effetto San Matteo

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ultimo aggiornamento: 24 Novembre 2023 alle 21:22

definizione

Detto anche Matthew effect (effetto Matteo) o effetto del vantaggio accumulato, può essere sostanzialmente riassunto nell’adagio «the rich get richer and the poor get poorer» (i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri).

Il termine è stato coniato dal sociologo Robert King Merton, nel 1968, e prende il nome dalla «parabola delle dieci mine» («parabola dei talenti») presente nel Vangelo secondo San Matteo, che nel versetto 25:29, recita:

«Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.»

L’immagine è presente anche nel Vangelo secondo San Luca, nel versetto 19:26:

«Io vi dico che a chiunque ha sarà dato di più; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.»

mentre nel Vangelo secondo San Marco, nella «parabola della lampada sotto il moggio», il versetto 4:25 recita «Perché a chi ha sarà dato di più; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha»; il concetto viene ancora ribadito nel Vangelo secondo San Luca «Fai attenzione quindi a come ascolti; poiché a chi ha sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche quello che pensa di avere.» (versetto 8:18) e nel Vangelo secondo San Matteo «Ed egli rispose loro: “A voi è stato dato di conoscere i segreti del regno dei cieli, ma a loro non è stato dato. Perché a chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; ma da lui chi non ha, gli sarà tolto anche quello che ha. “» (versetti 13:11–12).

il “vantaggio accumulato” e la scienza

Il concetto è applicabile in vari ambiti, anche se è stato riconosciuto in relazione  a questioni di fama o status: inizialmente, gli effetti del Matthew effect erano principalmente focalizzati sulla disuguaglianza nel modo in cui gli scienziati venivano riconosciuti per il loro lavoro; infatti nella sociologia della scienza, l’espressione è stata usata per descrivere una sorta di “effetto accumulo”, più volte osservato nella comunità scientifica e descritto da Robert King Merton, in base al quale gli scienziati che raggiungono dei successi nei primi anni della loro carriera (ad esempio pubblicando un articolo su una rivista molto nota, o in collaborazione con un altro autore famoso), hanno in seguito molta più facilità a pubblicare, e quindi più credibilità e successo delle proprie teorie, a parità di qualità e di ogni altro fattore. si pensi, ad esempio, al fatto che i premi ed i riconoscimenti sono quasi sempre assegnati al ricercatore più famoso (o più anziano) coinvolto in un progetto, anche se l’idea originale è il frutto di una intuizione di un giovane neolaureato o il o il lavoro viene svolto da uno studente o un giovane laureato.

Robert King Merton sostiene che, nella comunità scientifica, a causa dell’effetto San Matteo, la reputazione individuale non solo è in grado di influenzare la comunicazione scientifica, ma permette ai ricercatori più quotati di accedere a risorse superiori; si pensi alla sproporzionata visibilità data ad articoli di autori riconosciuti, a scapito di articoli ugualmente validi o superiori scritti da autori sconosciuti o alla concentrazione dell’attenzione su individui eminenti a scapito di ricercatori competenti e preparati che, venendo negletti, riducono la propria autostima cestinando ipotesi di studio valide, anche a causa della mancanza di finanziamenti.

effetto San Matteo nella società

Ovviamente le diseguaglianze che esistono nel mondo scientifico, esistono in altri settori dell’esistenza umana: si pensi, ad esempio dell’effetto Pigmalione, applicato all’educazione, o all’effetto Rosenthal, nell’ambito scientifico; nelle comunicazioni sociali l’effetto San Matteo diviene evidente se si pensa al concetto di influencer, persone che, indipendentemente dal proprio valore, sono in grado di condizionare i comportamenti e divenire “punti di riferimento” in una spirale di autoesaltazione dove più si è famosi, più si diventa famosi.

Nell’educazione, lo psicologo Keith Stanovich ha utilizzato la definizione effetto Matteo per descrivere il fatto che il successo precoce nell’acquisizione di capacità di lettura di solito porta a successivi successi nella lettura man mano che lo studente cresce, mentre non riuscire a imparare a leggere prima del terzo o quarto anno di scuola può essere indicativo di problemi per tutta la vita nell’apprendimento di nuove abilità: i bambini che restano indietro nella lettura, sentendosi incapaci, tendono a leggere di meno, aumentando il divario tra loro dei loro coetanei e, di conseguenza, quando hanno bisogno di «leggere per imparare», e non più «imparare a leggere», le loro difficoltà crea difficoltà nell’apprendimento, rimanendo indietro rispetto ai loro coetanei creando circoli viziosi e spirali negative. Keith Stanovich scrive:

«Un’acquisizione difficoltosa o ritardata dell’abilità di leggere, ha conseguenze cognitive, comportamentali e motivazionali che rallentano lo sviluppo di altre abilità cognitive e inibiscono le prestazioni in molti compiti accademici: man mano che la capacità di lettura si sviluppa, altri processi cognitivi ad essa collegati tracciano il livello di abilità di lettura in quanto anche le basi della conoscenza, che sono in relazione reciproca con la lettura, sono inibite nella possibilità di ulteriori sviluppi.»

«Più a lungo si lascia che questa sequenza in grado di inibire il processo evolutivo continui, più generalizzati diventeranno i deficit, coinvolgendo sempre più aree cognitive e del comportamento; o per dirla più semplicemente con le parole di un bambino di nove anni in lacrime, in preda alla frustrazione incapace di seguire i propri coetanei nei progressi di lettura: “La lettura influisce su tutto ciò che fai.”»

Non si deve pensare che nell’effetto Matteo sia in gioco solo la quantità di informazioni, di nozioni, di conoscenze fattuali, perchè, in realtà, sono coinvolte profondamente le motivazione ad apprendere, in quanto il bambino che parte dai livelli più bassi fa più facilmente e più frequentemente l’esperienza dell’insuccesso scolastico e con probabilità sempre minori si troverà ad avere la possibilità di realizzare in modo adeguato le attività scolastiche. Si instaura pertanto un ciclo negativo in cui l’esperienza ripetuta del fallimento conduce alla frustrazione, induce a evitare le attività per le quali non ci si sente preparati, fa mancare la possibilità di fruire dei necessari esercizi, non permette di migliorare. Si tratta di esperienze di cui il bambino coglie molto efficacemente le valenze negative e che lo portano alla perdita dell’autostima e del senso di autoefficacia, fino a farlo giungere alla decisione di non apprendere più. Ma l’effetto Matteo evidenzia anche, in modo speculare, come invece l’esperienza del successo scolastico, proprio perché connessa alla sensazione del progressivo miglioramento delle proprie capacità, conduca a un progressivo aumento dell’impegno e della motivazione ad apprendere e quindi al conseguimento di risultati sempre migliori.

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