definizione
La capacità del sistema nervoso di adattare la propria struttura in risposta a una varietà di fattori e di stimoli interni o esterni, comprese le situazioni patogene acute: secondo questa teoria, che contrasta totalmente con l’idea della immutabilità dell’encefalo, le strutture nervose posseggono l’abilità di modificare la propria struttura e le proprie funzionalità a seconda dell’attività dei propri neuroni, come adattamento a stimoli provenienti dall’ambiente esterno (soprattutto se ripetitivi o significativi), come reazione a lesioni traumatiche o modificazioni patologiche oppure come effetto del processo di sviluppo dell’individuo; questa capacità, che si esprime in gradi e modi diversi in tutto il sistema nervoso, si basa sulla cosiddetta plasticità neuronale. In termini scientifici, il processo di neuroplasticità non è un processo rapido o semplice, ma piuttosto un processo che si realizza per tutta la vita e può coinvolgere altri processi che coinvolgono non solo il sistema nervoso, ma l’intero organismo (ed il sistema neuro-vascolare in particolare): oltre ad modificare le sinapsi neurali e i relativi percorsi, può comportare cambiamenti nei neuroni, nelle cellule vascolari e nelle cellule della glia; il processo non solo prevede la creazione di nuove connessioni fra le cellule nervose ma anche la possibile soppressione delle stesse per la presenza di pruning sinaptico (ovvero potatura sinaptica, processo che prevede l’eliminazione delle sinapsi che non sono più funzionali, con il deterioramento sia dell’ assone, sia del dendrite).
neuroplasticità come strumento di adattamento
Il cervello, a differenza di quanto spesso si crede, è un organo straordinariamente malleabile che attraverso l’apprendimento e le esperienze vissute crea reti neurali interconnesse grazie al moltiplicarsi delle cellule cerebrali ed all’incrementare il numero di sinapsi fra le singole cellule, in un processo continuo di evoluzione: in sintesi, queste modifiche strutturali e funzionali creano percorsi neurali che ci permettono di creare metaprogrammi ed applicare ciò che abbiamo imparato, attraverso i nostri vissuti, a nuove situazioni o a sfide cui siamo sottoposti, per “accelerare” la velocità di risposta agli stressor del nostro ecosistema e incrementare la nostra probabilità di sopravvivere, secondo il principio dell’allostasi.
Questa plasticità cerebrale si verifica anche in situazioni ove sia necessario ricreare le capacità cognitive dopo eventi traumatici o lesioni del sistema nervoso, soprattutto quando chi ha subito lesioni è accompagnato in un percorso di recupero: persone colpite da ictus che reimparano a leggere e scrivere o atleti che riacquistano le loro abilità motorie fini dopo lesioni cerebrali traumatiche sono solo alcuni esempi di questa capacità di adattamento e sono rese possibili dalla potente plasticità del nostro sistema nervoso, evidente a molti livelli, da quello molecolare a quello comportamentale, come conseguenza della modifica dei modelli di espressione genica dei neuroni, e della plasticità sinaptica (capacità di instaurare sinapsi ex-novo o eliminarne per modificare le relazioni interneuronali).
La neuroplasticità può essere strutturale e funzionale: nel primo caso si parla di cambiamenti fisici del sistema nervoso, cioè le variazioni del volume della materia cerebrale e il numero di dendriti, mentre nel secondo caso si sottolineano i cambiamenti nelle interazioni tra i neuroni, sia attraverso un aumento/decremento delle sinapsi, sia per mezzo di creazione di vie neurali o network neuronali: le esperienze che viviamo producono cambiamenti sinaptici chiamati plasticità attività-dipendente, che è al centro della neuroplasticità, è necessaria per funzioni di livello superiore come l’apprendimento, la memoria, la guarigione e il comportamento adattivo; questi cambiamenti possono essere acuti (a breve termine) o di lunga durata: senza la neuroplasticità, non saremo in grado di crescere, imparare e adattarci al nostro ecosistema di riferimento ed agli stressor a cui siamo sottoposti.
La neuroplasticità, purtroppo può svolgere un ruolo cruciale nell’adattamento agli stati patologici e ai deficit sensoriali, creando modelli negativi o manifestandosi come decremento delle capacità cerebrali come nel morbo di Alzheimer, nella demenza vascolare, nel morbo di Parkinson: la creazione di modelli di adattamento negativi o comportamenti cronici del dolore, di ansia e depressione, il disturbo da stress post-traumatico e le dipendenze (tossicodipendenza, alcolismo, ludopatia, tabagismo, bulimia e anoressia …) possono essere ricondotte alla creazione di modifiche strutturali/funzionali del nostro cervello, rendendo talvolta difficile modificare o eradicare tali ossessioni.
