ultimo aggiornamento: 25 Gennaio 2024 alle 14:14
definizione
L’incapacità di formulare una risposta adeguata al momento giusto, col rammarico di non aver zittito opinioni od offese altrui: l’espressione francese “esprit de l’escalier” (letteralmente “spirito della scala”), utilizzata anche nella forma “esprit d’escalier” viene usata per descrivere quella spiacevole sensazione di non aver avuto la prontezza di spirito per rispondere (o agire) in modo adeguato in una situazione in cui ci si sente messi in discussione o aggrediti, cioè quando, di fronte ad una provocazione, la risposta o la battuta adeguata non arriva al momento giusto, ma viene in mente troppo tardi per poter essere usata .. ovvero quando, ormai, si è già sul pianerottolo o sulle scale … il primo a usare l’espressione “esprit de l’escalier” è stato Denis Diderot, filosofo, enciclopedista, scrittore e critico d’arte francese, uno dei massimi rappresentanti dell’Illuminismo e uno degli intellettuali più rappresentativi del XVIII° secolo, direttore editoriale ed editore dell’Encyclopédie.
La prima comparsa di questa nota locuzione, infatti, si trova nel “Paradoxe sur le comedien”, scritta tra il 1773 e il 1778, un trattato di arte drammatica scritto da Diderot, redatto in forma di dialogo fra due interlocutori, ove descrive un confronto con l’economista svizzero Jacques Necker: questi, durante una cena, sollevò un’obiezione che, sul momento, riuscì a far tacere il filosofo, lasciandolo privo di argomenti con cui controbattere. L’esprit de l’escalier, il fondo delle scale, è un nitido riferimento all’architettura dell’edificio di cui era ospite, in quanto la casa di Jacques Necker poneva le stanze per i ricevimenti all’étage noble (il piano nobile, , posto nelle abitazioni gentilizie, tipico dei palazzi urbani dal Rinascimento fino al XIX° secolo): trovare la risposta consona quando si è, ormai, in fondo alle scale significa farlo troppo tardi, a ricevimento concluso.
La scala è il simbolo della delusione per non aver sfoderato in tempo una “replica che uccide”, cioè capace di zittire il nostro interlocutore, ovvero una risposta sagace in grado di attirare dalla propria parte i commensali che ridono del perdente, facendoci apparire come brillanti e vincenti agli occhi della società.
“Treppenwitz” può essere considerato un sinonimo, in quanto questa parola tedesca, una composizione di “scala” ed “ironia”, vuole sottolineare come quando si è appena andati via dal posto in cui è avvenuto il mancato scambio di battute, magari salendo o scendendo da una scala per allontanarsi, arriva una brillante idea di replica; ugualmente si può utilizzare il termine anglosassone “afterthought”.
l’esprit de l’escalier e la dicotomia scelta/non scelta
La definizione nasce da un episodio accaduto proprio a Denis Diderot: durante un confronto verbale con il “Contrôleur général des finances” James Necker, il filosofo illuminista si era sentito zittito e soverchiato, come se d’improvviso fosse scomparsa la sua verve anticlericale e la sua familiarità con la cultura e il linguaggio forbito; come conseguenza, questa débâcle provocò nel principale promotore dell’Encyclopédie il continuo almanaccare su quanto accaduto, essendosi sentito incapace di formulare una risposta adeguata al momento giusto, portandolo a provare il rammarico di non aver contrastato adeguatamente il punto di vista del suo antagonista.
Il rimuginare di Diderot è divenuto paradigmatico per definire l’incapacità di “ribattere adeguatamente al momento giusto”; l’origine della locuzione viene descritta dallo stesso filosofo, terza persona: «perso il confronto dialettico con Necker e, trovate le parole (e la testa) solo in fondo alle scale che percorre, comprende, serenamente, come sia ormai tardi per replicare.» Descrive come la sua lentezza, nella circostanza, sia dovuta al fatto di essere contraddistinto da una elevata sensibilità, che lo ha portato a essere toccato in modo più incisivo dalla natura dell’offesa o dal modo in cui è stata inferta e, pertanto, meno pronto a replicare: «L’uomo sensibile, come me, completamente preso da ciò che gli si obietta, perde la testa e non la ritrova se non in fondo alle scale.».
Questa emotività ci sottopone ad una maggiore vulnerabilità alle aggressioni o alle provocazioni verbali (presunte o reali), facendo sì che ci si ritrovi in una situazione di disconfort e distress: siamo portati a giocare su un terreno non confacente al nostro modo di essere: sicuramente gli individui meno emotivi o proni a risentire delle aggressioni verbali, essendo pronti e allenati a replicare senza entrare in merito al contenuto dell’“offesa”, sono raramente predisposti a subire la “sconfitta”.
