definizione
Enzima deputato alla digestione del lattosio, lo zucchero caratteristico del latte; è una idrolasi responsabile dell’idrolisi enzimatica del lattosio in glucosio e galattosio attraverso la reazione:
lattosio + lattasi + H2O = galattosio + glucosio
Col nome di lattasi, in realtà, si identificano una serie di enzimi capaci di promuovere l’idrolisi: questi enzimi appartengono al gruppo delle β-galattosidasi, una famiglia di enzimi idrolitici che in presenza di acqua catalizzano la scissione dei β-galattosidi nei monomeri che li costituiscono (si definisce β-galattoside un composto costituito da zuccherina costituita dal galattosio, legata ad un’altra molecola attraverso un legame glicosidico): il più noto fra questi enzimi umani è la lattosio-galatto-idrolasi o lattosio-galattoidrolasi.
L’enzima è naturalmente prodotto, almeno nelle fasi iniziali della vita extrauterina, dai mammiferi, anche se è secreto anche da Lactobacillus, Escherichia, Bacillus, Saccharomyces, Candida, Aspergillus, Penicillium, Mucor, cioè da differenti componenti del microbiota, che lo rilasciano sotto forma di enzima esocellulare.
Nei mammiferi l’enzima è localizzato, principalmente, nelle pareti intestinali a livello dei villi intestinali (orletto a spazzola); la diminuzione della produzione di questo enzima è associata all’intolleranza al lattosio, cioè ad una ridotta capacità di assorbimento e digestione del lattosio da parte dell’intestino tenue: l’enzima lattasi costituisce infatti un fattore limitante per la scissione del disaccaride lattosio e la sua produzione presenta una caratteristica evoluzione nei vari periodi della vita di mammiferi.
lattasi & intolleranza al lattosio
L’intolleranza al lattosio è la mancanza o l’insufficienza dell’enzima lattasi che genera, come conseguenza, reazioni avverse di natura tipicamente gastrointestinale, anche se non mancano sintomi atipici correlati: si tratta di una condizione patologica se presente nel lattante, visto il ruolo essenziale di questo zucchero per la sopravvivenza del bambino fino allo svezzamento, e para-fisiologica o addirittura fisiologica nel post-divezzamento e oltre.
Si parla di deficit genetico (detto anche primario o permanente) qualora la lattasi sia assente, così come possono esserci soggetti carenti, fin dalla nascita, mentre alcune persone perdono questo enzima nel corso della vita, ed in tal caso si parla di deficit acquisito (secondario): tale mancanza può essere transitoria o definitiva; la forma deficitaria spesso è il risultato di uno o più fattori predisponenti come la mancata assunzione di lattosio (latte) a lungo termine, resezione di ampi segmenti di intestino tenue, morbo celiaco, M.I.C.I. o infiammazioni intestinali su base autoimmune, S.I.B.O. oppure malattie infettive dell’intestino su base batterica, micetale (moniliasi) o virale.
In realtà, nell’adulto, la mancanza di lattasi potrebbe essere un problema irrilevante e del tutto ininfluente, in quanto l’eventuale sintomatologia gastro-intestinale verrebbe del tutto minimizzata dalla esclusione alimentare dei latticini non fermentati o stagionati: il latte ed i latticini, infatti, non dovrebbero essere considerati una pertinenza dietetica necessaria nell’adulto; in natura, il lattosio si trova solo nel latte, secrezione post-partum della ghiandola mammaria femminile esclusiva della classe biologica Mammiferi, la cui funzione sarebbe di nutrire la prole fino al divezzamento. Peraltro, ogni specie animale produce un latte specifico, chimicamente diverso da quello degli altri animali motivo per cui, anche non considerando il lattosio, ogni latte di origine animale può indurre reazioni o sensibilizzazioni e talvolta può rivelarsi molto rischioso nutrire un bambino nei primi 6 mesi di vita con latti di diversa provenienza (nessuno escluso).
Non ci sono, in questo alimento, principi nutritivi o elementi essenziali esclusivi che non possano essere acquisiti diversamente, pertanto latte e lattosio sono necessari solo al lattante.
Proprio per questo motivo, la “difficoltà” è riconducibile esclusivamente alle abitudini alimentari o alla valenza emotiva oppure al fatto che il latte (lattosio), frequentemente, è considerato una sorta di “confort food” in quanto nell’adulto non ha alcuna peculiarità esclusiva che lo renda insostituibile da un punto di vista alimentare: anche il ricorso a succedanei, quali i “latti vegetali”, dipende unicamente da una sorta di “sindrome della Madeleine” o da forme di “sugar craving” su base emotiva, anche se questo ultimo aspetto coinvolge l’azione ergogenica in quanto ricco di glucosio e galattosio.
