definizione
Disturbo della percezione visiva spaziale, caratterizzato da un eccesso di profondità, per cui gli oggetti appaiono molto più lontani di quanto non siano: coniato dal neurologo britannico Macdonald Critchley, nel 1949, è usato per denotare una distorsione visiva in cui gli oggetti fissi sembrano essere più lontani di quanto non siano; dal greco τῆλε (tele– → a distanza, da lontano) e ὄψις (ópsis → vista), dalla radice ὀπ– (op– → vedere), per cui oltre a teleopsia, può essere utilizzata anche la forma telopsia o teliopsia.
La teleopsia può essere considerata sia una forma di dismetropsia sia una metamorfopsia: non deve essere confusa con la micropsia, disturbo visivo in cui gli oggetti sono percepiti come sproporzionatamente piccoli, ma non necessariamente lontani, anche se esiste una forma di microteleopsia; il suo opposto è pelopsia. A volte il termine porropsia è usato come sinonimo, sebbene fenomenologicamente i due sintomi non siano identici, in quanto in questa condizione gli oggetti fermi sono percepiti come in movimento, nell’atto di allontanarsi.
Può manifestarsi come sintomo isolato, durante l’aura emicranica o nella A.I.W.S., la sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie o essere un sintomo di lesioni del lobo parietale o del lobo temporale del cervello; è associato principalmente con i disturbi neurologici parossistici come l’emicrania e l’epilessia, e con l’uso di allucinogeni come LSD e mescalina.