epicaricacy

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definizione

Termine inglese utilizzato per descrivere il trarre piacere dalla sfortuna degli altri, associato ad un senso di disprezzo; in realtà questo lemma è l’anglismo del greco ἐπιχαιρεκακία (epikairekakìa → letteralmente “gioia sul male”, cioè il rallegrarsi del male di altre persone), coniato da Aristotele nel “Nicomachean Ethics”, per mezzo della unione di ἐπιχαίρω (epikàiro → rallegrarsi, godere per), e κακία (kakìa → cattiveria, malevolenza, ignavia, codardia, malvagità, ma anche infamia, disonore e punizione); epicaricità è la traduzione italiana, corrispondente alla aticofilia, anche se spesso il temine (tedesco) comunemente utilizzato per descrivere questo sentimento è schadenfreude.

Per quanto questa emozione spesso venga celata per evitare la riprovazione sociale, in quanto “non sta bene” mostrare compiacimento per la sofferenza altrui, l’epicaricità è un piacere evidente e spesso malevolo, associato ad un senso di autocompiacimento per ciò che accade ad un nostro avversario, reale o presunto o anche semplicemente a qualcuno verso cui proviamo invidia o che a nostro avviso ottiene successo, riconoscimenti o ricompense a nostro avviso immeritate.

storia della epicaricità

Aristotele dichiara che «[…] ἔνια γὰρ εὐθὺς ὠνόμασται συνειλημμένα μετὰ τῆς φαυλότητος, οἷον ἐπιχαιρεκακία ἀναισχυντία φθόνος, καὶ ἐπὶ τῶν πράξεων μοιχεία κλοπὴ ἀνδροφονία […]» («[…] poiché siamo chiamati insieme alla dissolutezza, che è ipocrisia, insolenza, invidia, e nei fatti adulterio, furto, omicidio colposo […]»; continua poi con «νέμεσις δὲ μεσότης φθόνου καὶ ἐπιχαιρεκακίας, εἰσὶ δὲ περὶ λύπην καὶ ἡδονὴν τὰς ἐπὶ τοῖς συμβαίνουσι τοῖς πέλας γινομένας […]» («E tu non sei mediatore dell’invidia e della vendetta, ma del dolore e del piacere, delle cose che accadono alle persone che sono accadute […]».

San Tommaso d’Aquino ha tradotto la parola ἐπιχαιρεκακία in latino come “gaudium de malo” che può a sua volta essere tradotto “gioia dal male” (sfortuna), mentre altri autori la definiscono “gaudium ex alienis malis acceptum” (“gioia ricevuta dalla sfortuna di un altro”).

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