Tutti gli articoli di FRANCESCO GANDOLFI

dall’ecologismo all’ecoansia …

«Omnis aestas
hominibus calidissima semper videtur»
(Lucio Anneo Seneca )

→ introduzione
→ eco-ansia: definizione
→ che cos’è l’ansia climatica
→ eco-distress: quali sintomi?
→ gestione dell’eco-ansia: problema personale o problema sociale?

Già ai tempi di Gesù Cristo, il filosofo stoico e politico Lucio Anneo Seneca, per rispondere alle persone che si lamentavano per la presenza della calura estiva, presagendo sciagure e temendo che si potesse verificare un “riscaldamento globale”, soleva dire:

«ogni estate sembra agli uomini la più calda di sempre»

eco-ansia: definizione

L’eco-distress è una psicopatologia associata ad un profondo senso di disagio e di paura derivanti dal pensiero ricorrente di possibili disastri legati al cosiddetto “climate change” (cambiamento climatico, spesso identificato con il riscaldamento globale) e ai suoi effetti ambientali: può essere identificata con una forma di ansia anticipatoria per un possibile futuro distopico derivante dagli effetti delle presunte modifiche climatiche antropiche o altre criticità ambientali, contraddistinta da inquietudine, senso di colpa e depressione spesso associati a sintomi quali attacchi di panico, insonnia o pensieri ossessivi; la conseguenza può essere lo sviluppo di quadri di disturbo ossessivo compulsivo caratterizzati da idee ripetitive, spesso involontarie e derivanti dal martellamento mediatico messo in atto dai cosiddetti social media, che si focalizzano su preoccupazioni, paure e angosce in grado di influenzare negativamente i comportamenti e le relazioni interpersonali.

Il termine composto dal prefisso eco-, dal greco οἶκο- (ēkhṓ- → dimora) in aggiunta ad ansia, può essere considerato derivato dall’inglese “eco-anxiety”, abbreviazione di “ecological anxiety”, cioè “a chronic fear of environmental doom” (→ la paura cronica di un disastro ambientale) oppure “the generalized sense that the ecological foundations of existence are in the process of collapse(→ la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare); l’American Psychological Association, la maggiore associazione di psicologi degli Stati Uniti, ha definito l’ecoansia come “una premura verso il cambiamento climatico unita alla preoccupazione per il futuro”, alla luce del fatto che “gradual, long-term changes in climate can also surface a number of different emotions, including fear, anger, feelings of powerlessness, or exhaustion” (→ cambiamenti climatici graduali e a lungo termine possono anche far emergere una serie di emozioni diverse, tra cui paura, rabbia, sentimenti di impotenza o esaurimento), causati da “the chronic fear of environmental cataclysm that comes from observing the seemingly irrevocable impact of climate change and the associated concern for one’s future and that of next generations” (→ la paura cronica del cataclisma ambientale che deriva dall’osservare l’impatto apparentemente irrevocabile del cambiamento climatico e la preoccupazione associata per il proprio futuro e quello delle prossime generazioni).

Occorre distinguere l’ecoansia dalla solastalgia, termine utilizzato per descrivere uno stato di angoscia che affligge chi ha subito una tragedia ambientale provocata dall’intervento dell’uomo sulla natura: questo neologismo, coniato dal filosofo ambientalista australiano Glenn Albrecht nel 2005 per l’articolo “Solastalgia, a new concept in human health and identity”, è una combinazione della parola inglese “solace” (→ conforto nel dolore; ciò che porta consolazione), derivata dal latino “solacium” (→ lenitivo, calmante; conforto, consolazione), e da “nostalgia” (→ letteralmente “dolore del ritorno”; desiderio morboso di tornare alla propria casa o al proprio paese natale), composta dal greco νόστος (nóstos → ritorno), e -αλγία, tratto άλγος (álgos → dolore, sofferenza).

