ultimo aggiornamento: 10 Aprile 2022 alle 18:56
definizione
La locuzione trigger point (punto grilletto) fu coniata, nel 1943, dalla dottoressa Janet Travell, per definire le masse o i noduli coinvolti nella genesi del dolore miofasciale, percepiti all’interno dei muscoli tesi ed in grado di scatenare dolore: un punto iperirritabile all’interno di una fascia tesa di un muscolo, associato ad un nodulo palpabile ipersensibile (rispetto al controlaterale) contenuto nelle fibre muscolari, le quali sono caratterizzate da una maggiore rigidità; questo dà origine al cosiddetto dolore miofasciale, cioè un dolore muscolare contraddistinto da sintomi sensoriali, motori e autonomici; alla dottoressa Janet Travell, i primi importanti studi si devono anche a Simons.
Anche se talvolta la localizzazione di alcuni trigger points può coincidere con altri punti riflessi, la natura di queste zone è sostanzialmente differente dai tender points fibromialgici, dai punti dolenti di Jones, dai neurolinfatici di Chapman o, tantomeno, dai punti di agopuntura.
descrizione – fisiopatologia
Per rendere più chiara la definizione, basti immaginare il muscolo, come un insieme di corde, che grazie al loro accorciamento (contrazione muscolare) muovono segmenti ossei. Il Trigger point lo si deve immaginare come un nodino su una o più fibre muscolari, che è percepibile dall’esterno mediante la palpazione, e che se stimolato evoca un dolore sul punto, ma soprattutto a distanza, evoca dolore in una zona irradiata. Per questo molto spesso le persone riferiscono dolore che può essere scambiato per altre patologie che hanno a loro volta irradiazione simile.
Un muscolo, in condizioni normali, dovrebbe essere elastico, potendo accorciarsi durante la contrazione e riallungarsi nella fase di rilassamento: uno stato di continuo spasmo, contratture consistenti e ripetute, degnazioni del tessuto muscolare dovute a microtraumi ed inflammaging può causare fenomeni di fibrotizzazione muscolare che possono ridurre la distensibilità della fibra muscolare e della fascia di rivestimento (epimisio, perimisio, endomisio)
non risulta dolente alla palpazione. Ripetute contratture, sovraccarichi, degenerazione dovuta all’età ecc. possono portare a una diminuzione dell’elasticità e nella fascia (ma non solo) del muscolo e possono crearsi i trigger point. Sostanzialmente si tratta di una piccola porzione di muscolo o di fascia muscolare che appare indurita e dolente alla palpazione. In sostanza, un nodulo dolente. La digitopressione del trigger point provoca dolore nella stessa sede o a una certa distanza da esso.
Si possono definire due tipi di trigger point: attivi e latenti.
Un muscolo fibrotizzato è un muscolo patologico, che presenta un’alterazione dell’impalcatura delle cellule muscolari. Può presentarsi dopo un trauma oppure essere la manifestazione di alcune patologie come alcuni tipi di distrofia muscolare.
Alla palpazione il muscolo apparirà più duro di consistenza, meno elastico e dolente alla pressione, ma solo nella zone dove è avvenuta la lesione.
Lo stato di fibrosi del muscolo si forma quando si instaura uno stato di infiammazione cronico. I miofibroblasti (cellule responsabili del rimodellamento cellulare) in una situazione normale, dopo aver portato le sostanze riparatrici, vanno incontro ad apoptosi (morte spontanea). Nel caso invece dell’infiammazione verranno richiamate cellule immunitarie che si depositeranno nella zona di lesione creando una cicatrice patologica. Le miofibrille non possono riformarsi e il muscolo rimane poco elastico.
Entrambi presentano rigidità, ipofunzionalità nel muscolo interessato e dolore alla palpazione.
I trigger point definiti attivi provocano dolore non solo alla palpazione; quelli latentipossono diventare attivi tramite un sovraccarico, un trauma o quando il muscolo è lasciato in stato di accorciamento per periodi troppo prolungati.
Curare i trigger point – Compresa la natura anatomica di un trigger point, si comprende che solo un intervento meccanico può risolvere la situazione. A questo punto esistono due scuole diverse di pensiero.
Janet Travell propose un trattamento clinico che consiste nel trapassare il trigger point con un ago preferibilmente iniettando al tempo stesso una soluzione di anestetico locale (dry needling oppure wet needling se si associa anche l’anestetico, per esempio lidocaina).
