ultimo aggiornamento: 14 Febbraio 2023 alle 23:53
definizione
Lo studio descrittivo delle malattie, che permette di creare un lessico basato su di una terminologia univoca e condivisa, in grado di indicare in modo preciso le diverse entità teoriche di cui la medicina stessa tratta, cioè le malattie: i processi morbosi e le patologie costituiscono sequenze di eventi naturali che presentano analogie e somiglianze di vario tipo, cosicché la descrizione e la conoscenza dei meccanismi delle varie malattie sono un elemento rilevante per consentire la loro classificazione.
La classificazione attuale delle malattie costituisce un sistema molto complesso nel quale coesistono criteri e obiettivi di ordinamento assai diversi fra loro: la nosografia comprende la classificazione delle malattie per organi e apparati e per generi eziologici, la semeiotica, la sintomatologia e l’eventuale epidemiologia; permette una classificazione a fini statistici, finanziari ed epidemiologici.
Il termine, derivato dal greco, è composto da νόσος- (nósos- → malattia) e –γραϕία, derivato di γράϕω (grápho → scrivere) nella accezione di descrizione, studio, trattare.
un po’ di storia
La patologia, che può essere considerata la scienza basilare della medicina, necessita di una terminologia univoca che indichi in modo preciso le diverse entità teoriche di cui la medicina stessa tratta, cioè le malattie: da sempre, storicamente, chi si è occupato di salute e malattia ha sentito la necessità di classificare e inquadrare le manifestazioni morbose in un framework “gnoseologico” che permettesse di avere riferimenti condivisi e definizioni che fossero monosemiche, cioè avessero un unico e ben determinato significato.
Già agli albori della medicina, nella Grecia antica, Ippocrate cercò di definire la malattia come conseguenza di un’alterazione dell’equilibrio umorale, concentrando la propria attenzione più sull’uomo malato e sulla sua reattività individuale che sul processo morboso in se stesso: secondo la scuola ippocratica, l’identificazione delle malattie avveniva per mezzo del riconoscimento dalle loro apparenze esterne e fenomeniche, equivalente, in un certo senso alla sintomatologia clinica odierna, e la prognosi rivestiva un’importanza di gran lunga maggiore di quella della diagnosi. In questo contesto teorico, la medicina ippocratica non aveva focalizzato la propria attenzione sul creare una vera e propria classificazione dei fenomeni morbosi.
Galeno, pur accettando in sintesi la concezione ippocratica, divise gli eventi morbosi in malattie degli umori (discrasie), malattie delle parti simili (arterie, vene, ossa, cartilagini e muscoli), malattie delle parti strumentali (organi) e malattie traumatiche, creando un ordinamento basilare dei processi patologici: questa classificazione rimase sostanzialmente invariata durante il Medioevo ed il Rinascimento.
Occorre attendere il XVII° secolo per osservare una prima classificazione organica dei fenomeni morbosi: il medico inglese Thomas Sydenham (1624÷1689) avanzò per primo l’idea che i fenomeni morbosi non costituissero una manifestazione unitaria con differenti sfaccettature, ma che, piuttosto, si dovesse parlare di malattie, cioè processi morbosi essenzialmente diversi l’uno dall’altro: non più quindi un unico singolo fenomeno biologico con apparenze diverse, ma manifestazioni differenti causate da diseguali processi che, per essere compresi nella loro varia natura, devono essere distinti fra loro e descritti fedelmente e studiati attraverso l’osservazione e la classificazione; Thomas Sydenham sosteneva che esistono diverse specie di malattie che si distinguono fra loro per i caratteri sintomatologici, per il decorso e per la prognosi e che pertanto dovessero essere studiate ed inquadrate come si fa con le specie animali o vegetali.
Il suo punto di vista si impose, a partire dal XVIII° secolo, contribuendo allo sviluppo della cosiddetta nosografia medica che nel corso del Settecento portò alle prime classificazioni analitiche delle malattie: con l’avvento di Linneo (Carl Nilsson Linnaeus) si crea la prima classificazione moderna dei vegetali e degli animali (Systema naturae, 1735), utilizzata in ambito medico come modello di riferimento per distinguere e suddividere le malattie in gruppi e sottogruppi in base ai caratteri fenomenologici con i quali si presentano, cioè ai sintomi e ai segni; è a partire da queste fondamenta concettuali che vennero sviluppate le tassonomie dei processi patologici, ordinando le malattie in generi, classi e ordini, in un modo analogo a quello usato dai botanici e dagli zoologi per catalogare gli organismi viventi.
François Boissier de Sauvages de Lacroix, nella sua opera intitolata “Nosologia methodica sistens morborum classes, genera et species, juxta Sydenhami mentem et botanicorum ordinem”, pubblicò nel 1763 la prima moderna classificazione delle malattie: i processi morbosi vennero distinti in 10 classi, 45 ordini, 317 generi e circa 2400 specie, sulla base di un criterio esclusivamente sintomatologico; nel giro di pochi anni vennero proposte differenti classificazioni morbose, basate sostanzialmente sui medesimi criteri, quali “Genera morborum” redatta da Linneo (1763), “Synopsis nosologiae” di William Cullen (1769), “Nosographie philosophique” di Philippe Pinel (1789). I principi classificatori alla base di questa visione nosologica presero rapidamente piede e la loro tassonomia divenne il fondamento della diagnostica quotidiana delle malattie, riconoscendo alla sintomatologia un ruolo determinante per l’identificazione dei processi morbosi: l’enfasi posta su una classificazione prevalentemente basata su segni e sintomi però limitava la ricerca dei meccanismi che generavano i diversi quadri clinici.
