craving

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definizione

Letteralmente, dall’inglese, “brama”, “smania”, “voglia incontenibile”, “desiderio ardente” o “desiderio insaziabile”: indica la bramosia incontrollabile di assumere una sostanza stupefacente, ma anche l’esigenza di soddisfare una tendenza additiva, spesso  contraddistinta dalla caratteristica dell’urgenza e indifferibilità; il desiderio irrefrenabile è accompagnato da una ricerca compulsiva dall’attuazione di determinati comportamenti al fine di ottenere l’oggetto di cui si sente il forte bisogno, per evitare di giungere all’insorgere di una crisi d’astinenza.

Il termine craving viene anche utilizzato per descriver il desiderio impulsivo di particolari alimenti, quali i cibi che contengono un alto contenuto di grassi o di dolci, come nel caso del “sugar craving” o del “choco craving”; si può parlare anche di “alcohol craving”, per descrivere il desiderio compulsivo di assumere alcolici, anche se il temrine più corretto sarebbe dipsomania.

Solitamente i desideri che ognuno manifesta vengono chiamati “voglie”: quando si parla di craving, non ci limita al normale desiderio, ma si vuole sottolineare l’impulso irrefrenabile a soddisfare il bisogno, con cupidigia e frenesia, quasi con concupiscenza; le voglie incontenibili sono modelli di risposta ad una forma di stress, metaprogrammi che compaiono come risultato di condizioni ambientali, cambiamenti di umore, disconfort o altri tipi di fattori scatenanti che innescano queste reazioni stereotipate.

Sebbene a volte le voglie possano sembrare semplicemente uscite dal nulla, spesso sono innescate da stressor provenienti dall’ecosistema in cui viviamo oppure dall’emergere di sentimenti, emozioni o ricordi: numerose condizioni ambientali possono agire come fattori scatenanti in grado di attivare la sensazione di craving, così come gli stressor possono essere l’elemento in grado da fungere da innesco; il craving è un “ricordo sensoriale” (la percezione di un sapore o di un odore, oppure una sensazione che deriva da un comportamento) guidato emotivamente dai piacevoli effetti di rinforzo che si generano nella reiterazione.

Caratteristica fondamentale del craving è la natura viscerale delle sensazioni di apparente benessere, in grado, perciò, di rafforzare la dipendenza e l’addizione e, contemporaneamente, capace di far dimenticare gli effetti negativi che derivano dall’uso di una sostanza o dal comportamento additivo: in alcuni casi, le voglie incontenibili possono diventare così potenti, che le persone si sentono come se non fossero in grado di resistervi, anche se non è certamente così, perchè, in realtà, sarebbe possibile per mezzo di un dibattito interno con se stessi, decidere se aderire all’opportunità di continuare a rimanere astinenti oppure cedere, dicendo a se stessi che è “l’ultima volta”.

Il craving è sempre una manifestazione di stress, accompagnato da una risposta generalizzata di adattamento che coinvolge l’asse H.P.A., avendo ripercussioni sia fisiche, sia emotive, sia comportamentali; quando desideriamo ardentemente, gli effetti possono essere variabili o addirittura contraddittori, mostrando segni quali uno stato di arousal ed eccitazione, quasi di frenesia, o, all’opposto, sintomi paragonabili a forme di esaurimento e depressione: il craving è un desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro oggetto o modo di fare gratificante che sostiene il comportamento additivo e la compulsione.

L’“urgenza di bere” (craving per l’alcool), l’“urgenza di mangiare qualcosa di dolce” (sugar craving) o il “non poter fare a meno di spiluccare porcherie” (bramosia per i junk foodconfort food) sono l’espressione diretta della tensione a consumare la sostanza, causata da una alterazione biochimica, oppure l’esigenza di una soddisfazione somato-emotiva, legata ad un pensiero ossessivo ricorrente che porta alla perdita del controllo dei propri impulsi e, di conseguenza, al comportamento ossessivo e all’addizione: l’“urge to …” (→ impulso, urgenza, necessità), innescato da stimoli sensoriali, flashback, reminiscenze, emozioni o sensazioni è in grado di promuovere un desiderio incontrollabile nei soggetti vulnerabili.

La relazione tra craving e impiego additivo della sostanza o comportamento additivo non sono sempre paragonabili: il craving, con la sua dinamica basata sull’urgenza, comporta l’attivazione di un meccanismo cognitivo che non corrisponde ad un processo automatico (come nelle addizioni), ma piuttosto è connesso ad un conflitto tra la motivazione che spinge ad assumere la sostanza o attuare il comportamento egodistonico e la consapevolezza del rischio che ne deriva; il craving è l’espressione di diversi fattori che interagiscono in un mutevole equilibrio fra il mondo emozionale e le interferenze ambientali.

Tra questi fattori, primo tra tutti è il desiderio della sostanza a cui si è stati esposti con appagamento: la reiterazione del piacere, derivante da un’esposizione ripetuta, contribuisce a creare quello che viene definito uno stimolo condizionante, in grado di evocare una sorta di riflesso pavloviano; quando ci si espone al “cue”, cioè al trigger capace di rievocare un ricordo gradevole e rassicurante, che fornisce la chiave di accesso alla reminiscenza, scatta il desiderio che, in presenza di stress e di alterati stati d’umore (tristezza, solitudine, disperazione, ansia, paura, solitudine, depressione …) agendo da “trigger mood”, stimola e rafforza i livelli di craving; ovviamente la consapevolezza del rischio connesso, i tratti temperamentali, le caratteristiche psicologiche, la storia individuale, i fattori culturali, ambientali e relazionali possono interferire con questo fattore di base permettendo di soverchiare lo stressor negativo che spinge a evadere dalla realtà rifugiandosi e abbandonandosi al craving.