neuroplasticità come strumento di cambiamento
Nelle scienze biologiche, per molti anni, è imperato il dogma che ciò che è codificato nel DNA è ciò che determina il nostro destino e che il cervello non può rigenerarsi e ripararsi e dunque, dopo la fine dello sviluppo, può solo regredire: questa idea, che nasce dall’esasperazione del darwinismo, anche se oggi, sempre più, stiamo scoprendo che non solo caratteri acquisiti con l’adattamento all’ambiente possono essere trasmessi, ma che il nostro cervello possiede la capacità di rigenerarsi in base alle proprie esperienze; diventa sempre più chiaro che nulla, in natura, è statico e predefinito e che ogni organismo vivente continua ad adattarsi, durante la sua vita, alle circostanze e agli stimoli che provengono dall’esterno, rendendoci in grado di adeguarci ai contesti ed agli ecosistemi in cui viviamo ed altamente plastici.
Un elemento fondamentale per determinare l’entità di eventuali fenomeni di plasticità neurale è l’intensità e la durata, oltre che la precocità, dell’imprint cui siamo sottoposti: è noto come l’imprinting sia in grado di condizionare un soggetto, lasciando patterns comportamentali che possono incidere per l’intera durata dell’esistenza, o di come le esperienze emotive o i metaprogrammi determinino significativamente il “carattere” e le modalità di reazione individuali; per quanto, apparentemente, tali vissuti possano condizionare significativamente la vita di ognuno, in realtà proprio la neuroplasticità offre l’opportunità di comprendere che è possibile “de-fondere”, cioè sconnettere, le nostre risposte stereotipate agli eventi dalle emozioni ad esse associate, come se si sciogliesse una fusione che ha “indissolubilmente” unito un evento con forte carica emotiva con un comportamento reattivo/adattativo o si “allentasse” il legame somato-emotivo creatosi come conseguenza della rilevanza (o della durata) delle esperienze acquisite.
Non dobbiamo dimenticare che, anche se in situazioni di stress il nostro sistema nervoso tende ad applicare comportamenti stereotipati come reazione rapida agli stimoli stressogeni (con funzioni difensive e di sopravvivenza), il nostro cervello è costantemente modellato dall’esperienza e la maggior parte di noi ha comportamenti e pensieri molto diversi nel corso della propria vita: le esperienze significative, spesso, hanno prodotto mutamenti che sono l’espressione della neuroplasticità in azione; il cambiamento nella struttura e nell’organizzazione del cervello sono l’espressione di ciò che sperimentiamo, che impariamo, che proviamo e di come ci adattiamo ed evolviamo (o de-evolviamo e regrediamo …).
La reiterazione delle esperienze, delle emozioni, dei pensieri rafforza i percorsi neurali associati a quelle specifiche situazioni, mentre nuovi pensieri e visioni originali possono portare, se emotivamente significative, alla creazione di nuovo modo di essere, espressione del cambiamento strutturale/funzionale del nostro sistema nervoso: la neuroplasticità associa pensieri diversi e memorie recenti a cambiamenti che possono rafforzarsi nel tempo, divenendo modelli di riferimento più “moderni”, “innovativi”, talvolta “rivoluzionari” rispetto agli schemi “obsoleti” che condizionano il nostro modo di vivere; le connessioni all’interno del cervello diventano costantemente più forti o più deboli, a seconda di ciò che viene utilizzato.
Le connessioni neurali essenziali vengono rafforzate, portando a consolidare i comportamenti ad esse associate, mentre gli schemi (ed i neuroni) sottoutilizzati o non più significative vengono eliminati per mezzo di un processo di potatura sinaptica, che cancella le connessioni neurali che non sono più necessarie o utili: il discriminante di questo processo è la rilevanza delle esperienze sottostanti ai patterns ed ai metaprogrammi e l’intensità delle nuove esperienze di vita e delle emozioni ad esse associate.
La plasticità neurale è un’opportunità fondamentale per poter agire sulla somatoemotività che contraddistingue disfunzioni, malesseri, financo morbosità, che condizionano la qualità di vita di ognuno di noi: la Kinesiopatia®, Kinesiologia transazionale® ed il Cranio-Sacral Repatterning® offrono, al professionista del ben-essere, strumenti efficaci per poter incidere sulle connessioni neurali che inducono comportamenti “negativi” (cioè obsoleti o inadeguati per la persona) e facilitare la creazione di nuovi patterns; se si prede in considerazione la prospettiva che scaturisce dal triangolo della salute, ove la componente biochimica, quella strutturale e la parte emotiva sono indissolubilmente interconnesse, risulta evidente che un vero cambiamento può e deve necessariamente passare attraverso una fase di reframing (riformulazione) delle modalità di reazione con cui si interagisce con il proprio ecosistema, favorendo la formazione di nuovi circuiti neurali.