ultimo aggiornamento: 8 Agosto 2023 alle 22:49
definizione
Derivata dal greco αὐτοτελής (autotelēs), formato da αὐτός (autos, → se stesso) e τέλος (telos → scopo, fine) potrebbe essere tradotto letteralmente con «che è finalizzato a se stesso» oppure «senza scopo apparente», cioè che contiene e trova il proprio significato o scopo in se stesso; che possiede in sé la finalità ultima o contingente del proprio essere o del proprio accadere.
la personalità autotelica
Nell’ambito del concetto di «flow» ovvero della «teoria del flusso» di Mihaly Csikszentmihalyi, l’autotelia è il concetto che descrive il fatto che una azione o un’attività, dotata di obiettivi pratici, trovi in se stessa e nel proprio stesso svolgimento lo scopo precipuo del suo realizzarsi; altro elemento importante per definire un qualunque evento come autotelico, è che sia parte essenziale di quello stato di ben-essere e di quella esperienza ottimale che sono, allo stesso tempo, fondate e fondanti una consapevolezza superiore di chi le esperisce, permettendo un rapporto fluido e quasi inesplicabile con un’autocoscienza in continuo divenire, slegata dalle nozioni limitanti che utilizziamo per rappresentare a noi stessi la nostra identità e ruolo nel mondo.
Mihály Csíkszentmihályi descrive le persone che sono guidate internamente e che, come tali, possono mostrare un senso di scopo e curiosità, come autoteliche: questo stato deve essere considerato differente rispetto all’essere eterodiretti (guidati dall’esterno), in quanto i fattori stimolanti che spingono ad agire non nascono dall’interno dell’individuo, ma sono spesso motivazioni che affondano le radici in dinamiche sociali o relazionali e possono essere ricondotte al bisogno di confort oppure al desiderio di denaro, potere o fama sono la forza motivante. Csíkszentmihályi, nel 1997, scrive:
«Una persona autotelica non ha bisogno di grandi quantità di beni materiali o di divertimento, agi, potere o fama perché trova gran parte della propria gratificazione in ciò che fa: queste persone riescono a vivere e sperimentare la sensazione di «flow»nel lavoro, nella vita familiare, quando interagiscono con le persone, quando mangiano, anche quando sono sole senza niente da fare e perciò dipendono meno dal bisogno di ricercare ricompense esterne che, normalmente, sono al molla che spinge ad agire le persone che subiscono la propria routine quotidiana.»
«Sono più autonomi e indipendenti perché non possono essere facilmente manipolati con minacce o ricompense dall’esterno; allo stesso tempo, sono più coinvolti con tutto ciò che li circonda perché sono completamente immersi nella corrente della vita.»
L’esperienza di «flow» scaturisce da intrecci che si creano fra il percepito dal mondo esterno, le proprie abilità, le opportunità che si creano ed i feedback ricevuti dall’ambiente circostante: da ciò scaturisce un’esperienza che si caratterizza per le diverse sfumature, rese appunto da un gioco di variabili che rimangono estremamente soggettive.
L’intensità di questo tipo di esperienza varia da persona a persona e la stessa attività può elicitare ansia, noia, apatia oppure lo stato di «flow»in base alla selezione che ognuno fa di abilità e risorse attenzionali necessarie allo svolgimento di un’attività e dell’interpretazione del livello di sfida della stessa: alcune attività, come lo sport e il gioco, sono maggiormente preposte alla sperimentazione dei vissuti che caratterizzano l’essere «in the zone», proprio perché sono caratterizzate da una sfida da superare e dalla possibilità di entrare nella «optimal performance zone», anche se la principale condizione per sperimentare questo stato è il rapporto che ciascuno intrattiene nei confronti di una attività.
Avere chiaro in mente l’obiettivo da raggiungere è necessario, ma questo riveste un ruolo secondario rispetto al vissuto dell’esperienza di «flow», poiché non è l’obiettivo raggiunto a favorire l’immersione totale nell’attività, ma l’esperienza stessa: anche se la possibilità di provare questo stato dell’essere è più probabile quando si vivono situazioni complesse e altamente, guidare la propria auto, visitare un museo, stirare, lavorare, sono attività potenzialmente favorevoli a vivere un’esperienza ottimale al pari di scalare una montagna, vincere le world series o fare una scoperta, se vi è un equilibrio percepito soggettivamente (e non oggettivo) tra abilità e sfida.
La qualità dell’esperienza varia notevolmente da persona a persona, nonostante la capacità di sperimentare il «flow» sia universale e appartenga a tutte le persone; ciò che differenzia le persone non è solo la qualità dell’esperienza vissuta, ma anche la frequenza di esperienze ottimali riportate e la motivazione intrinseca: si può affermare che esista una predisposizione naturale a esperire questo stato in una personalità autotelica, cioè in quel tipo di persona che tende a godersi, ad apprezzare e ad assaporare la vita e che trae un piacere intrinseco da ciò che fa e non per raggiungere obiettivi secondari.
Csíkszentmihályi ha ipotizzato che le persone con specifici tratti di personalità possano essere in grado di raggiungere il «flow» più spesso rispetto alla persona media: queste caratteristiche includono curiosità, persistenza, ridotto egocentrismo e la tendenza a svolgere attività solo per il piacere di farlo (motivazione intrinseca); per questo si tende a definire le persone con la maggior parte di questi tratti come dotate di personalità autotelica.
L’evidenza sperimentale mostra che l’equilibrio tra le abilità dell’individuo e le esigenze del compito, rispetto alla noia (rust-out) o al sovraccarico (dis-stress/burn-out) favorisce la sensazione di essere «in the groove», soprattutto per le persone che ritengono che gli eventi della propria vita dipendano dalle proprie azioni o dai propri comportamenti e non da cause esterne indipendenti dalla propria volontà («locus of control» interno); ugualmente le persone che posseggono un metaprogramma orientato all’azione, cioè che tendono ad affrontare dilemmi o conflitti attraverso un’azione rapida e decisiva che comporti cambiamenti in grado di agire sul piano mentale o comportamentale («action orientation»).
Una personalità autotelica favorisce l’identificazione dei propri obiettivi primari, rafforzando la stima di sé e la capacità di creare relazioni gratificanti; d’altra parte, esperienze, stati affettivi e cognitivi positivi contribuiscono a favorire una personalità autoteliche; esperienze ripetute di «flow» e lo sviluppare una personalità autotelica contribuisce a fronteggiare in modo più efficace le avversità, a prevenire le patologie ed ad aumentare la qualità della vita, assegnando un giusto valore alle esperienze vissute: si potrebbe dire che l’autotelia sia, allo stesso tempo una weltanschauung, una filosofia ed uno stato dell’essere, che strizza l’occhio alla «joie de vivre».