vulvodinia

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definizione – etimologia

Condizione patologica che può interessare la vulva, caratterizzata da dolore, bruciore e fastidio, anche se non sono evidenziabili lesioni fisiche riconoscibili, salvo il possibile arrossamento del vestibolo o micro-abrasioni. Chiamata anche Sindrome Vulvo-Vestibolare, è caratterizzata dalla percezione dolorosa cronica a livello dei genitali esterni, caratterizzata da bruciore, irritazione, gonfiore ed arrossamento, differenziandosi dal prurito: solo in una piccola percentuale di casi sono presenti concomitanti traumi fisici osservabili venendo per questo, spesso, inserita fra i disturbi psicosomatici o, addirittura, “psicogeno”.

Il termine deriva dall’unione di vulva, dal lemma latino vŭlva, e dal greco οδύνη (odiniaangoscia, dolore), sottolineando la componente algica della manifestazione; occorre considerare che l’assenza evidente di lesioni fisiche, infettive od infiammatorie, anche se possono essere presenti, complicando il quadro sintomatologico, sono un elemento che depone a favore di un quadro disfunzionale associato a disestesia e iperalgesia o, addirittura, ad allodinia.

vulvodinia: una sindrome algica?

Esistono manifestazioni contraddistinte dallo sviluppo di fenomeni di sensibilizzazione “centrale”, cioè encefalo-spinale: quando il sistema nervoso centrale riceve da differenti aree corporee stimoli sopraliminali, che superano un valore soglia, o vanno a sovrapporsi, a livello centrale, con altre afferenze sensitive, possono crearsi fenomeni di facilitazione segmentale o iperestesia.

Che si parli di emicrania o di fibromialgia, di sindrome del colon irritabile o di dolore pelvico cronico, in tutti questi casi un elemento comune è la presenza di fenomeni disestesici ed iperriflessia: la sindrome vulvodinica può essere inserita fra quelle patologie disfunzionali il cui denominatore comune è rappresentato dal dolore, espresso e descritto in varie forme, a cui, apparentemente, non si associano patologie ben definibili da un punto di vista morfologico od organico.

Il sintomo “dolore”, una volta innescato, tende ad autoreplicarsi ed  ad automantenersi, come conseguenza di un circolo vizioso contraddistinto dalla neuropatia delle fibre sensitive, frequentemente accompagnate da spasmi o contratture muscolari, dipendenti dalla facilitazione segmentale; non di rado sono rilevabili fenomeni di infiammazione sostenuti dalla presenza di citochine.

Nella vulvodinia, come in tutti i quadri disfunzionali discrasici, la dicotomia tra disturbo neuro-chimico e danno organico-strutturale dovrebbe essere superata, in quanto i due aspetti si confondono e sovrappongono, senza soluzione di continuità: la localizzazione nell’area pelvica-perineale, la sovrapposizione con i disagi che accompagnano talvolta l’insorgenza delle mestruazioni (anche in assenza di dismenorrea), eventuali dispareunie, la possibile concomitanza di vaginiti o moniliasi, la tendenza a recidivare o a cronicizzare sono spine irritative o cofattori eziologici che complicano la comprensione della sindrome.

analisi del termine

Frequentemente si utilizzano i termini vulvodinia, vestibolite vulvare e vestibulodinia come sinonimi, che riconducono ad un’infiammazione cronica della zona vulvare, ma, in realtà sono solo apparentemente intercambiabili, poiché si riferiscono a disturbi che differiscono per sottili sfaccettature, anche se rilevanti.

Con la diagnosi di vestibolite vulvare si indica una condizione infiammatoria localizzata a livello del vestibolo vaginale: la flogosi non è associata ad un elemento causale specifico o ad un fattore predisponente; molto spesso il quadro non è associato a rossore a livello della mucosa o dolore. Viceversa sia la vulvodinia, sia la vestibulodinia, sono caratterizzate dalla contemporanea presenza di infiammazione e dolore: se si esclude questa somiglianza, mentre la vestibulodinia si riferisce ad un disturbo circoscritto in una data area (vestibolo vaginale), la vulvodinia è generalizzata, coinvolgendo l’intera area dei genitali esterni femminili.

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