definizione
Può essere definito come un’attitudine comportamentale rivolta al controllo costante dell’ambiente, alla ricerca di segnali di pericolo o potenziali minacce, soprattutto verso cose o situazioni in realtà innocue; essendo una fase dello stress, rientra nel quadro della risposta generalizzata di adattamento allo stress ed è sostenuto dal coinvolgimento del sistema catecolaminergico da parte del sistema nervoso simpatico e dall’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenale.
Lo stato di ipervigilanza potrebbe essere associata alla reazione di resistenza (fase di vigilanza) che l’organismo, visto il perdurare dell’azione degli agenti stressanti, mette in atto come strategia difensiva per contrastare il pericolo: l’arousal favorisce l’iperestesia, che permette di mantenere un’attitudine di controllo e sorveglianza, anche se, frequentemente, la presenza di un bias attentivo falsa la percezione della realtà.
L’eretismo di fondo, presente nelle risposte agli stimoli, anche se subliminali, accentua la propensione a mantenere un atteggiamento di autotutela e protezione, favorito da quello che Walter B. Cannon definì come la «fight and flight response»: si tratta di un fenomeno di per sé fisiologico attraverso il quale mente e corpo si preparano ad affrontare una situazione rischiosa con il combattimento o la fuga.
latenza evolutiva
L’ipervigilanza, come altre funzioni adattative, può essere considerato come un meccanismo “arcaico” messo a punto dall’evoluzione per proteggerci dai pericoli di tipo fisico: l’organismo non solo reagisce agli stressor potenzialmente pericolosi, ma si prepara a fronteggiare, nel lungo periodo, una condizione di “sollecitazione” che può creare dis-confort o dis-stress: nel corso del tempo, i contesti sociali e ambientali in cui è inserito l’essere umano hanno affrontato un’evoluzione molto più rapida rispetto agli adattamenti che ha subito l’organismo; questa latenza ha comportato che quello che era un meccanismo di salvaguardia per l’organismo, oggigiorno, possa rivelarsi controproducente, in quanto gli stimoli ambientali sono del tutto diversi.
Oggi, pur non dovendo più fronteggiare animali feroci pronti a mangiarci o pericoli reali, tangibili e ben identificabili, il nostro organismo utilizza gli stessi schemi cautelativi, come l’attivazione di una reazione di ipervigilanza ed arousal, anche se siamo “semplicemente” sollecitati da innumerevoli minacce subdole e difficili da valutare, come il traffico, la folla, i colleghi al lavoro, le incertezze sul futuro, le notizie tragiche al telegiornale: tutti stimoli che ci mantengono in uno strato di stress cronico, pur non rappresentando delle vere e proprie minacce; quegli stessi meccanismi che sono utili per replicare ai pericoli fisici possono divenire ridondanti e dannosi quando ci troviamo a controbattere gli stress attuali.
stress e disturbi psicosomatici
L’aumento della pressione arteriosa, del battito cardiaco, della produzione di cortisolo e della glicemia sono esempi di risposte metaboliche perfette nel caso in cui sia necessario combattere o scappare ma dannose se invece vengono sollecitate in modo cronico e non utilizzate sul piano comportamentale: lo stato di ipervigilanza cronica, come risposta all’ansia anticipatoria o ai pensieri rimuginanti, si ripercuote sul ben-essere e sulla salute trasformando, ad esempio, l’aumento pressorio necessario a sostenere una performance in ipertensione; l’aumento glicemico necessario a sostenere il fabbisogno dell’organismo in diabete mellito, creando malattie associabili a forme di «burn-out».
Le condizioni di stress cronico finiscono, con il tempo, con il generare sintomi fisici piuttosto evidenti, riconducibili all’usura del corpo ed al depauperamento delle risorse organiche: queste manifestazioni, che spesso possono rientrare fra i disturbi psicosomatici, esprimono il disagio che nasce dalla tensione e dall’ipervigilanza che, essendo divenuti, abituali, non vengono percepiti come “normali”.
Ipertensione, tachicardia e palpitazioni; dolori muscolari, fibromialgia e sindrome della fatica cronica; disturbi gastro-intestinali come dispepsie, aerogastria, gastriti, ulcere, sindrome dell’intestino irritabile, meteorismo e bloating; eczemi e problemi cutanei; manifestazioni di ansia, attacchi di panico, insonnia sono solo alcune fra le manifestazioni che possono derivare dall’ipervigilanza cronica.
