ultimo aggiornamento: 15 Giugno 2023 alle 17:52
premessa
Dobbiamo ad un’intuizione di Carl Gustav Jung il concetto di sincronicità: infatti, per primo, postulò l’idea che gli eventi e gli accadimenti possono non dipendere dal principio di causa-effetto, ma, piuttosto, essere nessi acausali; questo concetto viene introdotto dallo psicoanalista nel 1950, in una conferenza ad Ascona, dedicata all’argomento.
Carl Gustav Jung riprende ampiamente il concetto, approfondendolo e ampliandone la spiegazione, nel libro pubblicato nel 1952, dal titolo “La sincronicità, principio dei nessi acausali” (distribuito in Italia come Carl Gustav Jung – “La sincronicità” – Editore Bollati Boringhieri, 1980).
Si può affermare che Carl Gustav Jung introdusse il concetto di sincronicità per fissare quello che potremmo definire “l’insieme delle coincidenze”, ove letteralmente, per coincidenza si deve intendere il semplice coincidere di più avvenimenti (cum incīdĕre, cioè avvenire nello stesso momento, capitare assieme), l’accadere simultaneo (o fortuito) di due o più fatti o di circostanze diverse: la coincidenza non chiarisce la dinamica che causa la sommatoria della serie di fenomeni che si verificano e le eventuali conseguenza, ma ne fotografa semplicemente il realizzarsi. Attraverso il concetto di sincronicità Carl Gustav Jung postula l’esistenza di un legame tra due (o più) eventi che avvengono in contemporanea, connessi tra loro, ma non in maniera causale, cioè non in modo tale che l’uno influisca materialmente sull’altro, quanto piuttosto coincidenti poiché appartenenti ad un medesimo contesto (o contenuto significativo), come due orologi che siano stati sincronizzati su una stessa ora.
La radice etimologica del termine è il lemma greco σύνχρονος (sýnkhronos → contemporaneo), composto di σύν (sýn → con, insieme) e χρόνος (khrónos → tempo, ora: Κρόνος è una divinità pre-olimpica della mitologia e della religione greca, figlio di Urano, che rappresenta lo scorrere del tempo) che ci porta a definire sincronicità come effetto della «riunione nello stesso tempo»; questo termine non deve essere confuso con sincronismo, dalla stessa radice etimologica, che definisce semplicemente due azioni avvenute nello stesso tempo ma senza alcuna correlazione o legame. La sincronicità, viceversa, identifica tutti quei fenomeni influenzati da una correlazione che esiste prima della realizzazione dell’evento stesso sul piano materiale.
sincronicità come esistenza di un legame acausale
L’astrazione concettuale alla base della sincronicità descrive l’esistenza di un legame tra due eventi, che avvengono simultaneamente senza causalità, cioè connessi tra loro senza che uno possa essere considerato il fattore eziologico, cioè non in modo tale che l’uno influisca materialmente sull’altro, ma piuttosto come fenomeni appartenenti a un medesimo contesto o contenuto significativo che genera una relazione.
Carl Gustav Jung definisce la sincronicità, riferendosi alla componente psichica ed intellettiva, come eventi sincronicistici che
«… si basano sulla simultaneità di due diversi stati mentali», aggiungendo «per sincronicità, le coincidenze, che non sono infrequenti, di stati soggettivi e fatti oggettivi che non si possono spiegare causalmente, almeno con le nostre risorse attuali.».
«… il concetto generale di sincronicità» deve essere visto ed interpretato «nel senso speciale di coincidenza temporale di due o più eventi senza nesso di causalità tra di loro e con lo stesso o simile significato.».
Non bisogna sottovalutare il fatto che
«il termine si oppone al “sincronismo”, che denota la semplice simultaneità di due eventi. Sincronicità significa quindi prima della simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi collaterali significanti in relazione allo stato personale del momento, ed, eventualmente, viceversa.» (Carl Gustav Jung - Les Racines de la conscience – 1954).