L’obiezione al needling è che può essere critico penetrare con aghi tessuti ricchi di nervi e vasi sanguigni; la seconda strada è quindi agire meccanicamente con un massaggio eseguito da un ottimo professionista.
La ricerca – Esistono diverse ricerche che mostrano l’efficacia del needling e quindi del trattamento dei trigger point, ma la maggior parte riguarda distretti particolari del corpo, soprattutto collo e spalle. Inoltre (Liu e al., 2015) nel medio termine il wet needling sembra risultare più efficace del dry.
Peraltro esistono anche ricerche (per esempio Though et al., 2009) che ritengono insufficienti i dati a favore del needling.
Analisi critica dei trigger point
I punti grilletto sono noti e studiati da oltre 50 anni, ma non hanno risolto granché. Attualmente molti fisioterapisti e associazioni di fisioterapisti invitano a prenderli in considerazione, ma è necessario avere chiari i seguenti punti:
- qualunque terapeuta che mischi concetti legati ai trigger point a concetti tipici dell’agopuntura o di altre medicine non convenzionali non sta parlando dei veri punti grilletto, ma sta facendo solo “filosofia del dolore”.
- Prima di trattare un paziente (con massaggio o con needling) è necessario evidenziare esattamente il trigger point alla palpazione; non basta cioè che il paziente provi un dolore generalizzato, ma la pressopalpazione deve localizzare un’area molto dolente e circoscritta.
- Gran parte delle cure hanno effetto nel medio periodo (la guarigione può essere dovuta solo a effetto tempo) e spesso non sono risolutive (si noti come miglioramenti avvertiti dal paziente possano essere dovuti semplicemente all’anestetico usato nella versione wet del needling); ciò contrasta abbastanza con la definizione di trigger point secondo la quale dovrebbero bastare poche sedute per sciogliere il trigger.
A questo punto i sostenitori dei punti grilletto ritengono che esistano coause che continuino a riformarli; per esempio alcuni poco scientificamente parlano di carenze vitaminiche o di minerali, carenze che genererebbero altri evidenti problemi.
Perché allora esistono casi di successo? Vediamo cosa succede:
- Un 1% (o una percentuale molto bassa) della popolazione può essere curato con il metodo.
- Ne parla entusiasticamente all’amico che ha la stessa sintomatologia (ma causa diversa).
- L’amico prova a curarla con i trigger point, ma non ottiene nulla e il passaparola si esaurisce.
Questa descrizione si applica a tutte quelle terapie che percentualmente hanno un quid di validità, ma solo in una fascia molto ristretta della popolazione; il terapeuta che le applica a tutto e a tutti incorre in quello che chiamo delirio di onnipotenza. Tale delirio si ha anche nella medicina convenzionale quando il medico pensa di curare tutto con una sola categoria di farmaci, con un solo intervento chirurgico ecc.
Sono definiti Trigger Points (punti grilletto), o siti di iperirritabilità, piccole aree ubicate in segmenti muscolari e caratterizzati da gruppi di fibre in stato di contrattura persistente, in seguito ad insulto o danno da sovraccarico. Essi mantengono in tensione e limitano il movimento del muscolo di appartenenza e possono essere silenti o attivi.
Un trigger point può essere attivato da:
- eccessiva massa muscolare
- stress
- trauma o infortunio
- assenza di stretching
- mancato o errato stretching prima dell’attività fisica.
Lo stress assume quasi sempre un ruolo importante sia nello scatenare il sintomo, sia nel perpetuarlo.
Stress e circolo vizioso “dolore –spasmo muscolare-dolore”
L’evidenza clinica del trigger point è il dolore muscolare, continuo o discontinuo, a livello di una o più sedi muscolari, apparentemente indenni. I punti grilletto vengono definiti, per questo motivo, miofasciali ( “Miofascial trigger points”). Spesso il dolore si accompagna a manifestazioni vegetative come ad esempio nausea e vomito, oppure a sensazioni di tensione, di rigidità, di facile affaticabilità e di debolezza e/ di ridotta autonomia di movimento.
Il trigger point assume, inoltre, la peculiarità di una condizione di iperalgesia (aumentata sensibilità agli stimoli dolorosi) superficiale e profonda in aree sovrapponibili , limitrofe oppure lontane dalla sede del punto grilletto e possono esistere indipendentemente da qualsiasi altro problema evidente. In un certo senso queste fibre in stato di contrattura o detti anche piccoli nodi, sono una parte integrante naturale dei muscoli e, quindi, inevitabile che prima o poi quasi tutti i soggetti vengono coinvolti da un episodio di dolore miofasciale.