Giovanni Battista Morgagni, nella seconda metà del XVIII° secolo, ebbe l’intuizione di associare i quadri clinici delle malattie alle alterazioni patologiche dei vari organi, elaborando una classificazione elementare dei morbi e contribuendo significativamente allo sviluppo di una nuova visione nella patologia e nella nosografia: nella sua opera fondamentale, il “De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis” (1761), suddivise le malattie sulla base della sede dell’alterazione anatomica principale, per poi classificare i processi morbosi di ciascun distretto dell’organismo seguendo un criterio in parte sintomatologico e in parte anatomico.
La tassonomia anatomo-patologica iniziata nel XVIII° secolo da Giovanni Battista Morgagni venne poi perfezionata nel XIX° secolo dal medico e patologo britannico Matthew Baillie, dal medico e filosofo boemo Karl von Rokitansky e soprattutto dal patologo, scienziato, e antropologo tedesco Rudolf Ludwig Karl Virchow; Karl von Rokitansky elaborò, nel 1842, una sistematica delle malattie che viene comunemente considerata come l’espressione perfetta della concezione anatomica macroscopica dei fenomeni morbosi, nella quale le malattie vengono ordinate esclusivamente in base alla sede e alla natura del processo morboso: la sua catalogazione dei morbi si è imposta nella successiva evoluzione del pensiero medico.
Il pensiero patologico del XVIII° secolo e della prima metà del XIX° secolo è stato caratterizzato dalla nascita di diverse concezioni alternative sulla natura delle malattie: in questo periodo, in Europa, si sono affermate costruzioni teoriche, tanto semplici quanto dogmatiche e immutabili, spesso fondate su concetti metafisici, che cercavano d’interpretare l’enorme varietà della fenomenologia patologica sulla base di pochi principi molto rigidi, dando origine ad altrettante classificazioni dei fenomeni patologici, molto diverse da quelle analitiche elaborate dalla nosografia del tempo. Ogni sistema era basato su concetti-base che servivano all’interpretazione patogenetica delle malattie, che venivano catalogate esclusivamente in relazione a tali idee, fornendo classificazioni semplici, in grado di offrire un rapido orientamento per la pratica clinica quotidiana; ad esempio il medico scozzese John Brown sviluppò un sistema che suddivideva le malattie in due soli grandi gruppi: le malattie steniche, nelle quali l’eccitabilità era aumentata, e la malattie asteniche nelle quali l’eccitabilità era ridotta. Il patologo italiano Giovanni Rasori ne modificò lo schema teorico e divise le malattie in due altri grandi gruppi: le malattie da stimolo e quelle da controstimolo.
Alla fine del XIX° secolo, lo sviluppo della teoria microbiologica delle malattie infettive fu in grado di interpretare un enorme numero di fenomeni patologici che in precedenza apparivano inspiegabili, modificando radicalmente la sistematica dei fenomeni patologici: le malattie iniziarono ad essere classificate non solo in base alle lesioni anatomiche o ai sintomi o ai meccanismi che ne determinavano il decorso, ma in base alle cause che le provocavano.
Tra la fine del secolo XIX° e i primi decenni del XX°, le nuove conoscenze mediche sui sistemi endocrini ed i loro squilibri o sull’importanza delle vitamine nel prevenire malattie da deficit comportano una nuova ristrutturazione della sistematica morbosa, cui si aggiungono nuovi capitoli, nel corso del XX° secolo, relativi alle malattie internistiche.
La classificazione delle malattie non esprime, in se stessa, alcuna relazione causale fra i diversi fenomeni morbosi, ma si limita a raggrupparli in classi di maggiore o minore estensione ed a permettere una diagnosi che non giunge a una vera comprensione dei processi biologici alterati, ma mira soltanto a riconoscere il gruppo di fenomeni al quale appartiene il fenomeno in esame: con l’avvento degli studi del fisiologo francese Claude Bernard la nosografia viene in parte accantonata per dare spazio alla medicina sperimentale, che si basa sostanzialmente sulla conoscenza dei fenomeni fisiopatologici; il principio classificativo della nosografia costituito dalla sintomatologia clinica viene sostituito dal criterio anatomo-patologico in base al quale i processi morbosi vengono ordinati secondo la loro sede e la loro natura. Secondo tale principio, la natura delle malattie è costituita soprattutto dall’apparenza morfologica osservabile al microscopio, cioè dal quadro istopatologico, e non dalle cause o dai fenomeni fisiopatologici che ne condizionano il decorso: lo studio di un paziente sulla base dei sintomi che questi presenta, si propone principalmente di conoscere le modificazioni morfologiche dei tessuti e/o delle cellule che rappresentano il substrato biologico fondamentale della sintomatologia clinica, per formulare una diagnosi sulla base di queste modificazioni; dalla diagnosi anatomo-patologica è possibile giungere alla patogenesi e alla sintomatologia, identificando una prognosi ed una possibile terapia.
Negli ultimi cinquant’anni l’enorme estensione delle ricerche biomediche ha portato a una vera e propria esplosione delle conoscenze patologiche: i nuovi concetti e le nuove tecniche delle scienze biologiche di base vengono trasferiti rapidamente alla patologia, dando luogo alla continua identificazione di nuove forme morbose; negli ultimi venticinque anni è emersa una nuova filosofia per la classificazione basata non sulle malattie concepite come entità astratte, ma sui “problemi” presentati dal paziente, creando il cosiddetto Problem-Oriented Record (POR), che se risulta vantaggioso sul piano clinico per organizzare le informazioni dei singoli pazienti, non offre vantaggi sul piano scientifico.