Per quanto possano essere generate entrambe dagli effetti diretti di una vasta gamma di alterazioni ambientali quali la deforestazione, l’inquinamento o la distruzione dell’habitat solitamente causati dall’intervento antropico, la prima è una ossessione (spesso non proporzionata agli eventi) associata all’idea che il cambiamento climatico sia la causa precipua, la seconda è il frutto di un danno reale subito, venendo spesso sperimentata dalle persone che vivono in aree che subiscono ove si sono verificati danni ambientali significativi, come gli agricoltori e le comunità indigene di certe aree e può manifestarsi con sentimenti di perdita, disorientamento, ansia e depressione, nonché un senso di disconnessione dal mondo naturale e dalla perdita della percezione della propria identità o del senso di comunità. Si potrebbe affermare che la solastalgia dipenda dall’angoscia dipendente dalla percezione negativa per ciò che è stato modificato o che è in via di cambiamento, potendo essere classificata come un disturbo da stress post-traumatico, mentre l’eco-ansia è legata a ciò che potrebbe accadere in futuro e, pertanto, è una di ansia anticipatoria o un “disturbo da stress pre-traumatico”.

Glenn Albrecht afferma che “La solastalgia ha origine dai concetti di consolazione e desolazione. […] Letteralmente, la solastalgia è il dolore o la malattia causati dalla perdita o mancanza di conforto e dal senso di isolamento connesso allo stato attuale della propria casa e del proprio territorio.

Glenn Albrecht ha coniato anche il termine “sindromi psicoterratiche” per definire i quadri sintomatologici emergenti contraddistinti da preoccupazione ambientale, disagio emotivo e ansia anticipatoria per il futuro: il termine vorrebbe identificare la connessione tra lo stato della terra e la salute mentale, conseguente al presunto “climate change”; caratteristica delle “sindromi psicoterratiche” è la perdita di identità, del senso endemico del luogo ove si vive e la preoccupazione per il declino del benessere a causa della perdita graduale dell’ambiente conosciuto.

che cos’è l’ansia climatica

Eco-ansia, angoscia climatica, ansia da cambiamento climatico o ansia climatica, sono alcuni degli eponimi utilizzati per descrivere il disagio legato alla minaccia di un presunto e ipotetico disastro ambientale che impedisce a chi è affetto da questo disturbo del comportamento di vivere nel presente, immaginando flashforward apocalittici che inducono uno stato di stress cronico in grado di causare burn-out e compromettere il ben-essere di chi è colpito da questa forma morbosa: la presenza di pensieri ossessivi interferisce con le attività quotidiane, comportando una marcata sofferenza che compromette il normale funzionamento sociale e lavorativo del soggetto innescando un circolo vizioso ove lo stress alimenta il disconfort somato-emozionale che rende la percezione del futuro ancora più catastrofica, divenendo un ulteriore stressor.

La tendenza additiva intrinseca nell’ecoansia porta chi ne soffre ad essere soggetto a pensieri intrusivi di notevole intensità che si ripresentano alla mente con frequenza e permangono in modo duraturo e continuo portando a sperimentare un disagio consistente: questo stato morboso di mal-essere innesca, da un lato, il senso di colpa per ipotetiche responsabilità personali, dall’altro il dover agire socialmente per redimersi e “guarire” il mondo malato, in una sorta di crociata salvifica (imposta e compulsiva) che può ricordare, per certi versi la spinta redentrice di certi gruppi eretici che predicavano “penitenziagite!!!” (→ “poenitentiam àgite”, cioè fate penitenza).

