digiuno

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ultimo aggiornamento: 22 Aprile 2025 alle 23:43

definizione

Lo stato di non-assunzione di alimenti, intenzionale o per necessità: il termine deriva dal latino ieiunium che assume, a seconda dei contesti, il significato, oltre che di digiuno, di astinenza dal cibo, inedia, mancanza di cibo, ma anche (per metonimia) fame, oppure macilenza e denutrizione, non dissimile da ieiūnus (→ che non ha mangiato da tempo, nome con cui viene definito tratto medio dell’intestino tenue); in genere, con il termine digiuno, si intende l’astensione, volontaria o imposta da varie cause (malattie, deprivazione, motivazioni religiose o politiche …), dell’assunzione d’alimenti, totale (digiuno assoluto o inanizione) oppure parziale (digiuno relativo). Dal punto di vista psicofisiologico e antropologico è importante distinguere il digiuno volontario “non-nutrizionale”, rispondente a motivazioni religiose e filosofiche, da quello subito perché imposto da condizioni dell’ambiente fisico o socioeconomico e culturale.

Da un punto di vista antropologico, la rinuncia volontaria al cibo costituisce un aspetto del processo evolutivo della specie umana, in quanto la decisione di digiunare rappresenta il superamento delle dinamiche di sopravvivenza, con l’instaurarsi di una libertà interiore che è all’origine delle creazioni spirituali dell’uomo: basti pensare che in ambito propriamente religioso-rituale, il precetto del digiuno è presente in tutte le culture come forma di disciplina volta alla conservazione di valori connessi al sacro; in questo ambito il digiuno pubblico assume il significato di atto liturgico (o sociale) della comunità, finalizzato alla purificazione individuale, con lo scopo di edificazione e carità, messo in atto per manifestare dolore, come preparazione alla comunione con il sacro, come pratica ascetica o atto di penitenza.

Dai digiuni dei misteri di Eleusi degli ateniesi, a quelli praticati nel buddhismo, nell’induismo e nel manicheismo, passando per il digiuno islamico del Ramadān o quello ebraico dello Yom Kippur, per arrivare al digiuno quaresimale dei cattolici, ridotto nel tempo al Mercoledì delle Ceneri ed al Venerdì Santo, l’astensione dal cibo, spesso associata all’astinenza, diviene una forma catartica e liberatoria, oltre che purificatoria.

fisiologia del digiuno

Non sempre il digiuno deve essere visto come una possibile patologia in quanto, nella normalità, fisiologicamente si alterna con la fase di ingestione di alimenti (pasto), con una ciclicità ed una durata dipendenti dai bisogni energetici (senso di fame, commisurata allo stato di nutrizione esistente): causa del digiuno fisiologico è lo stato di eunutrizione o il progressivo suo instaurarsi grazie alla formazione di sufficienti riserve di materia e di energia nel corpo, con conseguenti diminuzione della sensazione di fame e aumento della sensazione di sazietà (saziamento); inversamente, effetto del digiuno è la graduale riduzione delle riserve nel corpo (iponutrizione), da cui conseguono l’attenuarsi della sensazione di sazietà e l’incremento della sensazione di fame.

Da un punto di vista psicofisiologico, invece, il digiuno assume caratteri qualitativi e quantitativi molto differenti, sulla base di fattori individuali, familiari, tribali o sociali e ambientali, nel quadro del complesso fenomeno dei comportamenti alimentari; si può quindi distinguere una fisiologia del digiuno, fenomeno con ciclicità variabile entro limiti definiti, regolato dalla genetica di specie e di individuo, e una psicofisiologia del digiuno, fenomeno che ha la varietà di gradi e manifestazioni proprie del comportamento alimentare.

Come sempre nei fenomeni biologici, vi è un continuum fra fisiologia e patologia del digiuno: conseguenza del digiuno prolungato è la malnutrizione per difetto (iponutrizione); in particolare si può osservare l’insorgenza di malnutrizione protidico-energetica, che coinvolge sia l’apporto di energia, sia quello di molecole che il corpo umano non può sintetizzare (aminoacidi e acidi grassi essenziali) e che ha effetti molto gravi specie negli individui in età di sviluppo, condizionandone non solo l’accrescimento somatico, ma anche lo sviluppo funzionale, incluso quello del sistema nervoso centrale e quindi le funzioni cognitive. Gli effetti, che si verificano sia a breve sia a lungo termine, sono talora irreversibili e la loro gravità è proporzionata all’intensità e durata dell’iponutrizione.