L’ipervigilanza può portare a una varietà di modelli di comportamento ossessivo, oltre a produrre difficoltà con l’interazione e le relazioni sociali e si differenzia dall’iperattività disforica (dysphoric hyperarousal), in quanto la persona rimane perspicace e consapevole di ciò che la circonda: infatti in questo stato si può perdere il contatto con la realtà e rivivere l’evento traumatico alla lettera.
Qualora lo stato di ipervigilanza sia il risultato di traumi multipli, non di rado si osservano gravi attacchi di ansia sufficientemente intensi da indurre uno stato delirante che si sovrappone ai sintomi dei traumi stessi; in questo caso è possibile che la persona sviluppo il cosiddetto «thousand-yard stare» (sguardo a mille iarde)”, l’espressione neutra e imbambolata assunta dalle persone dissociate emozionalmente dagli avvenimenti che li circondano. Talvolta l’ipervigilanza può sfociare in forme di paranoia.
ipervigilanza notturna
Il sonno è un stato di riposo, fisico e psichico, durante la quale l’organismo recupera le proprie energie: è caratterizzato dal distaccamento temporaneo della coscienza e della volontà, dal rallentamento delle funzioni neurovegetative e dall’interruzione parziale dei rapporti senso-motori con l’ambiente, indispensabili per il ristoro dell’organismo; può essere definito sostanzialmente come l’antitesi alla vigilanza, che può essere definito come uno stato di coscienza in cui si attua un’allerta comportamentale, in cui aumenta l’efficienza dei sistemi sensoriali e motori, esprimendo uno stato di attivazione generale.
Ii circuiti neuro-fisiologici alla base dello stato di vigilanza sono correlati a quelli che regolano il ritmo sonno/veglia, e comprendono segnali che partono dalla formazione reticolare e proiettano all’ipotalamo, al talamo e al sistema limbico: infatti entrambi sono processi fisiologici attivi che coinvolgono l’interazione di componenti multiple del sistema nervoso centrale e autonomo; nel sonno si crea una barriera percettiva fra mondo cosciente e mondo esterno, per permettere un adeguato riposo, che deve essere considerato un bisogno imperativo per il sostenimento della vita e lo stato di salute psicofisico dell’individuo.
Il sonno rappresenta anche un periodo di “incoscienza” che ci rende potenzialmente vulnerabili: questo spiega il motivo per cui, in natura, l’uomo e gli animali cercano “rifugi” per dormire, sentendosi sicuri; la sensazione di “pericolo”, per quanto immotivata, può essere un elemento in grado di perturbare la predisposizione al riposo, cioè l’ipervigilanza che attiviamo, in un certo senso, è in grado di impedire all’organismo di entrare nella condizione emotiva necessaria per addormentarsi.
L’ansia anticipatoria, i pensieri rimuginanti, l’ansia ed i pensieri negativi diventano forme ossessive che spesso ci mantengono ipervigili, rendono impossibile prendere sonno: tutte le emozioni spaventanti che siamo riusciti, con grande maestria, a sfuggire durante il giorno, grazie all’evitamento, all’elusione ed al diniego, ritornano la sera, quando vorremmo chiudere gli occhi, a ricordarci i nostri “fallimento” e a rinfocolare le nostre sofferenze.
La difficoltà ad addormentarsi, a sua volta favorisce lo sviluppo di forme di insonnia cronica, che accentua l’ansia e l’ipervigilanza, dando vita ad un vero e proprio circolo vizioso da cui è difficile uscire; come conseguenza del distress, si sviluppa stanchezza cronica che porta poi alla necessità di cercare compensi nel cibo, confort-food o a ricorrere a “eccitanti”, a farmaci, ad alcoolici od altre sostanze psicotrope, creando ulteriori danni al corpo e alla mente.
disturbo post traumatico da stress
Può essere considerato un esempio di ipervigilanza: il termine definisce l’insieme di disagi e sofferenze psichiche che derivano dall’esposizione ad un evento traumatico, catastrofico o violento; si tratta di un disturbo studiato inizialmente nei militari, in particolare nei soldati americani rientrati in patria dopo la guerra del Vietnam, ma si può manifestare anche in situazioni meno estremo.
Il disturbo post traumatico da stress non caratterizza, ovviamente. tutte le persone che subiscono un evento traumatico ma quelle predisposte da qualche fragilità emotiva pregressa: oltre a produrre uno stato di ipervigilanza e sofferenza psichica, si associa ad insonnia, ansia, incubi, dipendenza da farmaci, droghe e alcol e una condizione generale di evitamento di tutte le circostanze che ricordano in qualche modo il trauma.