La questione potrebbe essere posta in questi termini: anche se una parte rilevante della popolazione non è oggettivamente capace di digerire adeguatamente il lattosio, mostrando una condizione (assolutamente fisiologica) nota come intolleranza al lattosio (che non deve essere assolutamente confusa con l’allergia alle proteine del latte), non ha assolutamente necessità di bere latte o assumere latticini, in quanto la carenza di questi alimenti non provoca alcuna sindrome carenziale; chi, invece, tollera questo zucchero, che svolge sostanzialmente lo stesso ruolo degli altri idrati di carbonio, può utilizzare liberamente latte, yogurt e simili, ricotte, formaggi in quanto non solo possono appagare il palato o soddisfare i desiderata individuali ma, soprattutto, perchè sono ottime fonti nutrizionali di proteine ad alto valore biologico (amminoacidi essenziali), vitamina B2 (riboflavina), fosforo, calcio, magnesio ed altri nutrienti; il calcio merita un discorso a parte, in quanto nel latte riscaldato ed in certi latticini, la sua precipitazione come caseinato di calcio, lo rende indigeribile e non assorbibile.
Viceversa, per gli intolleranti, essendo causa di sintomi e segni clinici sgradevoli e piuttosto limitanti, l’astinenza dai cibi contenenti lattosio non causerà quadri carenziali, da un punto di vista nutrizionale; peraltro, in condizioni di deficit di lattasi, l’assunzione di questi alimenti è in grado di scatenare la comparsa di reazioni gastrointestinali indesiderate dipendenti dall’azione localmente tossico-osmotica del lattosio e/o gli effetti del metabolismo di questa sostanza da parte del microbiota intestinale (anche se simbionte): il risultato della combinazione di questi due elementi causali provoca la liquefazione del contenuto intraluminale, dovuto al richiamo di acqua nel tenue, e un cospicuo metabolismo batterico nel crasso con alta produzione di gas. Da questo derivano sensazione di cattiva digestione, diarrea, crampi addominali, gonfiore e meteorismo, flatulenza, distensione addominale o bloating; con una certa frequenza compare il vomito; meno frequentemente possono insorgere mal di testa, manifestazioni cutanee e fastidi all’apparato urinario.
gestire la carenza di lattasi
Per chi desiderasse (o non potesse esimersi) dall’ingerire cibi contenenti lattosio è possibile assumere per via orale nutraceutici a base di lattasi, quali il Total Enzymes: l’efficacia del trattamento è, ovviamente, dose dipendente, ma si possono ridurre significativamente i sintomi, spesso causati anche dalla contemporanea presenza di altre sostanze che possono favorire la fermentazione intestinale o promuovere l’evacuazione osmotica delle feci, agendo da cofattori eziologici.
Talvolta possono manifestarsi deficit temporanei dell’attività lattasica come conseguenza di malattie o condizioni che danneggiano la mucosa intestinale, come le gastroenteriti virali, le M.I.C.I., la S.I.B.O., la celiachia: in questo caso, ove possibile, occorre agire sulle cause determinanti, anche se l’utilizzo degli enzimi contenuti nel Total Enzymes si rivela utile non solo per la digestione del lattosio, ma soprattutto per ridurre lo stato infiammatorio intestinale.
Anche il fatto di non bere latte per periodi molto lunghi può far “dimenticare” all’organismo come produrre l’enzima, causando la sintomatologia, così come assumere nuovamente questo alimento permette al corpo di sviluppare l’enzima essendo la lattasi è un enzima inducibile: nella transizione può essere utile l’uso degli enzimi assunti per via orale.
Si ritiene che l’ipolattasia dell’adulto sia una condizione primitiva, cioè fisiologica e che la persistenza di lattasi in età adulta debba essere considerata una anomalia dovuta allo sviluppo della pastorizia ed al consumo di latte oltre l’età dello svezzamento; assumendo latte caldo è possibile avere sintomi simili anche possedendo normali concentrazioni di lattasi, come conseguenza della conversione del lattosio in lattulosio, ad opera del calore, che divenendo indigeribile, determina sgradevoli conseguenze decisamente sovrapponibili a quelle dell’intolleranza.