David W. Kidner, autore di “Nature and Psyche: Radical Environmentalism and the Politics of Subjectivity” (2000) e “Nature and Experience in the Culture of Delusion” (2012), afferma che la perdita del senso di sicurezza generato dal progressivo degrado ambientale sia stata sottostimata dagli approcci scientifici tradizionali: chi soffre di angoscia climatica ritiene che il mondo sia abitato da “negazionisti” (cioè persone che negano contro ogni evidenza l’accadimento di verità accertate) responsabili di “ecocidio”, ovvero del danneggiamento intenzionale e della distruzione, totale o parziale, dell’ecosistema in cui viviamo; la presenza di reali eventi climatici (aumento o diminuzione delle temperature, periodi di prolungata siccità o alluvioni …) o alterazioni dell’ambiente naturale divengono stressor che da un lato rafforzano l’idea ossessiva che si sia in prossimità di una catastrofe o un disastro naturale causato indirettamente ma ricollegabile alla mano dell’uomo, dall’altro incrementano le ossessioni ed i comportamenti additivi.

I sentimenti di angoscia climatica vengono ulteriormente rafforzati e accompagnati da altri fattori di stress quotidiano che influenzano negativamente la salute mentale complessiva, causando un ulteriore aumento dell’ansia e della depressione: in alcuni casi questo iperstress può arrivare a provocare alterazioni permanenti nella struttura del cervello e favorire l’emergere di psicopatologie nel corso della vita: il fatto che l’ansia climatica colpisca soprattutto giovani (prevalentemente donne) fra i 15 e i 25 anni (la cosiddetta generazione Z, nati tra il 1995 e il 2010), deve far comprendere come la vulnerabilità di una persona in crescita possa renderla manipolabile e, allo stesso tempo, come lo sviluppo di ansia, depressione e tendenze additive possa condizionare la salute futura di questi giovani.

Matteo Innocenti, medico chirurgo e psichiatra, nel suo libro “Ecoansia, i cambiamenti climatici tra attivismo e paura” scrive:

«Avere 20 anni e star male per le sorti del pianeta. La chiamano eco-ansia o depressione climatica e colpisce soprattutto i giovani nati dalla fine degli anni ’90. Le voci dei ragazzi si snodano come foglie fino alle radici, andando sempre più in profondità, restituendo un albero di pensieri. Ogni foglia o radice riflette una riflessione di senso, ma ascoltate una dopo l’altra restituiscono un quadro complessivo di cosa passa per la mente ai ragazzi che a vent’anni sentono il destino del mondo sulle proprie spalle.»

eco-distress: quali sintomi?

L’eco-ansia non a caso viene spesso definita anche angoscia climatica, essendo l’angoscia una forma di somatizzazione degli aspetti psichici ed emotivi associati a questa ansia anticipatoria: essendo riconducibile ad una struttura di personalità fobica ed ad un comportamento additivo, ne manifesta tutte le caratteristiche tipiche che possono spaziare dai sintomi associati alla sindrome di adattamento generalizzato, per il coinvolgimento dell’asse H.P.A. e del sistema limbico, agli attacchi di panico; non di rado, l’ansia climatica è lo spostamento del disconfort esistenziale da un disagio personale alla focalizzazione sulla necessità di agire per il “bene universale”: in estrema sintesi è la materializzazione di una angoscia esistenziale, uno stato di turbamento derivante da una riflessione sulla propria esistenza nel mondo, con tutto lo smarrimento ed il disorientamento che ne consegue.

La poliedricità sintomatica è una diretta conseguenza delle personali manifestazioni somato-emozionali, potendo esprimersi con segni di varia natura che possono esacerbare condizioni di salute fisica o mentale preesistente: irritabilità, insonnia o parasonnia, incapacità di rilassarsi, perdita dell’appetito o atteggiamenti bulimici, scarsa concentrazione, attacchi di debolezza, attacchi di panico, tensione muscolare e spasmi sono solo alcuni dei sintomi che rientrano nel tipico disturbo d’ansia generalizzato; la presenza di sentimenti di disperazione e impotenza, il tentativo di allontanarsi o evitare il problema e sentirsi sopraffatti o soffocati sono elementi costanti nello stato mentale delle persone affette da ecoansia.

