ultimo aggiornamento: 4 Settembre 2020 alle 1:42
definizione
Detto anche ligamento, derivato dal latino ligamentum, derivato di ligare (→ legare), indica l’atto di legare o di unire, da cui il significato di unione, connessione, cioè che serve a tenere unito: il termine descrive la funzione delle formazioni costituite di tessuto connettivo fibroso denso, che hanno il compito di tenere saldamente uniti due (o più) segmenti ossei, o di mantenere «in situ» (nella posizione che gli è propria) un organo, ovvero concorrono a delimitare orifizi osteofibrosi, aperture o cavità nelle quali si trovano altre formazioni anatomiche oppure attraverso i quali passano vasi sanguigni, vasi linfatici o tronchi nervosi.
Sono strutture fibrose più o meno voluminose e individualizzate che, inserendosi su due o più ossa, sulla superficie di un organo o organizzate nella compagine dell’organo stesso, hanno essenzialmente il compito di fissare, trattenere o ancorare le ossa in una determinata reciproca posizione o gli organi nella loro loggia oppure di costituirne una sorta di scheletro fibroso rudimentale. Il termine legamento è riferito anche a parti fibrose di membrane sierose che sostengono alcune parti dei visceri, come il legamento falciforme del fegato o i legamenti largo e rotondo dell’utero.
denominazione e funzioni
I legamenti sono chiamati dal nome delle strutture ossee su cui si inferiscono, come nel caso del legamento calcaneo-scafoideo dell’articolazione intertarsica), oppure quello degli organi che uniscono, per esempio il legamento gastroepatico congiunge stomaco e fegato; altre volte sono nominati in base al loro orientamento spaziale o alla loro disposizione: si pensi al legamento traverso dell’atlante, che dà origine a un anello fibroso che tiene fisso il dente dell’epistrofeo) oppure ai legamenti crociati, costituiti da fibre diagonali incrociate fra loro o da fasci fibrosi distinti che si dispongono a croce, o ai legamenti anulari, che contribuiscono con le loro inserzioni a formare un anello, come avviene nell’articolazione del carpo o del tarso. In altre occasioni il nome deriva dal loro aspetto, come per il legamento trapezoide o il legamento conoide, nell’articolazione della clavicola, al loro colore, esempio sono i legamenti gialli, che uniscono il margine inferiore di una lamina vertebrale al margine superiore della lamina sottostante.
legamenti sospensori degli organi
Come tipico esempio, tra i legamenti che costituiscono l’apparato sospensore di organi, si ricorda il «ligamentum falciforme hepatis» (legamento falciforme), che ancora il fegato alla cupola diaframmatica, mentre tra quelli che, oltre, a funzioni limitanti di un movimento, partecipano alla struttura architettonica dell’organo in cui sono situati, si possono citare i legamenti sospensori del cristallino («zonula ciliaris», nell’occhio) o il ligamentum suspensorium penis (legamenti sospensori dei corpi cavernosi del pene).
filogenesi
La comparsa dei legamenti, a livello articolare, è connessa con l’evoluzione dello scheletro rigido, in grado di garantire maggior sostegno e protezione; l’evoluzione di un endoscheletro osseo, un’impalcatura interna a cui si attaccano esternamente i muscoli, ha comportato la formazione di articolazioni, sia a livello delle appendici sia a livello della colonna vertebrale: i giunti articolari rappresentano un compromesso ragionevole tra la resistenza meccanica garantita e resilienza dello scheletro e la necessaria mobilità dell’organismo.
La comparsa delle articolazioni ha richiesto lo sviluppo di strutture finalizzate a “legare fra loro” le ossa che, pur rimanendo separate e conservando una certa mobilità l’una rispetto all’altra, hanno la necessità di rimanere unite a livello dell’articolazione: i legamenti, simili a cardini, mantengono le ossa nella loro posizione specifica, garantendo loro la possibilità di piegarsi e di articolarsi; a rigidità delle ossa ha richiesto, contestualmente, la presenza di un’altra forma di tessuto connettivo, in grado di offrire una sufficiente isteresi elastica alla catena cinematica osteo-articolare: i tendini.
