ambiente sociale in cui si muove chi viene colpito da questa sindrome: richieste prestazionali, standard elevati, necessità di raggiungere o mantenere performance elevate sono tutti fattori scatenanti o cofattori eziologici che facilitano il processo di esaurimento.

burn-out: sindrome da esaurimento professionale

Anche se sempre più spesso, lo stato di esaurimento somato-emozionale e psicofisico dell’individuo viene associato al mondo del lavoro, il burn-out può essere considerato un “deterioramento dell’anima”: fondamentalmente sottolinea una dicotomia, una “discrepanza” tra l’individuo, da un lato, ed il “mondo” con cui si relaziona, con gli obblighi e le priorità che non coincidono con i desiderata personali, dall’altro. Il continuo logoramento, causa una massiccia attivazione dell’asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene ( H.P.A.) con ipercortisolismo ed alterazione della secrezione di dopamina: la variazione neuro-ormonale e metabolica porta chi viene colpito dall’iperstress, a percepire se stesso come inetto, debole, incapace di impegnarsi o dedicarsi con responsabilità; frequentemente subentrano sensi di colpa per il proprio fallimento, portando chi vive questo disagio ad entrare in un loop negativo.

Sempre più spesso, nel mondo del lavoro, si focalizza l’attenzione sulle dinamiche interpersonali e gerarchie delle organizzazioni professionali, anche se, in realtà, l’iperstress è un fenomeno diffuso in ogni ambito, dallo sport alle relazioni interpersonali. Ovunque ci siano pressione sull’individuo e aspettative da soddisfare o doveri da ottemperare, è possibile che lo stress arrivi a soverchiare la capienza individuale, superando la resilienza e le capacità di coping , fino a indebolire la vitalità e la stamina di chi vive tutto questo come un “peso insostenibile”: in genere l’esaurimento delle risorse e delle difese porta a far sì che una semplice noxa , un fattore scatenante, una ulteriore minima richiesta, sia come la “goccia” che fa traboccare il vaso, il trigger in grado di provocare la manifestazione eclatante del burn-out

Spesso, la reazione a questo stato di “mal-essere” è l’insorgenza di un quadro di alienazione, una sorta di separazione da sé: apatia, anedonia , indifferenza associati a nervosismo o cinismo sono alcuni dei sintomi più comuni. Nell’ultimo quarto del novecento, la psichiatra americana Christina Maslach ha inquadrato il problem, soprattutto nell’ambito del mondo del lavoro ed ha definito il burn-out come una malattia comportamentale che affligge in modo particolare tutti coloro che esercitano una professione con forte implicazione relazionale: dal suo punto di vista, il lavoratore, colpito da questa sindrome, perde progressivamente interesse verso i propri utenti o referenti; è vittima di una sorta di spersonalizzazione; mostra una riduzione delle proprie capacità personali di relazione, come difesa per far fronte alle tensioni stressogene che si sono accumulate.

All’inizio del secolo attuale, Michael P. Leiter e Christina Maslach hanno identificato una triade sintomatologica per definire il burn-out in ambito lavorativo, soprattutto per quelle professioni che comportano la necessità di entrare in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza e che riversano notevoli aspettative su chi si prende cura di loro:

⇒ deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro;

⇒ deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro;

⇒ difficoltà di adattamento tra la persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo.

burn-out o non burn-out

L’orientamento attuale è di considerare il burn-out come una forma di esaurimento che si sviluppa solamente in un contesto lavorativo: per definizione, non dovrebbe essere esteso ad altri ambiti della vita, riducendolo ad un fenomeno occupazionale che non andrebbe confuso con altri i disturbi associabili allo stress. Infatti, si tende a escludere il burn-out occupazionale, alla presenza di situazioni di stress cronico associato ad altre situazioni, come quelle familiari o relazionali, ansia o fobie, disturbi di adattamento o dell’umore.

In Kinesiologia Transazionale® ed in   Kinesiopatia® il termine burn-out è utilizzato per descrivere una forma di esaurimento dell’energia vitale associato a tendenza all’alienazione e perdita delle motivazioni (come già descritto) indipendentemente dal contesto in cui si verifica o a prescindere dalle differenti caratteristiche degli stressor; l’essere umano non è un “individuo a compartimenti stagni”: i differenti aspetti della vita di ognuno sono come vasi comunicanti, in connessione fra loro.

burn-out: sindrome da iperstress

Il quadro di dis-stress del burn-out, pertanto, non è esclusivamente conseguente all’impegno professionale in ambito assistenziale, ma dipende dall’eccesso di aspettative a cui ci si sente sottoposti: la percezione soggettiva di non essere in grado di fronteggiare, spesso a causa di una errata valutazione delle proprie capacità o risorse, le richieste a cui ci si sente in obbligo di rispondere è un elemento comune a chi subisce questo “meccanismo difensivo”, non limitando necessariamente il quadro all’ambito professionale. La chiave di comprensione risiede nel concetto di “esaurimento emotivo” associato ad una sorta di depersonalizzazione, una necessaria separazione dal sé sofferente: lo sviluppo di atteggiamenti elusivi o di evitamento, accompagnati dal senso di frustrazione ed insoddisfazione, sono un elemento costante nei quadri di logoramento da stress: l’azione sistemica causata dall’ipersecrezione di cortisolo, dipendente dall’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale, e gli squilibri delle catecolamine, in particolare della dopamina, favoriscono il manifestarsi di tendenze depressive, insonnia, tendenze fobiche, atteggiamenti psicotici o maniacali; spesso, si osserva la perdita dell’empatia verso gli altri, accompagnata da diminuita comprensione verso se stessi o, all’opposto, tendenza ad autocommiserarsi.