Il nervosismo e la preoccupazione dipendenti dall’impatto dei propri comportamenti sull’ambiente (la cosiddetta “carbon footprint”), i sensi di colpa connessi alla propria responsabilità nell’aiutare ad affrontare i problemi ambientali, la costante preoccupazione per le notizie che riguardano il clima e i cambiamenti climatici, che possono portare a crisi di ansia, soprattutto quando si affrontano tematiche sull’ambiente, sono una costante; la difficoltà a non pensare ai problemi associati al cambiamento climatico, creando pensieri intrusivi e ricorrenti, nonché il non riuscire a fermare o controllare le preoccupazioni per l’ambiente porta a prendere decisioni radicali sulla propria vita, come ad esempio il non avere figli perché potrebbe non essere etico o sostenibile per le risorse disponibili del pianeta.

La difficoltà a vivere serenamente le situazioni sociali con la famiglia e gli amici, difficoltà a concentrarsi nel lavoro e/o nello studio, difficoltà a dormire, un disagio caratterizzato da emozioni di nostalgia, senso di perdita, ansia, disturbi del sonno, stress, dolore, depressione, pensieri suicidi e aggressività; si rileva frequentemente l’insorgenza di forme di solastalgia per simpatia, anche se non si è stati vittime realmente di disastri ambientali, perchè ci si immedesima nelle popolazioni indigene o nelle vittime di qualche disastro ambientale o quando la propria casa o l’ambiente vicino vengono toccati (magari anche per una semplice grandinata) da fenomeni naturali improvvisi. Nel caso in cui effettivamente si sia soggetti a sciagure o cataclismi, che possono essere dovuti o meno a eventi climatici estremi causati dal riscaldamento globale, chi soffre di ecoansia può manifestare evidenti attacchi di panico, burn-out, crisi di ansia ma anche quadri di disturbo da stress post-traumatico.

L’estremizzazione di questi quadri distopici portano all’incapacità a gestire la rabbia con aumento dell’aggressività, senso di perdita e senso di impotenza, nostalgia patologica, depressione, alienazione, che inducono l’insorgenza di comportamenti autodistruttivi come la paura di morire o l’ideazione suicidaria, l’abuso o la dipendenza da sostanze e depressione reattiva.

gestione dell’eco-ansia:
problema personale o problema sociale?

Innanzitutto occorre distinguere fra un sano timore per il futuro, per i problemi dell’inquinamento oppure per la necessità di creare un mondo migliore e le manifestazioni associate ad una forma patologica di eco-anxiety: premesso che esistono un numero indefinito di sfumature di grigio fra le due posizioni, la climate anxiety deve essere considerata un disturbo ossessivo compulsivo associato a quadri fobici e addizioni: purtroppo l’inquadramento nosologico di questa psicopatologia non ne rende più facile la gestione in quanto si osserva il denial piuttosto diffuso fra chi soffre di questa forma morbosa, associato ad una sorta di giustificazionismo sociale e un atteggiamento di tolleranza, se non di incoraggiamento, in ampi settori della popolazione e dell’establishment socio-politico.

La legittimazione sociale deriva dalla necessità tribale di ridurre il senso di colpa che molte persone provano di fronte al bombardamento che parte dell’establishment veicola attraverso i social media ed i mass media: tale condotta è così radicata che le stesse aziende inquinanti sostengono, nell’ambito di politiche di “greenwashing” e di ambientalismo di facciata, la necessità di prendersi cura del pianeta e adottare comportamenti responsabili, promuovendo e sostenendo gruppi di protesta ecologista; le stesse autorità e gli enti governativi sono i primi promotori di “sentiment” che incrementano l’ansia per il “climate change”, offrendo il palcoscenico a soggetti che promuovono uno stato di ansia ecologista a livello sociale.