Esempio dell’importanza assunta dal sistema dei legamenti può essere il legamento nucale, che origina a livello della vertebra prominente (VII cervicale), tra la curva cervicale e la curva toracica, e si estende in direzione del cranio; lungo il suo percorso si inserisce anche sui processi spinosi delle altre vertebre cervicali: quando la testa è sollevata, questo legamento agisce come la corda di un arco e mantiene la curvatura cervicale senza un grande sforzo muscolare, quando il collo si piega in avanti, l’elasticità del legamento consente alla testa di ritornare in posizione eretta.
Altro esempio dei vantaggi derivati dall’evoluzione (filogenesi) per lo sviluppo del sistema dei legamenti è la presenza, nell’uomo, del legamento rotondo del femore: la sua comparsa ha contribuito all’acquisizione della postura eretta., mentre la sua mancanza determina soltanto una maggiore mobilità dell’arto posteriore, come accade nelle scimmie antropomorfe.
legamenti ossei
La funzione limitante del movimento fra le ossa collegate, da parte dei legamenti, deve essere considerata prioritaria, in quanto le terminazioni nervose contenute al loro interno svolgono il ruolo di sensori o «interruttori di fine corsa»: tale funzione di controllo non dipende dalla loro resistenza alla trazione o alla distorsione, quanto, piuttosto, per la presenza di tensocettori all’interno della compagine connettivale, in grado di attivare eventuali muscoli agonisti, muscoli sinergici o muscoli stabilizzatori dell’articolazione coinvolta
Infatti la resilienza esercitata dal legamento, per resistere ai vettori che agiscono su un’articolazione, risulta, comunque, decisamente inferiore alla forza resistiva che un muscolo è in grado di sviluppare come risposta riflessa ad un vettore che ne provochi l’allungamento (riflesso miotatico da stiramento: la presenza di recettori sotto forma di terminazioni nervose libere od organizzati in corpuscoli specializzati, tra le fibre del tessuto connettivo fibroso o tra le fibre elastiche da cui sono costituiti i legamenti, consente di informare continuamente i centri nervosi superiori sullo stato di tensione dei legamenti stessi, sulla localizzazione spaziale dei vari segmenti ossei, sul grado di angolazione fra i capi articolari delle articolazioni su cui inferiscono.
I legamenti che si trovano a livello delle articolazioni possono partecipare alla costituzione della capsula fibrosa dell’articolazione: se sono liberi dalla capsula e autonomi, mantengono assieme le ossa contigue di un’articolazione, legandosi direttamente all’osso, come avviene a livello dell’articolazione del ginocchio, per il legamento crociato anteriore (LCA) ed il legamento crociato posteriore (LCP) , che uniscono femore e tibia; questi ultimi, due robusti legamenti, sono molto importanti in quanto, coadiuvati dai legamenti collaterali, guidano e limitano il “rotolamento” dei condili femorali sul piatto tibiale, durante i movimenti di flessione ed estensione del ginocchio.
I legamenti non periarticolari sono detti legamenti propri, se si impiantano su due parti di uno stesso osso, e legamenti a distanza, se tesi tra due ossa, sotto forma di membrane; in alcuni casi questa funzione è svolta anche dai tendini, che intervengono solitamente nel collegamento di ossa e muscoli a formare le entesi.
