ultimo aggiornamento: 27 Luglio 2023 alle 20:22
definizione
Locuzione latina che, tradotta letteralmente, suona come “ora per allora” col significato di restituire oggi (adesso) quello che ci è stato dato o fatto in passato: l’espressione sottintende un sentimento di rivalsa o di vendetta, rimasto per lungo tempo insoddisfatto; in ambito legale viene utilizzata pre modificare una delibera pregressa, applicando retroattivamente sentenza, come forma di rimedio o compensazione.
La locuzione “Nunc pro tunc, praeterea preterea” assume un valore rafforzativo, significando “e quanto qui detto ha valore ed efficacia per il passato, per il presente e per il futuro”.
“ora per allora”: la remissione del debito
Per quanto, da un punto di vista emotivo, si possa pensare che un torto subito, reale o immaginario, non possa essere in qualche modo “ripianato”, molto spesso chi si sente in qualche modo ferito, si crea fantasie negative riguardo il fatto di avere un credito nei confronti dei propri “persecutori”, sognando di poter, prima o poi, “ora per allora” poter giungere ad un pareggio.
In realtà questo comprensibile desiderio di vendetta costringe chi rimane imprigionato nel loop negativo desiderio di vendetta → mancata soddisfazione del credito emotivo → ulteriore frustrazione che incrementa il desiderio di essere ripagati, ad essere ancorati, in negativo, ad una profezia autoavverantesi il cui risultato finale non può che essere il discomfort ed il distress; un tarlo rode e corrode nella vana ricerca di una soddisfazione che lenisca la piaga rimasta aperta. Che sia la speranza che chi ci ha ferito abbia un tardivo pentimento o il desiderio di una rivincita, che sia il miraggio di una possibile riscossa o l’illusoria aspettativa di essere ripagati, meglio se con gli interessi, per ciò che ci è stato fatto, in genere, il risultato è una mortificazione che rafforza la nostra ferita: non importa che tutto questo avvenga senza che se ne sia consapevoli o se siamo ben consci del nostro mal-essere, l’esito finale è la creazione di un “irrisolto”, in grado di generare un “legame carmico”, cioè una relazione patologica con il nostro “nemico”, un “vincolo legante” capace di essere la radice che nutre l’egodistonia che ci impedisce di fare le scelte migliori per noi stessi, accompagnata, frequentemente da una costellazione di sintomi che comprendono scompensi d’umore, ansia, rabbia, distorsione della realtà, astio e livore, acredine e acrimonia, animosità, antagonismo e risentimento non solo verso il “colpevole del misfatto”, ma nei confronti di tutte le persone che poniamo (inconsapevolmente e involontariamente) nella posizione di “persecutori”.
La Kinesiologia Transazionale® e la Kinesiopatia® offrono tecniche in grado non solo di ridurre lo stress, permettendo alle persone di uscire dalle dinamiche reattive tipiche della “fight-or-escape response” (che ci pone continuamente in una ottica di lotta), ma anche di affrontare, innanzitutto dentro di sé, i conflitti ripristinando la possibilità di aprirsi al dialogo: le tecniche di reset, come l’allentamento dello stress emotivo o la risoluzione dei “legami carmici” sono in grado di aiutare a rimodulare, a livello profondo, la modalità di risposta nei confronti dei nostri “irrisolti”, contribuendo a uscire dalla dinamica “persecutore”/“vittima” cui spesso ci troviamo imprigionati.
La possibilità di sbloccare le “energie negative”, che ci ancorano in una situazione di impasse emotive, ci offre la possibilità di decidere se scegliere di superare il trauma, attraverso una sorta di remissione del debito, ponendoci in una prospettiva di superamento dell’evento e di accettazione: il lasciar andare il passato non solo ci libera dai vincoli che ci impediscono di progredire e dare spazio al nuovo, ma drena ogni energia, vincolandoci ed assoggettandoci al versante negativo dell’effetto San Matteo («Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.» Vangelo secondo San Matteo, versetto 25:29), come se una ipotetica legge di attrazione ci spingesse verso un avverso destino.
La remissione del debito è l’atto attraverso cui rinunciamo volontariamente all’essere creditori: non è un semplice abbuono o un perdono incondizionato, perchè non cancella il danno, né elimina il trauma o la sofferenza che scaturisce da esso, in quanto la cicatrice rimarrà per sempre. È una scelta che ci permette, «perché anche noi rimettiamo i debiti a chi ci è debitore» ( Vangelo secondo San Luca, versetto 11:1-4), innanzitutto di perdonare noi stessi, per ciò che abbiamo o non abbiamo fatto, attraverso il riconoscimento che i patterns che abbiamo adottato per convivere con la memoria del trauma e l’aspettativa di essere ripagati non sono più utili per noi: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.» (Isaia 43:18-19).
La remissione comporta l’estinzione dell’obbligazione, in quanto è un atto abdicativo che ci libera dal “vincolo legante” e che, solo come effetto riflesso, libera il nostro “presunto debitore”, nunc pro tunc praeterea preterea, non dalle sue colpe ma dall’influsso che esercita su di noi: allo stesso tempo libera noi dal “legame carmico” che ci impedisce di proseguire nella nostra vita perchè latori di un peso di cui non siamo responsabili, affrancandoci.
“ora per allora” nel diritto
“Nunc pro tunc”, sebbene sia un brocardo di espressione latina, sembra sia originario del diritto della Gran Bretagna, utilizzato come termine legale per decretare che una sentenza si applica retroattivamente, solitamente per correggere una delibera precedente: può trovare applicazione quando «si introduca una sentenza, o un atto iscritto, in modo da avere la stessa forza ed efficacia giuridica che se fosse stato iscritto o iscritto in un giorno precedente» (Mozley and Whiteley’s Law Dictionary ); in particolare la prima apparizione nel diritto anglosassone, deve essere fatta risalire ad un ordine proveniente dalla Court of Chancery, nel 1388. Nel 1805, il Lord Chancellor Lord Eldon, decretò che: «The Court will enter a Decree nunc pro tunc, if satisfied from its own official documents, that it is only doing now what it would have done then» (cioè La Corte … sta facendo solo ora ciò che avrebbe dovuto essere fatto allora”.
Il nunc pro tunc può valere anche per gli atti che sono consentiti dopo che sia trascorso il tempo legalmente assegnato per compierli, come nel caso della omologazione di un patrimonio, se il diritto di proprietà (come terreni, interessi minerari, …) , viene riconosciuto in un secondo tempo, effettuando una nuova redistribuzione del lascito; ugualmente, alla presenza di un un errore materiale o un errore nel verbale, un’ordinanza nunc pro tunc può correggere il verbale per riflettere fedelmente i procedimenti giudiziari e gli accordi raggiunti tra le parti.
Nella Chiesa cattolica, nel diritto canonico, le dimissioni di un vescovo sono spesso accettate dalla Santa Sede nunc pro tunc, il che significa che sono accettate provvisoriamente, ma il Papa ha bisogno di tempo per individuare e nominare un sostituto per quella diocesi: l’annuncio della nuova nomina è solitamente accompagnato dall’effettiva accettazione delle dimissioni del Vescovo uscente.