L’esperienza clinica quotidiana di medici, terapisti, fisioterapisti hanno dimostrato che la sintomatologia dolorosa è frequentemente da imputare alle nodosità muscolari e che questi possono essere facilmente debellati con tecniche più o meno semplici con il “blocco dei trigger points”. La visita medica specialistica è fondamentale per la diagnosi. Essa che deve comprendere un’attenta palpazione del distretto corporeo, indicato dal paziente, per la localizzazione della nodosità e la ricerca dei criteri appropriati par la diagnosi stessa.
Ricerca e palpazione dei Trigger Points
Il riconoscimento dei punti grilletto permette, a volte, di risolvere problemi algici e posturali anche con una banale pressione sul nodo muscolare seguito dal trattamento per il “riequilibrio posturale”, oppure di risolvere la cefalea muscolo-tensiva bloccando la nodosità del muscolo con soluzione fisiologica o anestetico.
I criteri per la diagnosi clinica dei Trigger Points, e quindi delle sindromi miofasciali, sono stati recentemente ridefiniti da David Simons. E’ opportuno, quindi, segnalarli in sintesi.
Secondo l’Autore, nel caso di T.P. attivi, devono essere soddisfatti cinque criteri maggiori ed almeno uno dei tre criteri minori.
I criteri maggiori sono:
- dolore spontaneo distrettuale;
- comparsa acuta durante o dopo uno sforzo fisico e/o improvviso sovraccarico dell’apparato muscolare;
- sbilanciamento strutturale dell’assetto corporeo (alterata postura);
- dolore o sensazioni alterate nella zona prevista di dolore riferito (area bersaglio) per un determinato T.P.;
- segno del “jump” , banda indurita nastriforme, che risulta tesa alla palpazione in un muscolo accessibile (palpazione a scatto);
- elettiva e localizzata dolorabilità in un punto preciso lungo il segmento muscolare indurito (segno del salto);
- ridotta ampiezza di movimento, quando misurabile;
- rapida contrazione locale alla stimolazione improvvisa de T.P. o alla puntura.
I criteri minori sono rappresentati da:
- riproduzione, mediante pressione sul punto dolorabile, del dolore o delle sensazioni alterate spontaneamente percepiti;
- evocazione di una risposta locale di contrazione delle fibre muscolari mediante compressione omediante inserzione di ago a livello del punto dolorabile della banda tesa;
- dolore alleviato dalla distensione del muscolo o dall’infiltrazione del punto dolente.
Criteri di diagnosi strumentali
Non si evidenziano anomalie strutturali attraverso esami di laboratorio e attraverso esami strumentali radiografiche ed EMG. Mentre l’ ecografia, la temperatura muscolare e la RMN di utime generazioni, come pubblicato da Chen et Al. nel 2007 su Arch. Phys. Med. Rehabilitation, sono in grado di localizzare aree di algo-disfunzione anche molto piccole.
L’esame della sensibilità algogena, eseguita a livello della sede affetta e nei distretti ad essa legati da rapporti di segmentarietà neurologica, permette di documentare l’esistenza di uno o più focolai di intenso dolore in aree circoscritte e ben delimitate. Spesso le zone evidenziate sono di 2-5 mm di diametro e l’ aspetto più evidente è costituito dalla dolorabilità alla digito-pressione locale.
Morfologia e fisiologia di un punto trigger
Se si osserva al microscopio il tessuto responsabile della dolorabilità, si può osservare la strutturazione del punto trigger: Miofibrille e Reticolo sarcoplasmatico
Miofibrille
Reticolo sarcoplasmatico
Un muscolo è costituito da fibre (cellule) unite da tessuto connettivo (sistema miofasciale). Ogni fibra è formata da una membrana con più nuclei e da migliaia di filamenti interni, le miofibrille. La lunghezza delle fibre varia da 0,05 mm a 30 cm. Il movimento del muscolo avviene grazie ai motoneuroni che dal midollo spinale raggiunge un gruppo di mio-fibre formando l’unità motoria. Le unità contrattili delle miofibrille sono i sarcomeri, costituiti da due proteine filamentose, actina (fine) e miosina (spessa), coinvolte nella contrazione. Il funzionamento del muscolo può essere descritto in modo semplice dalla teoria di Julian Huxley, secondo la quale:
a) le fibre ricevono un impulso che genera la liberazione di ioni calcio presenti nel muscolo;
b) il flusso sanguigno capillare fornisce alle fibre i substrati per le esigenze metaboliche;
c) in presenza di ATP (il “carburante”) gli ioni calcio si attaccano ai filamenti di actina e di miosina formando un legame elettrostatico;
d) le fibre muscolari si accorciano perché le due proteine scivolano l’una sull’altra telescopicamente;
e) quando l’impulso cessa, il movimento s’inverte e la fibra torna alla lunghezza iniziale.