Brama, smania, voglia incontenibile non sono altro che la descrizione dell’azione scatenata dal desiderio di riprovare gli effetti della sostanza o dei comportamenti di cui si già fatto esperienza e che sono risultati gratificanti e, allo stesso tempo, di evitare o uscire dal mal-essere derivante dall’astinenza: la vulnerabilità dell’individuo, cioè la predisposizione psicobiologica a sviluppare la dipendenza, appare giocare un ruolo chiave nella percezione del craving.

strategie per gestire il craving

Il craving può essere definito un disturbo del comportamento, che nasce dall’urgenza di soddisfare una necessità, seppur caratterizzata da egodistonia, che esprime un profondo e radicato stato di disconfort e distress; può essere considerato come una confusione fra “necessità momentanea” e “vero bisogno”, dove la prima mira a riempire un vuoto per l’incapacità di soddisfare il secondo: l’addizione e la dipendenza sono gli agenti causali che mantengono la persona nella dinamica del desiderio impellente, urgente e non differibile, che impedisce un percorso verso il vero ben-essere.

Il craving è caratterizzato da componenti fisiche associate all’astinenza che nelle forme più gravi possono manifestarsi con sudorazione, tremori, tachicardia, irrequietezza, mentre le energie mentali sono concentrate sui modi e i tempi per soddisfare la brama  e tutto il resto perde di importanza cioè, semplicemente, scompare dal panorama mentale della persona: le fragilità, le insicurezze, le paure e le altre dinamiche somato-emozionali che si cerca di coprire e allontanare con i comportamenti additivi, solitamente, si ripresentano fungendo da potente stimolo che rafforza il craving; più è significativa l’urgenza ed il desiderio irrefrenabile, più ci si sente deboli e si vive la necessità di soddisfarlo ma, nel momento in cui ci si arrende alla voglia incontenibile, le persone possono sperimentare un senso di fallimento per l’incapacità di contenimento.

Risulta evidente che il primo passo verso l’egosintonia, consiste non solo nel verificare che esista una volontà di riconoscere il problema e di cambiamento, da parte di chi vive il craving, ma anche l’accertamento di una determinazione a mettere in atto i passi necessari a percorrere un cammino verso il ben-essere, irto di difficoltà e possibili ricadute: infatti, nonostante a parole ci sia il desiderio di cambiamento, spesso, nei fatti, non sempre ci si può aspettare una reale collaborazione da chi è affetto da questo morbo, anzi si osservano comportamenti di negazione del problema, associati a mancanza di cooperazione ed al ricorso a bugie patologiche per minimizzare o nascondere la propria debolezza.

Ovviamente il denial e l’evitamento sono atteggiamenti che compromettono le possibilità di un effettivo cambiamento, mentre l’accettazione dell’esistenza del problema è il primo passo necessario per intraprendere un cammino verso il ben-essere; il disconoscimento del problema è l’essenza del problema stesso, cui si aggiunge il fatto che si possono osservare, nelle persone vicine a chi è affetto da questo quadro morboso, forme di codipendenza.

Il professionista del ben-essere, nel momento in cui offre i suoi servigi a chi soffre di quadri compulsivi caratterizzati dal craving, deve comprendere che il percorso lungo cui si predispone ad accompagnare chi soffre di questi disturbi comportamentali è irto di difficoltà ed è piuttosto oneroso energeticamente per entrambi: deve essere consapevole che queste persone possono essere decisamente “demanding”, richiedendo tempo, attenzioni, energia e, soprattutto si possono innescare situazioni dove “terapia” e “amore” vengono confuse, creando dinamiche di dipendenza; occorre essere ben coscienti della frequenza delle possibili ricadute o delle crisi, evitando di vivere gli step intermedi del percorso di crescita, con i suoi alti e bassi, come fallimenti o “tradimenti”. L’operatore professionale deve riconoscere i propri limiti e necessità, soprattutto quando si tratta di gestire le forme più gravi di addizione e dipendenza; deve accettare l’esigenza di avvalersi di figure professionali specializzate e competenti che possano coadiuvare la sua azione ed, allo stesso tempo, assicurarsi che chi soffre di craving sia informato ed edotto su ciò che ci si predispone a mettere in atto, sui possibili strumenti operativi che si intende utilizzare, sui necessari passaggi intermedi e sulle possibili difficoltà che si possono incontrare lungo questo percorso terapeutico.

La valutazione multidimensionale, basata sul triangolo della salute, è sicuramente uno strumento che permette al professionista del ben-essere specializzato in Kinesiologia Transazionale® di identificare possibili complementi terapeutici (somato-emozionali, biochimici, spirituali …) in grado di sostenere il processo di reset a cui necessariamente deve sottoporsi che è affetto da questo quadro morboso, sia sul piano biochimico, sia su quello somato-emotivo: le tecniche di allentamento dello stress emotivo, l’integrazione nutrizionale per ridurre gli effetti neurologici dello stress causati dalla risposta generalizzata di adattamento e dal burn-out, le procedure di riequilibrazione del sistema cranio-sacrale (come il reset temporo-vascolare), sono solo alcune delle tecniche che possono rivelarsi utili nell’ambito del trattamento del craving.

Non solo è necessario per l’artigiano della salute, riattivare la vis medicatrix naturæ presente in ognuno, ma diviene imperativo lavorare per rafforzare la stamina individuale e incrementare la capienza per gestire le tentazioni che derivano dai cue e dagli stressor che, quotidianamente, chi soffre di tendenze additive deve fronteggiare, per sostenere la capacità di cambiamento di chi decide di intraprendere un percorso di “guarigione”.

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