Diderot non avrebbe immaginato che le sue riflessioni sarebbero divenute la descrizione di un atteggiamento molto comune, fisiologicamente connaturato alla razionalità umana, in cui i tempi e i modi di reazione differiscono da quelli desiderati: spesso non ci si sente sufficientemente reattivi e tempestivi a contrastare le “provocazioni” e ci si ritrova a rimuginare e mugugnare su ciò che non si è detto o su quello che si sarebbe potuto dire per spiegare meglio le proprie esigenze, il proprio punto di vista o per controbattere l’opinione altrui; non di rado, in alcuni, il rammarico sfocia in un recondito desiderio di vendetta, nel ripromettersi una rivincita appena possibile, senza lasciar nulla di impunito, cercando di restituire ex post ciò che si è subito. Per dirla alla latina, “nemo me impune lacessit” (→ nessuno mi avrà sfidato impunemente) oppure “nunc pro tunc” (→ ora per allora: in questo lemma è possibile approfondire l’importanza delle influenze del passato sul presente).
La risposta ideale, la battuta magari ironica o sarcastica, ma non cattiva, in grado di puntualizzante e mettere un punto a nostro vantaggio (cioè uno stop definitivo, una chiusura di parte, che testimonia la volontà di mettere fine alla discussione), a volte arriva “in fondo alla scala”: sta a chi subisce l’onta decidere se scegliere di lasciare andare o rimanere imprigionato nella “non scelta” del perdurare con un atteggiamento revanscista, anche fuori tempo, alla ricerca di una vana vendetta e/o di una tardiva apparente rivincita.
Lo “spirito delle scale” ci pone davanti ad un bivio: il cruccio del non aver risposto a dovere ci costringe a fronteggiare la scelta/non scelta di lasciar perdere l’accaduto (ponendoci in una prospettiva di superamento dell’evento e di accettazione) oppure di rimanere ancorati al disappunto che come un tarlo rode e corrode: nel caso in cui optiamo per questa seconda scelta, anche non consapevolmente, la nostra indole ci porta a premeditare una rivincita, ripromettendoci una riscossa, meglio se con gli interessi, che appaghi il nostro senso di frustrazione. L’egodistonia che ne discende può creare un “irrisolto”, in grado di generare un “legame carmico”, cioè una relazione patologica con il nostro interlocutore; il “vincolo legante” che sia crea, provoca scompensi d’umore, ansia, rabbia, distorsione della realtà, antagonismo e risentimento non solo verso il “colpevole del misfatto”, ma nei confronti di tutte le persone che poniamo (inconsapevolmente e involontariamente) nella posizione di “persecutori”.
L’incapacità di rispondere nei tempi appropriati, la possibile impreparazione a dare risposte adeguate o congrue agisce da stressor: ciò può mettere in crisi la percezione che abbiamo di noi stessi, soprattutto quando l’autostima vacilla; il non aver trovato la risposta al momento giusto può anche significare che non era necessario controbattere e che si poteva lasciar perdere, che ciò che può apparire come una impreparazione fosse, in realtà, il sinonimo di una legittima e ragionevole fine del conflitto.
L’aver posto un freno ad una possibile “legge del taglione” di ordine retorico, seppur inconsapevolmente, attraverso la scelta di rimanere in silenzio ovvero soprassedendo a ciò che non merita risposta o alle potenziali provocazioni, ci porta a vivere con armonia il rapporto dialettico con il nostro interlocutore e con noi stessi: grazie al nostro buon senso ed alla razionalità innata è possibile lasciare andare odio e rancore. All’opposto, l’“esprit de l’escalier” moderno scade, in genere, in un atteggiamento contraddistinto da astio, livore, acredine e acrimonia, animosità, che spinge le persone a portare avanti ruggini nel tempo, come espressione di risentimenti di lunga data, che divengono forieri di stress: questi conflitti silenti e non sopiti, ci portano a comportamenti divisivi che disperdono le nostre energie e non ci permettono di ottenere risultati di sorta (se non, talvolta, effimeri appagamenti egotici); tutto ciò nega la possibilità di un confronto sano, autentico e sincero, chiudendoci al dialogo.
La Kinesiologia Transazionale® e la Kinesiopatia® offrono tecniche in grado non solo di ridurre lo stress, permettendo alle persone di uscire dalle dinamiche reattive tipiche della “fight-or-escape response” (che ci pone continuamente in una ottica di lotta), ma anche di affrontare, innanzitutto dentro di sé, i conflitti ripristinando la possibilità di aprirsi al dialogo: le tecniche di reset, come l’allentamento dello stress emotivo o la risoluzione dei “legami carmici” sono in grado di aiutare a rimodulare, a livello profondo, la modalità di risposta nei confronti dei nostri “irrisolti”, contribuendo a uscire dalla dinamica “persecutore”/“vittima” cui spesso ci troviamo imprigionati.