Quando i sarcomeri non lavorano bene a causa di uno sbilanciamento dei meccanismi coinvolti, si arresta il flusso di sangue nelle immediate vicinanze ed i sarcomeri sono chimicamente e strutturalmente bloccati ad invertire il movimento di accorciamento delle fibrille, danno luogo ad un nucleo iniziale di micro contrattura persistente.
I trigger points e le algie muscoloscheletriche
Non esiste dolore importante acuto o cronico che non possa generare dei trigger points. Non esistono trigger points che stimolati non siano in grado di generare dolore.
Ma nasce prima l’uovo o la gallina? Che tradotto potremmo formulare: sono i triggers points a generare dolore o il dolore a generare i trigger points?
Ma partiamo dall’inizio; cosa sono i trigger points?
I triggers points o punti grilletto definiti anche PAM o punti algici miofasciali sono punti presenti in diverse strutture del sistema muscolo scheletrico: cute, aree cicatriziali, muscolo, tendine, legamento, capsula, caratterizzati da una maggior densità tessutale di solito dolorabili alla palpazione.
Sono come dei nodi all’interno della struttura filamentosa che compone la maggior parte di questi tessuti molli.
I terapeuti esperti siano essi massagiatori che fisioterapisti o osteopati sono capaci di rintracciarli molto velocemente alla palpazione.
Sono punti di tessuto più compatto che agli inizi del novecento, quando l’ anatomo patologia svelava, grazie allo studio miscroscopico dei tessuti, la ragione di molteplici patologie, hanno suscitato un notevole interesse e clamore scientifico. In quel periodo infatti furono scritti diversi lavori ed eseguite importanti e storiche lezioni magistrali a loro riguardo. Autorevoli scienziati, neurofisiologi e medici avevano postulato svariate ipotesi sul loro ruolo nella genesi delle diverse sintomatologie dolorose.
Furono create diverse classificazioni e attribuiti a questi punti i più svariati nomi, si definiva per la prima volta il concetto di dolore irradiato o di dolore a distanza.
Oggi a oltre un secolo di distanza questi punti forse perchè non sempre identificabili con l’esame ecografico e quindi non tangibili un po’ come con gli agopunti, hanno perso il loro interesse scientifico e da molti ortopedici, reumatologi e fisiatri vengono totalmente ignorati. Tant’è che alla facoltà di medicina e fisiatria dei miei tempi neanche si sono studiati.
Ho iniziato a conoscerli, studiarli, trattarli e infine riconoscerli solo dopo aver eseguito i corsi di miofibrolisi del Dott. Giulio Picozzi e del Dott. Virginio Mariani e da allora non ho più smesso. I trigger points erano conosciuti nella medicina cinese come punti ashi.
Alcuni punti definiti trigger latenti possono rimanere silenti per anni senza dar segno della loro presenza per poi venire alla luce magari dopo uno sforzo improvviso o prolungato, dopo uno stiramento, un movimento o una postura mantenuta a lungo oppure anche dopo il raffreddamento del muscolo stesso e infine anche dopo un trauma.
I trigger points definiti invece attivi provocano una diminuizione del raggio di movimento e della forza muscolare delle aree muscolari coinvolte, inizialmente poco visibile capace di generare una graduale rigidità e un dolore cronico o ricorrente.
Oggi ritengo che l’identificazione dei punti trigger e la loro eliminazione o riduzione sia un fondamentale percorso verso la completa risoluzione delle patologie muscoloscheletriche indipendentemente dalla loro causa.
Infatti i dolori ad eccezione dei traumi recenti hanno una componente talmente complessa da non poter sempre riconoscere la vera causa che li ha originati. Alcune volte dolori apparentemente semplici e ritenuti di natura esclusivamente meccanica o posturale sono l’espressione di tensioni interne o viscerali e vice versa. Solo trattandoli in modo corretto e protratto la loro vera natura e origine saltano fuori.