Spesso i suggerimenti che vengono rivolti, in questi contesti, è che chi si sente attanagliato dall’ansia anticipatoria per un futuro distopico deve sostanzialmente “fare la propria parte nella cura del pianeta, promuovendo uno stile di vita sostenibile sia in se stesso sia negli altri”, “impegnarsi in un consumo responsabile e nel riciclo per proteggere il più possibile l’ambiente”, concetti sicuramente validi ma che, a livello subliminale, accentuano la percezione, nei soggetti affetti da ecoansia, che i problemi climatici stiano provocando un cambiamento della qualità di vita futura e che sia necessario incrementare la consapevolezza della necessità di prendersi cura del pianeta in gran parte della popolazione, alimentando lo stress e innescando la percezione che la distruzione del mondo sia una profezia autoavverantesi.

In questa ottica di manipolazione sociale, l’eco-ansia diviene una risposta del tutto normale, che è solo una reazione di paura a una condizione reale e, in fondo, non è patologica anche se la si trova profondamente inquietante: la negazione sociale dell’esistenza di uno stato di distress legato alla visione catastrofista dell’ecologia rafforza l’ansia di chi soffre di eco-distress; l’affermazione che non è possibile inquadrare il disconfort personale all’interno di modelli individualistici di salute mentale perchè “non sono progettati per affrontare traumi collettivi su scala planetaria”, non fanno che rafforzare la convinzione che l’ecoansia non sia un problema.

Risulta evidente che il primo passo verso l’egosintonia ed il ben-essere, consiste nel verificare che esista una volontà di riconoscere il problema e la presenza della necessaria determinazione al cambiamento: il giustificazionismo sociale e la convinzione di “essere dalla parte giusta” rafforzano il denial alla base della convinzione di non avere un problema e che i sintomi sono direttamente espressione di paure oggettive e stress causato dai comportamenti irresponsabili dei “negazionisti” perchè «non c’è più tempo» ed occorre un drastico “cambio di rotta“; viceversa l’accettazione che l’ecoansia è un atteggiamento morboso che spesso copre un disagio esistenziale latente o pregresso, è il primo passo necessario per intraprendere un cammino verso il ben-essere, mentre il disconoscimento del problema è l’essenza del problema stesso.

L’intervento di un professionista del ben-essere, può rivelarsi di grande aiuto in quanto, grazie alla valutazione multidimensionale basata sul triangolo della salute, è possibile identificare quali complementi terapeutici (somato-emozionali, biochimici, spirituali …) siano in grado di sostenere il processo di reset, cui necessariamente deve sottoporsi chi è affetto da questo quadro morboso: risulta evidente che l’obiettivo primario sia quello di ridurre lo stress di fondo alla base del mal-essere di chi vive attanagliato dall’angoscia climatica mettendo in campo tutte le competenze necessarie per gestire il disturbo d’ansia generalizzato, l’ansia anticipatoria, la disforia e i comportamenti additivi e la poliedricità sintomatologica che accompagna il “male di vivere ogni giorno” che imprigiona chi prospetta, pessimisticamente, futuri distopici e scenari post-apocalittici.

psiche e soma: psicosomatica o mentecorpo?

«Le malattie che sfuggono al cuore divorano il corpo»
(Ippocrate)

il corpo
(e ciò che lo costituisce)

Con la parola soma, spesso ci ritroviamo ad indicare non solo il corpo fisico, ma anche i fenomeni organici che lo caratterizzano o l’insieme delle caratteristiche anatomiche e fisiche di un individuo

Spesso il termine soma viene usato come antitesi alla psiche, come se fossero due aspetti opposti incarnati nella materia, da un lato, e nello spirito, dall’altro: ma soma e psiche, corpo e mente sono universi paralleli o entità che si compenetrano e interlacciano, in un gioco di specchi, compenetrandosi vicendevolmente? Continua la lettura di psiche e soma: psicosomatica o mentecorpo?

