ultimo aggiornamento: 14 Settembre 2020 alle 20:25
definizione
Per comprendere pienamente il significato del «windan effect», occorre immaginare di vedere una bandiera al vento, che col suo movimento, crea mulinelli, vortici, spirali, turbinii, pur rimanendo ancorata alla sua asta; le forze impresse provocano alterazioni del tessuto della bandiera, modificando strutturalmente la disposizione spaziale delle fibre.
windan: etimologia e significato
Il termine, il cui significato letterale è roteare, arricciare, creare spirali o vortici, gorghi o mulinelli, può essere considerato una forma inglese arcaica nata intorno al XII° secolo, derivata da una radice comune con il sassone, l’antico frisone e il vichingo norvegese, dal significato «muoversi girando e torcendo», utilizzato soprattutto per descrivere qualcosa che garrisce «al vento» e che quindi è costretta a «ondeggiare, girare, torcersi, arricciarsi, opporsi, oscillare, avvolgersi, annodarsi, attorcigliarsi o intrecciarsi intorno a se stesso o a qualcosa»; da «windan» derivano anche «wend» (→ procedere e dirigersi a proprio modo) e «wander» (→ girare, vagabondare, ruotare, vagare) e «wind» (→ avvolgere, girare, ruotare, avviluppare).
«effetto windan» come risposta al trauma
Nel Cranio-Sacral Repatterning® si parla di «effetto windan» per descrivere la conseguenza della distribuzione all’interno dei tessuti connettivali delle forze che inferiscono sul corpo, in caso di trauma: alla presenza di una forza incidente, il sistema fasciale necessita di dissipare la forza contenuta nel vettore agente, onde ridurre, minimizzare e, ove possibile, evitare i danni conseguenti.
Ovviamente quando un vettore esercita una forza pressoché perpendicolare, rispetto al tessuto su cui impatta, soprattutto alla presenza di rigidità delle catene cinematiche corporee, l’energia cinetica contenuta viene “scaricata” direttamente nel punto di trauma; la conseguenza è una scarsa possibilità di dissipazione delle sollecitazioni, associata ad una elevata potenzialità di danni o lesioni.
Viceversa, più il vettore è prossimo ad essere tangente rispetto alla struttura, ed il corpo ha un’atteggiamento di rilassamento che gli permette di adattarsi all’impatto, sfruttando appieno la capienza, la capacità di adattamento (allostasi), la tensegrità e la resilienza, allora, probabilmente, la forza verrà distribuita nei tessuti, secondo un gradiente differenziale che dipende all’isteresi elastica del tessuto specifico; la modalità è la creazione di vettori “spezzettati”, in grado di seguire una direzione spiroide fino a giungere in un punto di equilibrio delle forze, un punto di inerzia, un hypomochlion attorno cui si organizzi l’integrazione del trauma stesso.
Questa area di fissità diviene, solitamente, il pivot intorno a cui l’organismo si organizza, come effetto dei meccanismi di difesa nei confronti del dolore, della paura e del ricordo di entrambi, in un atteggiamento, o se si preferisce, con una postura antalgica ovvero per mezzo di un habitus “protettivo”.
Gran parte delle forze coinvolte provoca, come conseguenza, una variazione significativa dell’energia cinetica del corpo stesso che, se non ha la possibilità di essere dispersa attraverso il movimento, viene trasferita ai tessuti che devono svolgere un “lavoro” per neutralizzarne i potenziali effetti negativi: gran parte dell’inertizzazione dei possibili danni viene svolta dal tessuto fasciale.
Questo tessuto “connettivo”, vuoi per le sue caratteristiche chimico-fisiche, vuoi per la possibilità di spostarsi e spostare i segmenti corporei, funge da trait d’union fra le parti, permettendo lo scivolamento reciproco, e, pertanto, è in grado di utilizzare queste energie, assorbendo la forza con il lavoro inerziale delle fibre che lo compongono, creando spirali nel tessuto stesso.
«effetto windan» – «unwinding»
Se, come conseguenza dell’«effetto windan» il corpo, nella sua “complessione” e nelle sue componenti non visibili, risulta avviluppato o arrotolato su se stesso o caricato come una molla, creando contorsioni o tortuosità, ovviamente non può essere libero di esprimere pienamente le proprie possibilità, rimanendo vincolato e costretto a “sprecare” energia per fare ciò che potrebbe fare con meno fatica e, soprattutto, minori “sforzi” (stress): questo «ondeggiare, girare, torcersi, arricciarsi, opporsi, oscillare, annodarsi, attorcigliarsi o intrecciarsi intorno» diviene, pertanto, un handycapp, in grado di dissipare le energie corporee, rendendolo vulnerabile, come conseguenza della saturazione della capienza nei confronti degli stimoli ambientali.
La naturale propensione dell’organismo a ricercare un equilibrio mantiene continuamente il bilanciamento fra le forze vincolanti (che fissano e bloccano il corpo), la gravità (che determina punti di riferimento assoluti, come la triade contatto col suolo – direzione di movimento – linea dell’orizzonte), le esigenze di azione o movimento e gli stressor ambientali (che impattano sul corpo stesso, complicando l’insieme): l’unwinding fasciale è una tecnica finalizzata appunto a “sciogliere” quell’insieme di”attorcigliamenti, torsioni, intrecci, “nodi” causati da atteggiamenti somato-emotivi o traumi e dalle tensioni che ne derivano.