Potrei ripetere quello che dice il Dott Giulio Picozzi ai suoi corsi “non trattare il dolore con l’agopuntura equivale a non far pulire il pavimento alla donna di servizio!” e aggiungerei che non utilizzare la miofibrolisi in caso di dolore muscolo scheletrico equivale a non usare la scopa per pulire il pavimento. La combinazione dei due trattamenti produce un lavoro completo a 360 gradi; la miofibrolisi lavora dall’esterno verso l’interno e l’agopuntura dall’interno verso l’esterno. Associando le due metodologie il risultato si raggiunge più velocemente.
La miofibrolisi è una tecnica che utilizza strumenti metallici a punta di varia forma, capaci di raggiungere i diversi distretti muscoloarticolari anche più profondi, come le inserzioni tendinee ovvero i punti dove il tendine si inserisce sull’osso. L’utilizzo di questi strumenti consente di individuare i triggers pointsanche più profondi e di eliminarli riordinano le fibre che li compongono.
Oggi nella medicina occidentale si usa l’infiltrazione con anestetici o analgesici dei punti trigger così come nella medicina cinese si punge direttamente il punto trigger o ashi, queste tecniche hanno una loro efficacia ma non lavorano sull’intero sistema fasciale come invece fa la miofibrolisi.
Eliminato il trigger point l’energia e il sangue potranno nuovamente circolare liberamente in quel distretto, senza ingolfarsi o bloccarsi; ecco perchè l’agopuntura e la miofibrolisi seppur indipendenti possono diventare trattamenti terapeutici complementari per la risoluzione di diversi dolori muscolo scheletrici.
E chiaro che se esiste una postura scorretta o microtraumi ripetuti dovuti all’attività lavorativa, il risultato potrà essere incompleto e necessiterà quando possibile di un lavoro di rieducazione fisica e correzione posturale.
Per quel che riguarda l’aspetto emozionale, l’agopuntura potrà aiutare limitare le tensioni, ma talora richiederà anche un’opera di introspezione e di consapevolezza che porti ad un cambiamento reale e tangibile della vita e del modo di affrontarla.
Pertanto nel caso di alterazioni degenerative permanenti quali l’artrosi o deformazioni scheletriche anche gravi, così come negli esiti di traumi, il trattamento con la miofibrolisi e, meglio ancora, il trattamento combinato miofibrolisi-agopuntura saranno in grado di ridurre la componente dolorosa in modo soddisfacente consentendo una limitazione della terapia antidolorifica e miorilassante.
Cosa sono i Punti Trigger (PT)?
La dizione “Trigger Points” fu introdotta da Janet Travell (1901-1997) nel 1952, benche’ il concetto fosse noto da almeno un secolo in ambienti medici “ufficiali” anche se in maniera piu’ vaga. Ma crediamo di poter affermare che il concetto era comunque noto nella medicina tradizionale di sempre anche se ovviamente non nei dettagli scientifici cosi’ accuratamente descritti e sistematizzati da Janet Travell, studiosa di eccezione che fra l’altro fu anche medico personale di J. F. Kennedy e medico ufficiale della Casa Bianca durante le amministrazioni Kennedy e Johnson.
La Travell dedico’ la sua intera carriera allo studio dei Punti Trigger, che da ora in poi saranno semplicemente scritti PT. Inizialmente specialista cardiopolmonare, Janet Travell si accorse che 1) il dolore era la principale lamentela dei suoi pazienti e che 2) la principale causa di dolore era di natura miofasciale e in particolare muscolare. Questo indipendentemente dalla diagnosi della malattia del paziente.
Quindi si puo’ affermare che J. Travell mise a fuoco la fondamentale preponderanza dell’apparato muscolare come causa della stragrande maggioranza delle sindromi dolorose nei pazienti. La sua ricerca costituisce al tempo stesso una critica alla medicina accademica la quale si e’ andata sempre piu’ specializzando e tecnologizzando ma al tempo stesso ha colpevolmente ignorato il sistema muscolare a tale punto che non esiste, fra tutte le specializzazioni mediche, quella di “specialista dei muscoli”!
Dedicandosi oramai a tempo pieno allo studio delle sindromi miofasciali, la Travell in seguito coadiuvata dal medico David Simons, mise a fuoco il concetto cruciale della sindrome dolorosa muscolare definendo un ente che chiamo’ “Myofascial Trigger Point” (Travell J, Rinzler SH: The Myofascial Genesis of Pain. Postgrad Med 11:425-434, 1952).
In italiano, preferiamo lasciare la parola “trigger” invece di tradurla perche’ mentre e’ vero che trigger si puo’ tradurre con “grilletto”, trigger ha anche il significato piu’ generico di elemento o azione che attiva o innesca una reazione automatica spesso di proporzioni molto maggiori della forza che la ha innescata, per cui il significato della parola “trigger” e’ piu vasto di quello del termine italiano “grilletto”.