In genere, l’aumento del “carico emozionale”, l’incremento delle pressioni lavorative, le sollecitazioni dovute all’eccessivo stress somato-emotivo o il surmenage psico-fisico incrementano la sensazione di frustrazione ed i sentimenti di inutilità, incapacità, inadeguatezza, insoddisfazione: la sensazione di “essere sfruttati” o il sentirsi abusati, non apprezzati nonostante ci si senta oberati dall’impegno è un evento piuttosto frequente; questo disagio, spesso, si accompagna ad un aumento della reattività ed aggressività, soprattutto verso chi si considera, a volte inconsapevolmente, responsabile del mancato riconoscimento dell’impegno profuso.

La naturale evoluzione verso l’apatia è solo l’effetto dell’aumentato disagio che richiede un distacco, l’allontanamento dalla sofferenza: sensazione di sovraccarico, conseguente alla percezione di un carico eccessivo che rende impossibile il recupero; inidoneità dei contesti e delle richieste, cui ci si sente comunque obbligati a rispondere anche se ci si rende conto di non avere le abilità per fronteggiare la situazione; implicazioni emotive soverchianti, in grado di scatenare turbamenti o sentimenti in contraddizione con ciò che si prova; senso di impotenza, legato alla convinzione che ciò che si fa (o che vuole fare) sia ininfluente sull’esito di un determinato evento … ogni manifestazione di disagio è un potenziale trigger in grado di scatenare o contribuire alla nascita dello stato di dis-stress e di mal-essere.

Mancanza di controllo sulle risorse necessarie oppure insufficiente autorevolezza decisionale e relazionale; percezione di non ricevere riconoscimenti adeguati all’impegno profuso; perdita del “senso di appartenenza”, del sostegno, della fiducia e del rispetto dalle persone significative, causando un necessario distacco relazionale; impressione di non ricevere la necessaria equità, ovvero che altri abbiano benefici o vantaggi immeritati; conflitto di valori o perdita della visione comune o discrepanza fra quanto enunciato e ciò che si rileva nei comportamenti, nelle manifestazioni, nelle scelte operate e nella condotta: ognuno di questi “quadri”, manifestazioni di un disagio emozionale, può essere l’elemento causale responsabile, il fattore scatenante o uno dei cofattori eziologici, responsabili del burn-out, anche se molto spesso si osserva una multifattorialità che coinvolge più di uno, fra queste “distonie” . Le manifestazioni emotive si accompagnano, frequentemente, ai segni tipici dello stato dis-funzionale cui è sottoposto l’organismo: emicrania, bruxismo, cervico-brachialgia, lombosciatalgia, astenia e senso diffuso di tensione o debolezza, inappetenza, aerofagia o aerogastria, disturbi gastro-intestinali sono solo alcune manifestazioni del corteo sintomatologico del burn-out.

burn-out: soluzioni possibili

La psicologia del lavoro tende a inquadrare il burn-out da un punto di vista dell’organizzazione lavorativa e della necessità di “ripristinare” l’equilibrio fra il salariato e l’ambiente di lavoro in cui opera, per potersi garantire la produttività e l’efficienza lavorativa dei propri dipendenti. Nel maggio 2019, il burn-out è stato riconosciuto essere “sindrome” e, come tale, è elencato fra le patologie come un “fenomeno occupazionale” derivante da uno stress cronico mal gestito, ma specifica che non si tratta di una malattia o di una condizione medica (OMS).

Se prendiamo in considerazione il burn-out come una forma d’iperstress che fa emergere la crisi del rapporto fra la persona e tutto ciò che lo circonda, allora ci rendiamo conto che la prospettiva e le priorità possono essere differenti; aiutare chi vive questa forma di esaurimento energetico a raggiungere una maggiore comprensione delle proprie necessità, offrendo strumenti di riequilibrio somato-emozionale, per ritrovare l’energia vitale necessaria per sostenere un cambiamento deve essere l’obiettivo dell’operatore del ben-essere.

Osservando il “quadro d’insieme”, ci si rende conto di come sia necessario affrontare il problema da differenti prospettive: se da un lato è necessario incrementare la vis medicatrix naturæ, la pulsione naturale al ben-essere presente in ogni essere vivente, dall’altro identificare e rimuovere (ove possibile) gli stressor permette alla persona di ridurre il “carico allostatico” che “brucia” le riserve energetiche dell’individuo; Kinesiopatia®, Kinesiologia Transazionale® e Cranio-Sacral Repatterning® dispongono di strumenti in grado di sostenere questo percorso verso la “reintegrazione” (restitutio ad integrum) della persona, per raggiungere una maggiore gratificazione e sviluppare un corretto rapporto con il proprio ambiente.