Carl Gustav Jung conferisce al concetto di sincronicità un valore che va oltre all’idea di sincronismo, in quanto i fenomeni sincronicistici sono delle coincidenze significative perchè il termine non vuole descrivere, semplicemente, la nozione “nello stesso tempo” ma “con lo stesso senso”, rivelando che spazio e tempo appaiono come grandezze relative e disgiunte: anche se la nostra percezione, se le sensazioni, ci narrano che ciò che avviene, nella realtà esterna, è un avvenimento concreto (oggettivo, il percepito), in verità, ha una corrispondenza significativa con un’esperienza interiore (soggettiva).
La logica ci racconta, in una consecutio spazio-temporale deterministica, il manifestarsi di un fenomeno causale, fondato sul sillogismo additivo “post hoc propter hoc”, mentre la sincronicità ci offre una matrice, basata sulla razionalità, espressione di un fenomeno casuale, che nasce da una relazione fra eventi, non coattiva e non sincronica, in quanto non necessariamente correlata alla pura contemporaneità temporale.
la sincronicità nella visione olistica
La weltanschauung insita nel “modello terapeutico” della Kinesiopatia® e del Cranio-Sacral Repatterning®, sposa, interpretandolo, il concetto di sincronicità: il processo disfunzionale, l’insorgenza del morbo non sono necessariamente l’espressione dell’evoluzione causale e patogenetica, ma possono essere l’elemento sincronico che manifesta la coazione di cofattori eziologici e fattori scatenanti, che agiscono sul locus minoris resistentiæ.
Indipendentemente dal fatto che l’evoluzione del malessere segua una dinamica diacronica, il “male di vivere”, che si oggettivizza nella malattia e nella disfunzione, deve essere considerato, attraverso la sincronicità, come espressione di un disagio interiore che si proietta verso l’esterno attraverso il sintomo, manifestandosi nel sistema somato-emozionale.
L’intervento dell’artigiano della salute consiste nel prendersi cura del turbamento e facilitare i processi di rigenerazione e guarigione, attraverso l’attivazione della vis medicatrix naturæ; il professionista del ben-essere possiede gli strumenti per innescare e facilitare il processo maieutico che aiuti chi soffre a identificare e comprendere pienamente la propria “verità autentica”, ovvero le motivazioni recondite che sono alla base della genesi del morbo che sottostà alla manifestazione dei sintomi e del processo disfunzionale che porta alla malattia.
Il “terapeuta” (nel senso originario ed etiologico della parola greca ϑεραπευτής, therapeutḗs, cioè servente che si prende cura), può essere assimilato ad una levatrice che di fatto non crea né impone nulla: così come nel parto l’ostetrica aiuta soltanto aiuta la madre a far nascere il bambino, così nel suo ruolo di professionista del ben-essere, il “terapeuta” non offre soluzioni preconfezionate ma porta il paziente (dal latino patiens, colui che soffre) a riflettere sulla portata delle scelte effettuate (spesso seppur non consapevolmente). Viviamo secondo gli effetti delle contraddizioni che serbiamo o dell’impatto che esercitano le convinzioni infondate o e i condizionamenti che subiamo: il processo di guarigione può scaturire dall’eliminare le sovrastrutture che “nascondono” il dolore e la sofferenza; questo processo permette di cogliere la sincronicità sottostante la genesi del mal-essere ove la sofferenza “causale” (come apparente nesso eziologico, cioè responsabile) e i comportamenti antalgici si fondono in uno schema comportamentale che mantiene e sostiene il distress ed il disconfort che alimentano la genesi della malattia (patogenesi).
La contestuale attivazione delle risorse personali, la focalizzazione delle energie intrinsecamente presenti in ogni individuo, espressione della vis medicatrix naturæ, il processo di riequilibrazione della componente somatica sono alcuni degli atout a disposizione del professionista del ben-essere per facilitare il “processo di guarigione”, cioè il progressivo reset degli elementi sincronici che, fondendosi fra loro, hanno generato ed alimentato il morbo e che, spesso, sottostanno al perdurare del mal-essere e dell’egodistonia associata.