La scoperta della Travell fu quindi quella di individuare e di descrivere i Punti Trigger (PT) come entita’ muscolari dalle caratteristiche precise. Piu’ in generale poi vi sono punti trigger extra muscolari, in particolare PT fasciali che causano simili sindromi dolorose. Tuttavia tali altre varieta’ di PT sembrano meno facilmente catalogabili e attualmente la loro comprensione non e’ cosi’ avanzata come nel caso dei PT muscolari.
Una parziale definizione sintetica formulata dalla Travell del PT e’: area localizzata estremamente irritabile e dolorosa in un nodulo in un fascio teso di tessuto muscolare.
Dal momento che ci siamo posti in un’ottica pratica e empirica, si consiglia di memorizzare tale definizione sia pure incompleta perche’ ci permettera’ di giungere ad una formula che rendera’ possibile identificare, e quindi trattare, i PT, anche senza necessariamente dover memorizzare le svariate centinaia di muscoli del corpo umano (650-850 a seconda delle classificazioni) e quindi le migliaia di PT possibili. E’ quindi desiderabile formulare un criterio sintetico per la individuazione e il trattamento dei PT sulla base di pochi concetti basilari e della semplice ispezione manuale.
Soffermiamoci allora per un attimo sulla definizione parziale di cui sopra. Si allude ad un nodulo, ad un fascio teso di fibre, e ad un’area localizzata e dolorante nel nodulo. Quindi ai fini della ispezione manuale di un muscolo, si cerchera’ un “grappolo” di cellule muscolari che si trovino in uno stato di tensione abnorme, che ci dara’ spesso l’impressione di una corda tesa. Lungo questa “corda”, si cerchera’ poi di individuare dei noduli di piccole dimensioni e di consistenza ancora piu’ rigida del fascio teso (se cosi’ non fosse non sarebe possibile differenziarli dal fascio teso). A questo punto, una volta trovato il nodulo, si e’ praticamente trovato il PT che pero’ occupa uno spazio ancora piu’ piccolo in quanto e’ una area localizzata all’interno del nodulo stesso. Appare quindi chiaro che seguendo questo metodo si possono individuare PT in qualsiasi muscolo senza necessariamente dover imparare a memoria i nomi e le forme degli ottocento e piu’ muscoli del corpo umano. Tutto cio’ che occorre e’ sviluppare una adeguata sensibilita’ tattile.
La definizione data sopra e’ pero’ da considerarsi parziale ai fini pratici e va ampliata introducendo i concetti di dolore riconosciuto e di dolore riferito.
L’applicazione di pressione al PT infatti genera un dolore che il soggetto riconosce come familiare e gia’ provato o in forma attuale o in forma di evento del passato. Inltre in molti casi il dolore in questione emerge ad una certa distanza dal PT coinvolto. Infatti una caratteristica di molti (ma non tutti) i PT e’ quella di causare dolore in aree localizzate ad una certa distanza dal PT stesso. Ora pero’ siccome alcuni PT non obbediscono questa regola del dolore riferito, allora tale dolore riferito non puo’ costituire condizione necessaria perche’ un nodulo muscolare sia un PT, tuttavia la preponderanza del dolore riferito nelle sindromi da PT ci fa ritenere opportuno sottolineare che qualora un nodulo muscolare causi dolore riferito altrove a seguito di pressione, allora si potra’ ritenere di essere alle prese con un vero PT.
Per esempio, se comprimendo il Peroneo prossimale appena al di sotto del ginocchio, si genera dolore nella zona del malleolo esterno, allora si potra’ affermare senz’altro di trovarsi alle prese con un PT . Vedi immagine dove la x corrisponde al PT e l’area grigia intorno al malleolo corrisponde al dolore riferito. Il caso in questione e’ tipico delle “storte” alla caviglia che continuano a presentare dolore anche molto tempo dopo il trauma, il dolore residuo essendo perpetuato dal PT del peroneo.
In ogni caso, una definizione completa del PT dovra’ includere la nozione del dolore familiare evocato ma non del dolore riferito, in quanto il dolore non in tutti i casi compare a distanza dal PT.
Quindi in sintesi,
Definizione di Punto Trigger (PT): area localizzata estremamente irritabile e dolorosa in un nodulo in un fascio teso di tessuto muscolare, e riconoscimento da parte del paziente del dolore evocato da pressione del PT come di un dolore familiare o noto.