“addizioni:
costruendo
la propria gabbia
ognuno impara ad amarla.”

ultimo aggiornamento: 13 Agosto 2023 alle 23:34

«L’anima umana desidera sempre, essenzialmente,
e mira unicamente al piacere,

ossia alla felicità, che considerandola bene,
è tutt’uno col piacere
»
(Giacomo Leopardi – “Zibaldone” – 1820)
→introduzione
→definizione
→considerazioni
→ addizione: che fare?

Cosa succede quando, nella ricerca del piacere e di una irraggiungibile felicità, perdiamo la consapevolezza di noi stessi e dei nostri reali bisogni?

Quando il nostro bisogno di essere felici diviene una ossessione volta a soffocare le ansie che fingiamo di non avere, le paure che ci condizionano nel quotidiano portandoci a mettere in atto atteggiamenti fobici, volti ad evitare di entrare in contatto con la nostra più profonda sofferenza, allora, la dipendenza da ciò che, apparentemente, ci rende felice diviene una addizione, cioè una ricerca spasmodica, compulsiva.

Continua la lettura di “addizioni:
costruendo
la propria gabbia
ognuno impara ad amarla.”

il controllo
del sistema vascolare
nelle situazioni di stress

ultimo aggiornamento: 10 Maggio 2021 alle 0:23

Le funzionalità del cervello dipendono dalla quantità di sangue disponibile o, piuttosto, sono le aumentate esigenze metaboliche dell’encefalo a condizionare l’entità dell’afflusso sanguigno?

I meccanismi di risposta alle alterazioni dei nostri equilibri, della nostra omeostasi, e lo stress che ne consegue, possono rivelarsi, in modo ambivalente, sia una soluzione e sia un potenziale problema?

In quest’articolo cercheremo di rispondere a queste domande, approfondendo la relazione esistente fra le risposte difensive che l’organismo mette in atto di fronte agli incrementi prestazionali o alle situazioni percepite come potenzialmente pericolose, istintualmente; parleremo di come i nostri riflessi condizionati, finalizzati alla sopravvivenza agiscono su di noi e di come sia possibile intervenire sugli gli effetti a medio/lungo termine che tali compensazioni generano.

«Lo stress viene da dentro;
è la tua reazione alle circostanze,
non le circostanze stesse.» (Brian Tracy)

sommario:
stress e ridistribuzione dell’energia: effetti sulla circolazione sanguigna
stress e accoppiamento neuro-vascolare
la risposta ipotalamica
la dominanza rettiliana
riattivazione neuro-vascolare transcutanea
reset: ripristinare la circolazione cerebrale

«Con gli anni i nostri corpi diventano delle autobiografie ambulanti,
esprimendo ad amici e sconosciuti allo stesso modo
gli stress piccoli o grandi della nostra vita.» (Marylin Ferguson)

→ continua …

… il mio neonato
ha la testa
che sembra ammaccata!

ultimo aggiornamento: 12 Dicembre 2019 alle 11:22

“mi sembra che mio figlio abbia la testa strana, un po’ deformata … in pratica ha la testa appiattita … romboidale … secondo lei, mi devo preoccupare?„

No, non particolarmente …

… anche se parliamo di plagiocefalia, di scafocefalia, di oxicefalia o acrocefalia … parole che suonano strane ed un po’ spaventanti, ma che in fondo significano, semplicemente, che la testa del nostro neonato è un po’ stretta ed allungata verso l’alto oppure un po’ a cuneo o romboidale  … insomma che non è quella bella testina più o meno tonda che ci saremmo aspettati!

… “ma siamo sicuri che non mi devo preoccupare?„ … “è possibile fare qualcosa?„

Iniziamo col dire, prima di tutto, che questa deformazione del cranio neonatale, spesso, non deve farci preoccupare più di tanto! … e che, volendo, è possibile intervenire senza rischi per il neonato o per il bambino, attraverso una tecnica delicata e non invasiva, che può rivelarsi risolutiva.

→ continua …