La prolungata astensione dal cibo, anche se parziale, provoca nell’organismo una progressiva deplezione delle riserve organiche, in primis, e delle componenti strutturali quali muscoli e tessuti organici (in seconda battuta), proporzionale alla durata del digiuno: questo avviene perchè, nonostante l’interruzione dell’assunzione d’alimenti, permane il consumo di energia, da parte degli organi e dei tessuti, prodotto dalla loro attività fisiologica, con una continua perdita di peso del corpo; la resistenza, ossia la durata massima compatibile con la vita, allo stato di digiuno, varia secondo gli organismi, pur essendo quasi uguale per tutti il limite estremo della perdita globale di peso (circa del 40%) che produce la morte per inanizione, fermo restando che il digiuno assoluto, che prevede l’astensione anche dall’acqua, alla cui sottrazione l’organismo non è capace di resistere a lungo, può essere mantenuto per brevi periodi.

La diminuzione di peso non è lineare ma rallenta con il tempo: la perdita di proteine e di sostanze minerali, con quella dell’acqua a esse associata, è il principale fattore della perdita di peso iniziale, cui segue un calo ponderale imputabile al consumo di grasso corporeo. La resistenza al digiuno, solitamente, è molto maggiore di quanto si creda comunemente: la resistenza al digiuno relativo, con adeguato consumo di acqua, nelle persone adulte e sane può protrarsi per quasi due mesi; il suo decorso si possono distinguere tre periodi:

→ periodo della fame – breve periodo iniziale, che dura i primi tre o quattro giorni, caratterizzato dalla sensazione molesta della fame, che in genere scompare o si attenua significativamente: nelle prime 24 ore di privazione alimentare, il metabolismo è sostenuto dall’ossidazione dei trigliceridi e del glucosio depositato nel fegato sotto forma di glicogeno; con il passare del tempo, vista la modesta entità delle scorte di glicogeno epatico, la gran parte dei tessuti si adatta ad utilizzare principalmente acidi grassi, risparmiando glucosio destinato principalmente all’attività del sistema nervoso ed a quella dei tessuti anaerobici quali gli eritrociti (che hanno assoluto bisogno di glucosio non potendo utilizzare gli acidi grassi a scopo energetico), mentre, a livello epatico, viene attivata la gluconeogenesi, finalizzata alla produzione di glucosio a partire partire dagli aminoacidi.

→ periodo dell’inanizione fisiologica – periodo di media lunghezza, in genere di circa 20÷25 giorni), caratterizzato da una graduale diminuzione del consumo e della termogenesi, in cui però tutte le funzioni si svolgono più o meno normalmente; si osserva una progressiva accentuazione della gluconeogenesi, nutrita tramite la degradazione delle proteine muscolari e dall’autofagia: la produzione di glucosio risulta comunque insufficiente per soddisfare le richieste metaboliche di energia, per cui il sistema nervoso è quindi costretto a ricorrere in maniera sempre più importante ai corpi chetonici (chetosi), derivati dall’ossidazione degli acidi grassi, che pur prolungando la sopravvivenza dell’organismo, causa un’importante incremento dell’acidità ematica, mentre aumenta sempre più il ricorso degli altri tessuti all’ossidazione lipidica, in un’ottica generale di massimo risparmio del glucosio ematico.

→ periodo dell’inanizione morbosa (crisi) – in genere, periodo molto breve con sintomi d’ipertermia, vomito, diarrea, collasso, che precede la morte che sopraggiunge per una forma di autointossicazione prodotta da alterazione, anche qualitativa, del metabolismo: una volta che lo sfruttamento delle risorse proteiche, comprese le proteine plasmatiche (con conseguente riduzione della concentrazione di albumina nel sangue, cui consegue comparsa di edema e disidratazione) cui si somma contestualmente la presenza di acidosi metabolica dipendente dall’incremento della chetosi, con riduzione dell’efficienza respiratoria (data dal catabolismo delle proteine del diaframma e dei muscoli intercostali), in genere sopravviene il decesso.

Il consumo dei depositi organici di riserva e dei diversi tessuti non colpisce ugualmente i vari tessuti: il consumo massimo interessa soprattutto il tessuto adiposo (95%), seguito dalla milza, dal pancreas, dal fegato, dal sangue (60÷75%), mentre decisamente minore per i muscoli (nonostante quello che normalmente si pensa, la perdita della massa muscolare è dell’ordine del 35÷45%) e per gli organi emuntori (cute, reni, polmoni, con valori fra il 20÷35%), mini,o per le ossa (~15%) e quasi nullo per il sistema nervoso (2%): alcuni tessuti attingono le sostanze nutritive necessarie alla sopravvivenza da altri tessuti, che hanno la funzione di depositi di riserva (come il tessuto adiposo, e in parte il fegato), o che hanno minore importanza da un punto di vista della sussistenza.

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