Per completare la descrizione generale dei PT occorre ora comprendere cosa accade a livello microscopico cellulare, dopodiche si avranno tutti gli elementi necessari per procedere alle applicazioni pratiche, cioe’ al trattamento finalizzato alla riduzione e cura dei PT e dolore e disfunzioni associate.
Come e’ noto, le cellule muscolari sono longitudinali e le contrazioni di tali cellule avvengono grazie a unita’ chiamate sarcomeri, le quali si contraggono e si rilasciano agendo come microscopiche pompe e facendo circolare il sangue ossigenato e il nutrimento nel tessuto muscolare. A seguito di eccessivamente prolungata contrazione, questo effetto pompa si interrompe e si crea localmente una crisi energetica di mancanza di ossigeno e di accumulo di residui metabolici. Il sarcomero diviene incapace di rilasciare la contrazione e assume uno stato di rigidita’ meccanica e permanente. La somma di piu’ sarcomeri in tale stato abnorme origina il nodulo del PT che a sua volta da luogo al fascio teso di fibre che corre lungo l’intero muscolo. A seguito di tale condizione quindi l’intero muscolo si viene a trovare in uno stato di ipertensione e in particolare le aponeurosi e le interfaccie muscolo-tendine e tendine-osso ne vengono a soffrire in maniera cronica. Pertanto un PT localizzato nel centro di un muscolo puo’ originare dolore all’estremita’ del muscolo e alla attaccatura del tendine (vedi esempio illustrato del peroneo di cui sopra).
Risulta anche cosi’ evidente, che siccome i sarcomeri coinvolti sono come incollati e incapaci di rilassamento spontaneo, diviene necessario un intervento di tipo meccanico per interrompere la contrazione parossistica e la crisi energetica locale. Da tale constatazione, Janet Travell ideo’ un trattamento clinico che consiste nel trapassare il PT con un ago preferibilmente iniettando al tempo stesso una soluzione di anestetico locale. Noi tuttavia riteniamo che non vi sia necessita’ di tali interventi cruenti in quanto un massaggio specifico effettuato da persona esperta e dotata di tecnica appropriata puo’ ottenere la guarigione del PT senza dover infilzare tessuti spesso delicati e ricchi di nervi e vasi sanguigni quali p.es. il collo o l’interno della coscia. Percio’ la terapia piu’ sensata e’ quella del trattamento manuale a mezzo delle dita, delle nocche, del gomito, o al limite usando appositi strumenti quali la Theracane o il Knobble di cui avremo da parlare in seguito quando tratteremo della pratica terapeutica dei PT.
Concludiamo cosi’ questa prima breve introduzione ai Punti Trigger dove si sono stabiliti i fondamenti teorici e gettate le basi per il trattamento pratico di questi piccoli ma vocali diavoletti dei nostri muscoli.
Trigger Points: cosa sono, come trattarli, sintomi e terapia
I Trigger Points sono delle zone di muscolatura o fascia dense e dolorose alla palpazione, dei punti che vertono verso una condizione di continua contrazione patologica.
Il dolore, molto acuto e fastidioso, in genere si focalizza in un punto, detto appunto trigger, ma può coinvolgere zone limitrofe, precise per ogni muscolo, come dolore riferito.
Questa situazione porta inevitabilmente il corpo a situazioni di compenso per limitare il dolore diretto e quello riferito o irradiato.
Cosa causa i Trigger Points
Le cause e l’eziologia dei punti trigger non è ancora stata svelata completamente, anche se molte ricerche scientifiche testimoniano i risultati che si possono ottenere con il trattamento di queste zone.
Sicuramente bisogna tenere presente una multifattorialità:
- Una condizione di stress prolungata
- Iperstimolazione a livello neurologico
- Un’eccessiva liberazione di ioni calcio
- Ipertensione (pressione alta)
- Sforzo fisico eccessivo e ripetuto nel tempo
Queste sono solo alcune delle possibili cause determinanti la cessazione dello scorrimento di actina e miosina e il blocco in contrazione continua del sarcomero (posizione di accensione permanente).
Tengo a precisare che non stiamo parlando di contratture muscolari, ma di qualcosa di diverso.
