definizione
Sensazione anomala di persistenza di un arto dopo la sua amputazione o dopo che questo sia diventato insensibile: chi è affetto da questa patologia ne avverte la posizione, accusa sensazioni moleste e spesso dolorose, talora addirittura di movimenti come se questo fosse ancora presente; può essere considerata una forma di disestesia, non dipendente da problemi psichici, una alterazione della propriocezione.
Si stima che oltre il 90% delle persone che abbiano subito un’amputazione, sentano la parte del corpo mancante ancora presente e, in molti casi, tale percezione risulta associata a forme di sofferenza fisica e psichica; la sindrome dell’arto fantasma è un fenomeno abbastanza comune e può manifestarsi in svariati modi diversi: talvolta sono presenti sensazioni riferite di natura tattile, dolorifica e motoria, inoltre l’arto può apparire al soggetto mobile o immobilizzato in una posizione fissa, quella precedente all’amputazione oppure essere percepito in forma differente oppure, a volte alcune persone “sentono”, ad esempio, di avere solo la mano direttamente attaccata alla spalla o possono essere percepiti arti sdoppiati o multipli.
In realtà qualsiasi parte del corpo può divenire un «phantom limb» e non soltanto gli arti: non di raro le donne che hanno subito una mastectomia, descrivono la presenza di un seno fantasma, così come alcune donne che avevano subito una isterectomia, oltre ad avere dolori mestruali periodici, hanno avvertito contrazioni all’utero mancante, simili a quelle del travaglio; sono stati descritti di peni fantasma con tanto di erezione, in persone che avevano perso i genitali. Talvolta persone sottoposte all’asportazione di organi interni continuano a percepirne la presenza e, in alcuni casi, anche una semplice avulsione dentaria può causare la sensazione di avere un dente fantasma.
cenni storici
Anche se la prima pubblicazione del 1866 riguardo al «phantom limb» si deve al chirurgo americano Silas Weir Mitchell che alla luce della sua esperienza con i veterani della Guerra Civile americana, ipotizzò che l’arto fantasma presente in tutti gli amputati fosse dovuto a una rappresentazione neurale dell’arto, persistente nel cervello («Il caso di George Dedlow» – Atlantic Montly), già in molte storie di epoca medievale si legge di persone che, prive di un arto o di parti di esso, in circostanze ritenute straordinarie sembrava ne percepissero la presenza. Le prime pubblicazioni “scientifiche” al riguardo, ignorate comunque per più di tre secoli, risalgono al 1500, quando il chirurgo militare francese Ambroise Paré, che aveva migliorato le tecniche di asportazione degli arti prolungando la sopravvivenza dei feriti sottoposti ad amputazione, descrisse molti casi del fenomeno in soldati provenienti dai campi di battaglia europei.
espressione sintomatica del «phantom limb»
La sindrome dell’arto fantasma è caratterizzata da una triade sintomatologica tipica:
⇒ dolore – spesso presente con caratteri di intensità e persistenza che lo rendono intollerabile, diviene talvolta un serio problema terapeutico, vista la scarsa reattività ai trattamenti, soprattutto nel caso in cui l’amputazione sia causata da una sindrome da schiacciamento in un soggetto politraumatizzato, da ustioni gravi, gangrene ed ulcere profonde, caratterizzate da intenso dolore, come se il dolore provato in precedenza si fosse impresso nella memoria acquistando la capacità di persistere anche dopo la scomparsa della fonte; una percentuale significativa (oltre il 50%) dei soggetti amputati avverte sensazioni dolorose riferite a territori di innervazione del segmento corporeo asportato già immediatamente dopo l’intervento e, in molti casi, il dolore permane per anni: la sofferenza può essere debilitante, riducendo la disponibilità alla vita di relazione o la propensione al lavoro, in un quadro assimilabile a forme comportamentali di burn-out o rust-out. La presenza di una componente protopatica nella genesi del dolore dell’arto fantasma chiarisce l’interesse mostrato da due fra i massimi studiosi del dolore del XX secolo, ossia Patrick Wall e Ronald Melzack, noti per aver formulato la teoria della modulazione in ingesso degli stimoli dolorifici da parte dei neuroni delle corna dorsali del midollo spinale («gate control theory»).
⇒ ansia (negli stati protratti di dolore intenso, l’ansia può essere assente o non manifestarsi perché occultata dei fenomeni algici) – la sensazione della permanenza di una parte del corpo mancante, ha un potere di provocare uno stato ansioso direttamente proporzionale alla compromissione dello stato somato-emotivo dipendente della patologia, dell’intervento di amputazione e dell’esperienza della perdita di una parte di sé e della sua funzione: la richiesta di attività muscolare nell’arto porta all’insorgenza di reazioni che vanno dal dis-confort, al dis-stress fino a vere e proprie manifestazioni di paura, che spesso il soggetto cerca di motivare razionalizzandone la causa. Alcuni autori ipotizzano che l’elaborazione del lutto per l’oggetto perduto sarebbe ostacolata dal suo ritorno in forma di “fantasma” e resa conflittuale dal dolore: un rinnovarsi del vissuto di perdita dell’integrità e della facoltà d’azione, conseguente alla rievocazione dello stato di coscienza della fase acuta per effetto delle percezioni abnormi.
