primum non nocere

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ultimo aggiornamento: 4 Aprile 2021 alle 12:50

definizione

La locuzione latina, talvolta utilizzata nella forma «primum nihil nocere» o «primum nil nocere», significa per prima cosa, non nuocere: per quanto, spesso, il brocardo sia stato attribuito a Ippocrate, richiamando, sinteticamente, l’essenza concettuale del famoso “giuramento Ippocratico”, che contiene un riferimento esplicito all’astenersi dal produrre danni «ἐπὶ δηλήσει δὲ καὶ ἀδικίῃ εἴρξειν» (→ mi asterrò dal recar danno e offesa).

un po’ di storia

L’idea di non indurre danno nel malato è presente anche in altri scritti ippocratici, come nel “Hippocratic Corpus”, dove si afferma che il medico dovrebbe avere «ἀσκέειν, περὶ τὰ νουσήματα, δύο, ὠφελέειν, ἢ μὴ βλάπτειν» (→ due obiettivi particolari, riguardo alla malattia: fare del bene o non fare del male).

Alcuni studi fanno risalire l’origine dell’assioma a Auguste François Chomel, patologo francese, che lo utilizzava come idea fondante dei propri insegnamenti, all’università di Parigi, mentre altri la attribuiscono a Thomas Sydenham, uno dei padri della medicina inglese, nel ‘600.

Secondo alcuni autori di lingua tedesca, il motto originale recita «primum non nocere, secundum cavere, tertium sanare» (→ in primo luogo non fare del male, come seconda cosa agisci in sicurezza e con attenzione, ed infine favorisci la guarigione) e viene attribuito, almeno concettualmente, al medico Scribonius Largus della corte dell’imperatore Tiberio Claudio.

la filosofia del ben-essere nella cura

Secondo la tradizione ippocratica, infatti, il principio «ἀσκέειν, περὶ τὰ νουσήματα, δύο, ὠφελέειν, ἢ μὴ βλάπτειν» (→ cura il male o almeno non creare nocumento) si pone al centro dell’essenza dell’intervento medico, assumendo il ruolo di presupposto moralmente necessario; pertanto non solo il medico, in primis, non deve nuocere, ma “in secondo luogo, deve essere cauto” e solo alla fine, quando possibile (in terzo luogo) “curare”, ponendo come obiettivo prioritario il fare attenzione a non danneggiare la persona sofferente nel suo sforzo di aiutare l’individuo che si affida a lui: deve essere attento ed agire con prudenza e diligenza, in modo da poter vedere esattamente quello che sta realmente accadendo al paziente e, solo allora, può intraprendere i passi necessari per la guarigione.

Il “principio di precauzione” che viene espresso da questo aforisma, deve essere considerato come l’imperativo etico e morale per prevenire l’insorgenza di manifestazioni iatrogene: l’idea di fondo esprime l’esigenza di astenersi da interventi inutili o dannosi.

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