I diversi tipi di Trigger Points
Esistono diverse tipologie di Trigger Points, con delle caratteristiche proprie e diverse tra loro:
- I primari (o centrali) sono quelli più classici, situati al centro del ventre muscolare e i genere sono quelli che i pazienti riconoscono e riportano più facilmente
- I secondari (o satelliti) si creano nei muscoli intorno a quello primario, che rimane il primo da trattare
- I T.P. nei punti di attacco sono quelli presenti nei punti tendinei
- I T.P. diffusi interessano un’intera parte del corpo e sono correlati a deformità posturali come la scoliosi o l’iperlordosi
- I T.P. attivi, primari o secondari evocano dolori riferiti e risultano dolenti alla palpazione
- I T.P. latenti (o inattivi) infine non danno dolore riferito e non sono dolenti, ma provocano rigidità muscolare e possono riattivarsi in seguito a stimolazioni
I sintomi associati
Il sintomo principale che riporta il paziente è sempre il dolore, descritto per lo più come lancinante e profondo, reso ancor più acuto dal movimento.
L’intensità del dolore provocato dai punti trigger varia in base a:
- La zona dove si trovano (i punti di attacco sono i più sensibili)
- La tipologia di T.P.
- Numero di T.P. coinvolti
- Il muscolo coinvolto (alcuni sono più sensibili)
- Danni, limitazioni e deficit associati
- Livello di cronicizzazione
Le sintomatologia associate ai Triggers Points ruotano tutte intorno alla situazione di aumento incontrollato della risposta dolorosa (iperalgesia) in cui si trovano le stesse zone trigger, come anche zone relativamente distanti (dolore riferito).
Il dolore e i sintomi che il paziente sente sono causati dall’eccesso e il conseguente accumulo di rifiuti tossici, provenienti per lo più dal metabolismo anaerobico che portano alla liberazione di sostanze vasoattive, responsabili dell’irritamento delle terminazioni nervose.
Detto in parole povere si vengono a creare punti e zone in cui i nervi sono molto più sensibilizzati e che causano compensi non fisiologici: il risultato è semplice, dolore spesso cronico e deficit funzionale della muscolatura e delle articolazioni in gioco.
Quando è utile trattare i Trigger Points
Il massaggio e trattamento dei Trigger Points può essere molto utile in diverse situazione, sia per migliorare le condizioni di salute sia per aumentare i livelli di performance.
In entrambi i casi una iperalgesia e un deficit funzionale possono creare diversi problemi:
- Lombalgia e dolori lombari (ileopsoas, piriforme, ecc)
- Sciatica e sindrome del piriforme
- Cervicalgia e dolori cervicali (trapezio, sternocleidomastoideo, ecc)
- Emicrania e mal di testa da cervicale
- Mal di testa cronico
- Epicondilite o epitrocleite
- Problemi alle caviglie (continue distorsioni) o ai polsi
- Dolori articolari o muscolari
- Diminuzione della forza
- Compensi funzionali durante i movimenti
Questa è solo una parte dei problemi trattabili, secondo alcune ricerche infatti i Trigger Points fasciali sono correlati molto intimamente col sistema nervoso autonomo.
Il trattamento della patogenesi dei Trigger Points miofasciali porta a molti effetti direttamente sui processi governati da questo sistema (come la digestione).
I processi patogenetici legati alle zone trigger possono così creare anche malfunzionamenti(dovuti ad esempio a blocchi del diaframma) e aderenze a livello viscerale portando quindi a sintomi come gastrite o stitichezza.
Trattamento e cura
Il trattamento principale è quello effettuato da personale competente come un massoterapista o un fisioterapista che dopo aver valutato la situazione, manualmente manipolano la zona interessata (in genere partendo dal primario).
Il massaggio dei Trigger Points è in genere molto efficace quando eseguito bene e si basa sul principio di compressione-ischemia-inibizione.
Come regola generale il massaggio non deve provocare dolore eccessivo, ma più un fastidio: si procede così per step a diverse barriere, ricercando l’inibizione con l’accorciamento o l’allungamento muscolare.
Esistono comunque dei consigli utili che possono essere utilizzati anche come fase di mantenimento:
- Il rinforzo dei muscoli deboli (quando sono deboli rischiano di provocare compensi nocivi)
- Lo stretching, sempre lento e graduale e spesso muscolo specifico
- Lavoro sulla postura con consigli pratici (come star seduto a lavoro o mentre si guida) o con esercizi di ginnastica posturale
Bisogna tenere sempre presente che possono esserci dei fattori che possono ostacolare o rallentare l’intervento terapeutico come:
- stress e ansia
- Invecchiamento
- Anoressia o obesità
- Sport e hobby
- Postura e lavoro
- Posizione nel sonno
- Infortuni pregressi
- Deficit di vitamine o sali minerali (come calcio, potassio e magnesio)
- Anomalie ossee