sindrome di Münchhausen per procura

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definizione

Quadro morboso contraddistinto dal fatto che un caregiver, per lo più una persona familiare, possa produrre i sintomi di una malattia in una seconda persona a lei affidata, come un figlio, un genitore anziano o un parente disabile, al fine di ricevere attenzione lei stessa; talvolta questa sindrome può colpire anche un operatore professionale: è una particolare variante della più nota sindrome di Münchhausen, ove i sintomi sono manifestati dalla cosiddetta “vittima” ma causati da chi soffre da questo stato morboso che provoca comportamenti anomali che, pertanto, incidono più o meno marcatamente sullo stato di salute di chi dipende dal malato, cioè da chi soffre della sindrome di Münchhausen per procura.

La sindrome di Münchhausen per procura è un disturbo psichiatrico e comportamentale, che induce chi ne è affetto a provocare dei sintomi o a inscenarne di inventati, in persone dipendenti dalle sue attenzioni e cure, al solo scopo di attrarre l’attenzione: in genere, la sindrome di Münchhausen per procura vede per protagonisti un adulto, che è la persona in cerca di attenzioni e portatore della malattia psico-comportamentale in questione, ed un soggetto di giovane o giovanissima età, che è la vittima, anche se esistono anche casi di sindrome di Münchhausen per procura in cui pure la vittima è una persona adulta, spesso incapace di provvedere a sé stessa; la disfunzione psicologica di questa patologia, cioè del disturbo fittizio imposti ad altri, affligge per lo più madri che arrecano un danno fisico al figlio/a per attirare l’attenzione su di sé: il bambino/a solitamente di età inferiore ai 6 anni,, in questo caso, viene usato quindi per appagare un desiderio inconscio del genitore di mettere in atto un dramma personale e rinforzare la propria relazione con i medici o l’ambiente ospedaliero.

Anche se meno frequentemente e decisamente meno comune rispetto alle madri che, per mettersi al centro dell’attenzione provocano volontariamente dei sintomi nei propri figli, anche badanti, infermieri e medici, per la medesima esigenza, nocciono volontariamente alla salute delle persone che in realtà dovrebbero accudire, anziani, nel primo caso, e malati, nel caso del personale medico e paramedico.

La sindrome di Münchhausen per procura non deve essere considerato semplicemente una malattia psico-comportamentale ma, di fatto, costituisce anche una forma di abuso: per trasformare la propria “vittima” in un malato più o meno reale chi è affetto da questo disturbo comportamentale adotta alcuni comportamenti tipici, che possono andare dall’enfatizzare un banale malessere, tanto da descriverlo come un sintomo molto grave, o inventare ex novo uno o più disturbi fino a manipolare i risultati di test di laboratorio o a ridurre la quantità del cibo, con l’intento di farle perdere peso e indurre uno stato di malnutrizione; a volte la “vittima” viene intossicata per mezzo di ripetute somministrazioni di farmaci o sostanze nocive per la salute dell’organismo o in qualche modo viene provocata un’infezione o una ferita.

Nella sindrome di Münchhausen per procura si possono identificare alcuni modelli di abuso ricorrenti quali:

→ esagerare, inventare o manipolare un sintomo mediante l’alterazione di un test diagnostico, per suggerire la presenza di una malattia.

→ ridurre deliberatamente la quantità di cibo a disposizione della “vittima” o interferire con la qualità dei principi nutrizionali.

→ causare sintomatologie lievi per mezzo di sostanze irritanti, somministrare lassativi per favorire la diarrea, intossicare la “vittima” con sostanze a bassa nocività o avvelenarla “vittima” con sostanze ad alta tossicità, come per esempio l’insulina per indurre l’ipoglicemia.

→ soffocare la “vittima” per causarne l’incoscienza o stordirla e drogarla con sostanze psicotrope.

In genere chi soffre di un disturbo fittizio imposti ad altri mostra un estremo interesse nei confronti della medicina, che la porta a sviluppare un’ottima conoscenza dei più comuni test diagnostici e interventi chirurgici, cui si accompagna spesso la volontà di voler instaurare un rapporto stretto o di amicizia con il personale medico che ha in cura il figlio o la figlia; non di rado il “carnefice” cerca di intromettersi nel processo diagnostico di chi sta valutando le condizioni della “vittima”, contraddicendo i medici, qualora questi non rilevino quanto denunciato.

Paradossalmente, in pubblico, chi soffre della sindrome di Münchhausen per procura mostra una devozione estrema nei confronti della “vittima”, anche se, alla presenza di comportamenti estremi, può pregiudicare in modo drastico le sue condizioni di salute, arrivando talvolta a causarne la morte.

che fare?

Come nel caso della sindrome di Münchhausen, anche nella forma “per procura” cioè nel caso in cui la ricerca di attenzione avviene causando danni ad una terza persona, si può di parlare di una malattia mentale ed un disturbo del comportamento, cioè un quadro psichico da non sottovalutare non solo per la difficoltà nell’identificare questo morbo, ma per le possibili conseguenze che può causare alla “vittima”: ci sono casi giunti all’onore delle cronache che descrivono pienamente i rischi di questa patologia; per quanto questa attitudine egodistonica sia una richiesta di attenzioni, occorre non sottovalutare sia il disturbo oggettivo di chi è affetto da questo morbo, sia i rischi di chi ne subisce le “amorose attenzioni”.

Il problema è acuito dal fatto che, essendo l’unica motivazione reale da parte di chi manifesta questi “sintomi” è mettersi al centro dell’attenzione, non ci si può aspettare una reale collaborazione da chi è affetto dalla sindrome di Münchhausen per procura anzi, quando diagnosticati (ovvero scoperti …), spesso rifiutano la diagnosi (e di conseguenza qualsiasi trattamento), non cooperano e non sono complianti, riducendo le possibilità di essere aiutati grazie ad un trattamento adeguato: l’accettazione dell’esistenza del problema è il primo passo necessario per intraprendere un cammino verso il ben-essere.

La sindrome di Münchhausen per procura è paragonabile, in un certo senso alle dipendenza ed alle addizioni quali l’alcoolismo o la ludopatia, in quanto il disconoscimento del problema è l’essenza del problema stesso: l’intervento del professionista del ben-essere, nelle forme meno gravi, può rivelarsi di grande aiuto in quanto, grazie alla valutazione multidimensionale, basata sul triangolo della salute, è possibile identificare quali possibili fattori complementi terapeutici (somato-emozionali, biochimici, spirituali …) sono in grado di sostenere il processo di reset a cui necessariamente deve sottoporsi che è affetto da questo quadro morboso.

Le tecniche di allentamento dello stress emotivo, l’integrazione nutrizionale per ridurre gli effetti neurologici dello stress causati dalla risposta generalizzata di adattamento e dal burn-out, le procedure di riequilibrazione del sistema cranio-sacrale (come il reset temporo-vascolare), riattivando la vis medicatrix naturæ presente in ognuno, possono essere un valido aiuto per incrementare la capienza e sostenere la capacità di cambiamento di chi decide di intraprendere un percorso di “guarigione”.

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