ultimo aggiornamento: 18 Agosto 2023 alle 0:16
definizione
Bias cognitivo caratterizzato dalla convinzione che una società o un’istituzione stia tendendo al declino: il declinismo può essere considerato sia un fenomeno della psicologia sociale, sia una attitudine soggettiva (retrospettiva rosea) contraddistinta da un sistema di credenza che porta a vedere il passato in una luce più favorevole e positiva rispetto al presente, mentre prevede un futuro dalle caratteristiche negative, in chiave pessimistica; il declinismo è la convinzione che qualunque cosa con cui si ha a che fare nel presente sia soggetta ad un declino futuro significativo e forse irreversibile e che sia preferibile quanto esisteva nel passato.
Il poeta inglese Charles Caleb Colton affermava «Guardare indietro è una cosa, ma tornare indietro è un’altra»: il pensare che il passato sia sempre migliore, è una “trappola mentale” che porta a sviluppare un’immagine edulcorata di ciò che è stato, come se il passato fosse perfetto e idilliaco; da questo bias scaturisce la tendenza di guardare al presente attraverso un filtro che distorce e pessimizza il “qui e ora”, predisponendo ad una delusione preconcetta oltre che a delineare possibili futuri disastrosi e ferali come conseguenza della recondita convinzione che non saremo mai più così felici e pienamente soddisfatti come lo eravamo nel passato: tale sistema di credenze è accompagnato frequentemente da una latente, seppur evidente, ansia anticipatoria che può sfociare in una visione distopica del domani.
Il bias cognitivo alla base del declinismo sfrutta l’inconscio pregiudizio positivo della nostra memoria, che va ben oltre la semplice nostalgia, poiché implica una valutazione negativa del presente e include le peggiori previsioni per il futuro: non significa solo guardarci indietro, con quello stato d’animo che ci porta a rimpiangere ciò che è trascorso, ma a pensare che stavamo bene allora e che, ora, stiamo male e, addirittura, in futuro staremo anche peggio; è una fuga dal presente, che allontana dalla realtà e dalla verità.
Il passato, immaginario e idilliaco, ci rende ciechi rispetto a ciò che accade, ci impedisce di relazionarci con la vita vera e tangibile che dovremmo vivere nel quotidiano, portandoci a ignorare l’“hic et nunc”, cioè negandoci la possibilità di essere vivi nel momento stesso in cui esistiamo: questo, per assurdo, ci libera, seppur in un’ottica distopica, dell’incertezza che porta con sé il futuro perchè ci rifugiamo nelle braccia protettive di un passato tranquillo e sereno, privo di drammi e di ansie, quasi elegiaco o bucolico.
Il declinismo, corroborando la percezione negativa che abbiamo del presente e rafforzando la preoccupazione verso un possibile outcome avverso del futuro, ci spinge a vivere in un passato che rappresenta, almeno nella nostra mente, una roccia sicura: la trasmutazione dei nostri ricordi ci offre la possibilità di manipolare a nostro piacere la realtà vissuta, permettendoci di immaginare trascorsi in cui eravamo molto più contenti, più fortunati o più felici di quanto siamo stati realmente; citando il drammaturgo e poeta britannico Harold Pinter
«il passato è ciò che ricordi, ciò che immagini di ricordare,
ciò che ti convinci o pretendi di ricordare».
Ma non inganniamoci, è un trucco della mente. È una strategia di elusione di cui finiremo per pagare il conto. “Il problema di guardare troppo al passato è che quando ci rivolgeremo al futuro, questo sarà sparito”, come disse saggiamente Michael Cibenko.
Come usare bene il passato?
Il passato può essere una fonte di saggezza, un serbatoio di felicità. E un rifugio in tempi difficili. Possiamo tornare ad esso ogni volta che vogliamo, purché ci assicuriamo di non restare intrappolati in un tempo inesistente. Non possiamo eludere o dimenticare il nostro passato, ma non è neppure intelligente restare intrappolati nella nostalgia di un tempo illusorio.
Il passato è la nostra memoria, dobbiamo usarlo come filo conduttore della nostra storia biografica, non come dimora in cui stazionare. Se ultimamente ci troviamo a rivivere eccessivamente nel passato, è probabile che la nostalgia ci stia dicendo che abbiamo un problema nel presente da cui vogliamo fuggire. Pertanto, il declino è sempre un segnale d’allarme che non dobbiamo ignorare.
Invece, dobbiamo imparare a lasciar andare. Aprirci all’incertezza. Fiduciosi che anche questi giorni difficili passeranno e diventeranno ricordi. Perché come diceva Daphne Rose Kingma: “trattenere è credere che esista solo il passato, lasciar andare è sapere che c’è un futuro”. Dobbiamo assicurarci di dare ad ogni giorno il suo posto, l’attenzione e il tempo che merita nella nostra vita.
[1][2][3] “Il grande vertice del declino” secondo Adam Gopnick, “è stato stabilito nel 1918, nel libro che ha dato al declino il suo buon nome nell’editoria: l’opera di mille pagine più venduta dello storico tedesco Oswald Spengler The Decline of the West”. [4]
atteggiamento critico che tende a far risaltare gli aspetti più macroscopici della crisi economica, politica, istituzionale, ecc., che investe un determinato paese, al fine di sottolineare i rischi di un inarrestabile declino.
Spec. nel linguaggio giornalistico, atteggiamento critico che tende a far risaltare, talora accentuandoli o volutamente esagerandoli (al fine di sottolineare i rischi di un inarrestabile declino), gli aspetti più macroscopici della crisi economica, politica, istituzionale, ecc., che investe un determinato Paese.