definizione
Lesione di continuo, canalicolare, che non tende alla guarigione: può essere considerata una comunicazione patologica, di forma tubulare, tra due strutture o tra due cavità dell’organismo, anatomicamente non collegate, o tra esse e l’esterno; dal latino fistŭla, termine usato per descrivere un tubo usato nell’antichità per la conduttura delle acque. In particolari contesti può essere anche considerato il sinonimo di piaga, ferita, infezione che spurga all’esterno del corpo.
Le fistole, generalmente, si formano a causa di un processo infiammatorio che viene aggravato da un’infezione con relativo ascesso, che in seguito si rompe provocando la fuoriuscita del pus e, una volta riassorbito lascia uno spazio a forma di tubo che costituisce la fistola.
La soluzione di continuo che si crea fra le strutture, non tendente alla guarigione spontanea, può coinvolgere praticamente tutti gli organi del corpo, formandosi con meccanismi patogenetici diversi: può conseguire a traumi oppure a processi patologici profondi o a malformazioni congenite; frequentemente il condotto che si forma è attraversato dal passaggio di secrezioni per lo più patologiche, come liquido sieroso, purulento, ematico, o misto.
Queste lesioni, che interrompono il continuum dei tessuti corporei, non guariscono solitamente in quanto l’epitelizzazione del tramite fistoloso impedisce la formazione del tessuto cicatriziale; a volte, cause meccaniche come la contrazione degli sfinteri, i corpi estranei (calcoli, fili di sutura, reliquiati da pregressi interventi chirurgici, necrosi ossee), il continuo passaggio di secreti, escreti o anche essudati possono impedire la guarigione del tessuto. Anche i processi infiammatori o infettivi, come la presenza di germi piogeni, di granulazioni tubercolari, sifilitiche, actinomicotiche impediscono la guarigione sino a quando perdura l’infezione; discrasie o distrofie rendono i tessuti torpidi, provocando fatti degenerativi degli elementi cellulari.