⇒ disturbi correlati – la presenza di esperienze insolite e incontrollabili, sviluppano spesso percezioni abnormi, che possono creare inter-relazioni fra sintomi fisiche e manifestazioni psichici , innescando circoli viziosi; la parte del corpo asportata può esistere nella mente dei soggetti con una sua specifica realtà, dalla quale la coscienza può prendere le distanze mediante l’esercizio delle facoltà di critica e di giudizio, ma non può prescindere, perché è da questa invasa come da una percezione attuale e costantemente rinnovata. Di conseguenza, l’arto fantasma può eseguire movimenti percepiti come reali come, ad esempio, avere l’impressione che l’arto amputato sia ancora presente e si muova indipendentemente dal resto del corpo o, all’opposto, rendere una vivida esperienza di un arto paralizzato, immobilizzato o agonizzante, che si rappresenta in una vivida virtualità come se fosse incluso in un blocco di ghiaccio, permanentemente contorto a spirale o addirittura tortuosamente piegato e fissato alla schiena.
neurofisiologia dell’arto fantasma
Lo studioso di psicofisiologia del dolore Ronald Melzack, nel 1989 propose che le sensazioni legate all’illusione che una parte del corpo rimossa sia ancora presente avessero una componente fondamentale nell’attività di una specifica rete neuronica cerebrale: persone nate prive degli arti o private di questi nelle prime fasi della vita, possono sperimentare il fantasma di una parte del corpo che non hanno mai posseduto; nella sua ipotesi, il cervello non si limita alla elaborazione dei segnali provenienti dalla periferia ma, grazie alla presenza una vasta rete di neuroni denominata «neuromatrix», genera un proprio schema («neural signature»), che rappresenta integralmente il corpo e conferisce alla mente il senso della configurazione, dei confini e dell’appartenenza.
La costituzione anatomica della neuromatrix può essere ricondotta alla corteccia somatosensoriale, alle aree del lobo parietale responsabili della struttura mentale dell’immagine del corpo, alle aree del lobo parietale rilevanti per la coscienza del sé corporeo, alla vie che, attraverso il talamo, proiettano alla corteccia somestesica segnali sensitivi e alla via che attraversa le strutture del sistema limbico e conferisce alle sensazioni le componenti emozionali associate al dolore e all’ansia.
Fin da quando Wilder Penfield disegnò i confini delle aree corticali corrispondenti ai territori sensitivi («omuncolo sensitivo») e motori («omuncolo motorio») di tutto il corpo, ci si è posti la domanda se il sistema nervoso fosse in grado di adattare tale topografia a variazioni normali e patologiche intercorse nella vita di un individuo: studi recenti hanno dimostrato che l’amputazione causava una ristrutturazione della mappa corticale del corpo, così che i neuroni corrispondenti alla parte asportata erano reclutati dalle aree corticali confinanti.
Ii neuroscienziato indiano Vilayanur Subramanian Ramachandran ha riprodotto, in corso di verifica sperimentale, le sensazioni dell’arto fantasma stimolando specifici punti della parte inferiore del viso: la stimolazione tattile di ciascuno di essi provocava la sensazione in una circoscritta area della mano fantasma, con una costanza tale da consentire di tracciare sulla parte bassa della faccia una rappresentazione topografica della mano non più posseduta dal paziente: altro aspetto interessante di questo trasferimento delle superfici di evocazione dalla mano al viso, è dato dalla conservazione dei rapporti topografici e del tipo di sensazione con stimoli diversi, quali caldo, freddo, sfregamento e massaggio; provata la conservazione della facoltà di evocare le sensazioni dell’arto amputato, è stato possibile evidenziare una stretta correlazione fra l’entità del rimaneggiamento della corteccia cerebrale e la sofferenza dolorosa riferita dai pazienti all’arto mancante, evidenziando che le modificazioni plastiche intervenute nella corteccia somatosensoriale siano all’origine delle sensazioni dolorose abnormi.
É interessante notare che i movimenti immaginati della mano fantasma attivavano l’area della corteccia somatosensoriale corrispondente alla faccia solo nei pazienti sofferenti di dolore da arto fantasma e non negli amputati non sintomatici il dolore risulterebbe dalla simultanea attivazione dei territori corticali corrispondenti alla bocca e alla mano dell’omuncolo sensitivo.
Il vincolo biologico di stabilità dello schema corporeo, impone limiti invalicabili alla plasticità dei neuroni delle aree corticali corrispondenti ai vari segmenti della periferia somatica, tuttavia l’ordinata ripartizione somatotopica presente alla nascita non sembra essere sufficiente a garantire l’integrazione del controllo cosciente del sé corporeo con le procedure senso-motorie automatiche segmentali: tale sintesi è il prodotto di un equilibrio dinamico costantemente aggiornato e nutrito mediante feedback sensoriali, cioè informazioni visive che, integrando quelle propriocettive, forniscono un aggiornamento istante per istante sullo stato funzionale dei segmenti corporei.
Vilayanur Ramachandran, ha provato a sfruttare questa particolarità fisiologica per ingannare i sistemi di controllo della coscienza del corpo con l’ausilio di uno specchio: il semplice utilizzo di una scatola dotata di uno specchio («mirror box»), in grado di dare al soggetto l’impressione di vedere il proprio arto fantasma nell’immagine riflessa dell’arto sano, induce numerosi benefici ai pazienti afflitti da paralisi e dolori all’arto illusorio; il fatto stesso di fornire un feedback visivo dell’arto in movimento sembra poter agire sui circuiti cerebrali tanto da variare la mappa corporea. Tali risultati suggeriscono che l’attività delle reti neuroniche visive possa agire sulle vie e sulle aree appartenenti alla neuromatrix teorizzata da Melzack.