La possibilità di intervenire sia sulla componente biochimica, attraverso l’identificazione di carenze nutrizionali o alimenti adattogeni, sia sulla componente strutturale, riducendo l’effetto delle tensioni posturali, sia sulla componente emotiva offre l’opportunità di sinergizzare gli interventi, amplificandone l’effetto; l’uso mirato del test muscolare offre la possibilità di riconosce possibili cofattori eziologici e di cercare possibili rimedi agli effetti negativi che causano. Anche l’identificazione di significance detector o di alterazioni dell’espressione del ritmo cranio-sacrale, offre l’opportunità di ristabilire la qualità ed il ritmo del meccanismo respiratorio primario, finalizzando l’azione di riequilibrazione sulle aree che subiscono maggiormente gli effetti dello stress.

burn-out e stress emotivo

Alcune discipline focalizzano l’attenzione sugli aspetti cognitivi, dimenticando che la risposta neuro-endocrina dello stress condiziona proprio la percezione della realtà ed il processo cognitivo stesso; come conseguenza della risposta catecolaminica e dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale per sostenere la “fight-or-escape response” causata dallo stress, si osserva una progressiva “devascolarizzazione” delle aree corporee non ritenute essenziali per la sopravvivenza dell’individuo: il blood-shift non interessa esclusivamente i distretti cutanei o l’apparato gastro intestinale, ma anche aree cerebrali non considerate fondamentali per affrontare uno stato di vigilanza continuo, tipico di fenomeni che assumono un andamento cronico.

Il neuro-scienziato Paul Donald MacLean, ha elaborato la tesi che il sistema nervoso sia in realtà una struttura trinitaria (“Triune Brain”), ovvero che pur apparendo come una unica entità, sia morfo-funzionalmente trino: l’idea di fondo è che il sistema cerebro-spinale, nel corso della filogenesi, si sia sviluppato attraverso un processo di stratificazioni successive; le strutture originarie, più arcaiche, semplicemente vengono “ricoperte” da altre più moderne che sovrappongono integrazioni, aggiunte funzionali ed estensioni in grado di effettuare elaborazioni più articolate, senza che avvengano radicali modifiche strutturali.

Un potenziamento che porta il sistema nervoso dal “semplice” controllo dell’omeostasi, messo in atto dal cosiddetto R-Complex, più arcaico, all’elaborazione attuata dal Sistema Limbico delle componenti emozionali e l’interazione fra i messaggi provenienti dal mondo esterno con quelli endogeni, fino allo sviluppo di capacità cognitive acquisite con l’evoluzione del Neo-Pallium corticale; in situazioni di stress, però, si osservano forme di “involuzione”: lo spostamento del sangue dalle aree del “cervello cosciente” alla parte più emozionale, la Paleo-Cortex o, addirittura verso i nuclei più profondi, “rettiliani” ed istintuali, comporta una semplificazione delle dinamiche comportamentali.

Il blood-shift associato allo stress, infatti, riducendo la perfusione dei tessuti riduce anche l’attività delle aree coinvolte dalla ridistribuzione ematica: da uomo evoluto in grado di elaborare gli eventi, per “colpa” del progressivo esaurimento, la persona si trasforma in un soggetto vulnerabile, in preda alle proprie paure ed insicurezze in cui emergono gli istinti primordiali di sopravvivenza; si crea un progressivo distacco dalla realtà, in quanto si tende a proiettare le esperienze pregresse (fallimentari) sul presente, secondo una logica temporale ma non razionale, creando sillogismi del tipo “post hoc, propter hoc“ , che condizionano l’interpretazione degli eventi ed inducono la tendenza a seguire percorsi tortuosi, ma già sperimentati, o ad agire secondo un qualche programma reiterativo, consolidando abitudini. In poche parole si attivano loop negativi, assimilabili a profezie negative auto-avverantisi, che impediscono, spesso, la rivalutazione del presente e l’identificazione delle vere priorità e necessità.

Il ritmo cranio sacrale è particolarmente sensibile allo stress: le distorsioni nelle sue manifestazioni, in termini di alterazioni della frequenza del ritmo, della sua ampiezza e della “qualità” attraverso cui si esprime, sono indicatori molto precisi dell’entità del disagio a cui si è sottoposti: le tecniche di normalizzazione, utilizzate in Cranio-Sacral Repatterning®, possono rivelarsi utili per ripristinare la corretta circolazione sanguigna cerebrale, coadiuvando l’inversione del blood-shift responsabile dei mutamenti cognitivo-comportamentali. La stimolazione dei “riflessi neuro-vascolari”, utilizzatati in Kinesiopatia® ed in Kinesiologia Transazionale®, è una metodica ancora più efficace nel ripristinare la circolazione sanguigna ai tessuti corticali.

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