Nel corpo umano, i legamenti sono disposti in modo tale da intervenire attivamente soltanto nei gradi estremi del R.O.M., quando l’integrità dell’articolazione è messa in serio pericolo; i legamenti entrano in gioco, anche, nel mantenere i tendini nella posizione corretta e possono modificare la direzione della forza esercitata dai muscoli da cui provengono i tendini.
lesioni dei legamenti
Come una corda formata dall’intreccio di tante fibre che si sfilaccia poco a poco, anche i legamenti, se sottoposti a tensioni eccessive, dapprima si stirano, poi si strappano poco a poco fino alla rottura completa. Come i tendini anche i legamenti sono formati da fibre di collagene (tipo I), che possiedono una grossa resistenza alle forze applicate in trazione mentre la loro elasticità è ridotta, anche se può comunque aumentare grazie a specifici esercizi di stretching; non si spiegherebbe altrimenti lo straordinario grado di mobilità articolare raggiunto dai contorsionisti: occorre tuttavia considerare che l’eccessiva elasticità può rivelarsi pericolosa, quanto un’eccessiva rigidezza, dato che aumenta sensibilmente l’instabilità e la lassità articolare.
Le lesioni ligamentose avvengono quando le forze applicate ai legamenti divengono uno stimolo sovraliminale in grado di agire da stressor e superare la loro massima resistenza, ovvero la loro capienza massimale; la loro suscettibilità alle lesioni è direttamente proporzionale alla rapidità con cui si incrementa la forza applicata: un trauma causato da forze importanti, ma che incrementa la propria intensità lentamente, può causare il distacco parcellare del legamento dall’osso dove inferisce (avulsione osteo-legamentosa), tale è la loro resistenza alla distensione lineare progressiva.
Ad esempio, le lesioni dei legamenti crociati del ginocchio sono molto frequenti, come conseguenza dei movimenti di torsione, quando i muscoli non sono in grado di stabilizzare adeguatamente l’articolazione, soprattutto in caso di cadute in rotazione, nei rapidi cambi di direzione oppure per una flessione o estensione massimale o forzata; in particolare, le lesioni del legamento crociato posteriore si verificano quasi sempre alla presenza di un trauma diretto anteriore, a ginocchio flesso, con spostamento forzato della tibia all’indietro rispetto ai condili femorali.
Altro esempio classico di lesione legamentosa è la distorsione alla caviglia: se il contatto del piede con il terreno provoca una rapida inversione, spesso come conseguenza della debolezza dei muscoli peronei, l’articolazione tibio-tarsica viene coinvolte e la caviglia viene bruscamente allontanata dal calcagno determinando la lesione dei legamenti che tengono unite queste due ossa.
L’entità della lesione è ovviamente proporzionale a quella del trauma e può essere classificata in tre stadi di gravità:
⇒ I° grado – all’interno del legamento solo una piccolissima parte di fibre viene lesionata: lesioni microscopiche, che nella stragrande maggioranza dei casi non interferiscono con la normale stabilità dell’articolazione.
⇒ II° grado – in questo caso le fibre strappate sono molte di più e possono rimanere sotto il 50% del totale (lesione di II grado lieve) o superarlo (lesione di II grado grave): all’aumentare del numero di fibre coinvolte corrisponde un maggior grado di instabilità dell’articolazione.
⇒ III° grado – si assiste in questo caso alla rottura completa del legamento che può avvenire nella zona centrale con separazione dei due monconi o a livello dell’inserzione ligamentosa nell’osso: in quest’ultimo caso può verificarsi anche un distacco del frammento osseo al quale il legamento è ancorato.
L’instabilità articolare è la conseguenza più grave delle lesioni ligamentose ed è direttamente proporzionale al numero di fibre strappate; l’instabilità può essere classificata in diversi gradi e può essere facilmente apprezzata tramite test specifici come lo shift test o il test del cassetto anteriore. Spesso la lacerazione del legamento causa un’emorragia nello spazio articolare causando gonfiore, ecchimosi e dolorabilità intorno all’articolazione: il dolore può essere evocato o accentuato anche da particolari movimenti, anche se, ovviamente nella maggior parte dei casi (ma non i tutti) i sintomi sono legati all’entità della lesione ed aumentano in modo proporzionale al numero di fibre strappate.